Parlami d'amore
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Parlami d’amore: ecco Adelmo Togliani e Daniele Di Biasio

Un’intervista doppia quella che avrete modo di leggere, in cui abbiamo voluto raccogliere le emozioni di Adelmo Togliani, figlio del grande Achille Togliani, e di Daniele Di Biasio, ideatori di “Parlami d’amore”.

Il progetto, un documentario per l’esattezza, nasce per celebrare la vita di un attore e cantante più che noto, amante del cinema a tuttotondo. Una personalità, quella di Achille Togliani, in grado di realizzare un fornitissimo archivio basato sul suo vissuto, sui successi raggiunti. Il lavoro, “Parlami d’amore”, sarà presentato al 40° Torino film Festival, nei prossimi giorni.

Ecco l’intervista su Parlami d’amore:

Ben trovati su La Gazzetta dello Spettacolo, Adelmo Togliani e Daniele Di Biasio. Come state?

Adelmo Togliani: Sono al settimo cielo, attualmente, e credo di interpretare anche il sentimento di Daniele Di Biasio e di Laura Beretta, con la quale abbiamo prodotto insieme a Rai Documentari “Parlami d’Amore”. Mio padre ha passato una vita a conservare e archiviare materiale inerente la sua carriera e quella di molti suoi colleghi. Documenti cartacei, fotografici, audio e video di un’epoca che va dai primi anni ’40 fino alla sua scomparsa avvenuta nel 1995. Abbiamo persino il video del suo ultimo concerto, realizzato venti giorni prima che mancasse. E come disse all’inizio di questa avventura Daniele: “non lasciamo che il suo immane sforzo sia stato compiuto invano”. Ed eccoci qui, dopo cinque anni di ricerche e di lavoro al 40° Torino Film Festival.

Daniele Di Biasio: Sono molto contento di parlare di un progetto che per diverse ragioni mi sta particolarmente a cuore. La realizzazione di questo documentario mi ha accompagnato durante un periodo difficile, caratterizzato dalla morte di entrambi i miei genitori, in pochi mesi, e lavorare con Adelmo a un racconto così emozionante è stata una fuga dalla solitudine. Quando diversi anni fa parlai con mio padre dell’idea di questo progetto con Adelmo, mi raccontò di un suo ricordo da ragazzino. Mio nonno aveva un emporio a Scauri, una piccola città del sud pontino, e un giorno davanti all’ingresso si fermò una macchina sportiva e ne uscì Achille Togliani, elegantissimo, con una donna altrettanto elegante e bellissima. Dalle parole di mio padre ho capito immediatamente che un documentario su Achille Togliani avrebbe raccontato anche un’epoca bellissima, uno spaccato del nostro Paese in quegli anni.

Due grandi amanti del bel cinema, dello spettacolo in genere. Come ha avuto inizio il vostro percorso artistico e la vostra amicizia?

Adelmo Togliani: Ho iniziato conducendo i recital di mio padre. Avevo quindici anni, facevo appena tre entrate e ogni sera cambiavo il testo degli interventi, così mi abituavo ad andare a braccio. Ero sempre emozionatissimo, con la mia giacca elegante, di una taglia e mezzo in più. Prima dell’intervallo presentavo due allievi che frequentavano insieme a me l’Accademia fondata da papà. Facevano uno sketch comico, io no, papà non mi reputava ancora pronto e la cosa non mi pesava affatto, mi fidavo molto di lui e non ho mai discusso nessuna sua scelta. Frequentavo con grande impegno l’Accademia come attore, ma il metodo di allora era piuttosto duro, un insegnante fece piangere tutta la classe, me compreso, ed ero il più piccolo. Non mi davo per vinto, non sono uno che si scoraggia, così per riscattarmi mi prestavo come aiuto e trovarobe per spettacoli teatrali al di fuori dell’Accademia. Ho fatto di tutto, anche il tecnico delle luci. Da lì sono finito a fare il pubblico in un programma di RaiUno in seconda serata. Tre mesi dopo venivo scelto come protagonista della prima fiction Rai dal titolo “Dopo la tempesta”. Avevo soltanto diciannove anni. Devo l’amicizia con Daniele ad un festival cinematografico di Formia diretto da un nostro comune amico, Daniele Urciuolo. Daniele Di Biasio è un poeta vero, come suo padre d’altronde, e devo a lui la decisione di affrontare questo documentario perché fino a qualche tempo fa avevo sempre rifiutato di realizzare qualcosa su papà. Indagare la vita di Achille Togliani, per me che sono suo figlio, mi ha sempre spaventato. Le implicazioni umane sono molto profonde. Daniele è un vero documentarista, sapevo che con lui non ci saremmo fermati al semplice biopic.

Daniele Di Biasio: Il mio percorso nel cinema è iniziato grazie a due grandi maestri. Uno è stato Peppe De Santis, che mi convinse a iscrivermi a un corso di cinema che teneva insieme a Ugo Pirro. Con Ugo, dopo la scuola, ho iniziato a lavorare come sceneggiatore e ho continuato ad imparare da lui fino alla sua scomparsa. Il mio primo film documentario “Pesci Combattenti” è del 2002. Quando nel 2008 Ugo è morto abbiamo deciso con Georgette Ranucci di realizzare un documentario su di lui. “Soltanto un nome nei titoli di testa” fu presentato nella sezione Orizzonti della 65esima edizione del Festival di Venezia, Galeotto, per quanto riguarda l’incontro con Adelmo, fu il festival di cortometraggi che si tiene a Formia (mia città natale, tra l’altro). Credo fosse il 2016 e fui invitato a far parte della giuria di cui Adelmo era Presidente. Fu in uno di quei pomeriggi assolati che Adelmo mi parlò per la prima volta dell’archivio Togliani, di quei filmati inediti che Achille, appassionato di cinema, aveva girato negli anni. La passione di Adelmo è trascinante ed è impossibile non esserne affascinati. Ci siamo ritrovati nell’amore per il cinema, per il racconto attraverso le immagini. Da allora la nostra amicizia si è cementata sempre più e sono sincero nel dire che Adelmo è un artista, un grande professionista e, soprattutto, un amico sincero.

Adelmo, tuo papà era il grande Achille Togliani. Che ricordo hai di lui e quali consapevolezze porti con te da quel bellissimo rapporto creatosi tra padre e figlio?

Mio padre, come ho affermato tante volte, era un uomo d’altri tempi, un vero gentiluomo, con me piuttosto severo. Non sempre affettuoso, ma talvolta capace di slanci inaspettati. L’amore per il cinema ci ha unito moltissimo. Passavamo le nottate a vedere i film insieme, credo che negli anni antecedenti la sua dipartita cercasse inconsciamente di recuperare il tempo perduto. Da piccolo lo vedevo pochissimo. Ritengo che mi abbia insegnato quanto sia importante la guida paterna per un figlio.

A breve si avrà modo di assistere, in anteprima mondiale, al documentario, “Parlami d’amore”, elogio alla vita dell’attore e cantante Achille Togliani. Parlateci di come ha avuto vita questo progetto e dell’amore che si cela dietro ogni singolo secondo di montato?

Adelmo Togliani: Il documentario Parlami d’amore è il frutto di un lavoro che parte dalla penna di Daniele. In questo, Daniele, è unico perché in grado di creare le giuste suggestioni; il resto per quanto difficile, una volta indirizzato, è venuto da sé. Il mio lavoro al montaggio insieme a Simone Barletta, uno degli ultimi allievi di mio padre, ha reso tutto più autentico e vero. Pensiamo tutti che sia stato un bene per il progetto che io mi sia avvicinato alla figura di papà in età ormai matura. Questo distacco ci ha permesso una narrazione quanto mai oggettiva. Amavo mio padre ed una cosa che mi premeva raccontare della sua carriera, era dimostrare che lui non avesse mai smesso di cantare, ciò è avvenuto veramente fino all’ultimo. Nel periodo antecedente alla sua scomparsa girava voce che fosse fuori dal giro, che non fosse più in grado di cantare, tutte cose totalmente false. Con il documentario gli abbiamo finalmente reso giustizia.

Daniele Di Biasio: Come dicevo la prima chiacchierata con Adelmo sull’idea di fare un documentario che parlasse di Achille risale al 2016. Adelmo, subito dopo, mi ha invitato nella casa sul Lungotevere dove ora vive la madre per vedere con i miei occhi l’archivio Togliani. Non solo le pellicole girate da Achille, ma anche foto, riviste, una collezione impressionante di film, di interviste radiofoniche, le lettere. La prima cosa che ci siamo chiesti era da dove avremmo cominciato e allora abbiamo iniziato riascoltando le canzoni e lasciandoci andare alle emozioni che ritrovavamo in tutte quelle immagini. Prima ancora che potessimo capire chi avremmo intervistato, ho chiesto, quasi costretto, Adelmo ad essere lui il primo degli intervistati. Abbiamo girato nello studio/archivio e i tanti spunti si sono ulteriormente moltiplicati. Spesso abbiamo avuto la sensazione che il racconto ci potesse sfuggire di mano per la mole di materiale e per il lungo arco temporale che attraversava. Abbiamo cercato di lavorare per sottrazione, scegliendo con cura ogni immagine, ogni passaggio, ogni attacco di ogni singola canzone. Ha parlato di montaggio… è stata una riscrittura del documentario, il tentativo, spero riuscito, non solo di raccontare il cantante Achille Togliani, ma anche l’uomo con la sua onestà intellettuale e la sua gentilezza. Se posso aggiungere una cosa, un piccolo spoiler, i filmati che Achille ha girato in America, i suoi diari che descrivono la società e i suoi connazionali oltre oceano a mio avviso raccontano in maniera profonda l’emigrazione di tanti italiani in quegli anni.

L’anteprima di cui parlavamo di Parlami d’amore avverrà a Torino, durante il 40° Film Festival. Quali sensazioni sono legate a questo primo giorno di proiezione?

Adelmo Togliani: Le prime cinematografiche sono un momento importante. Sarò sempre grato al direttore del Torino Film Festival Steve della Casa e al suo staff per averci ospitato in una kermesse così prestigiosa. Condividere tutto questo con un amico/fratello come Daniele rende tutto ancora più emozionante. E poi non dimentichiamoci che mio padre esordì come cantante radiofonico proprio alla Rai di Torino nel 1949 e ha costruito il suo successo canoro lì. Insomma, è un cerchio che si chiude.

Daniele Di Biasio: L’anteprima di un proprio film è sempre una grande emozione: il grande schermo, la sala, soprattutto il pubblico che è lì desideroso di farsi raccontare una storia da te e quella di Achille Togliani è una bella storia da raccontare. Ne vado orgoglioso. L’unica volta che ho partecipato al Torino Film Festival è stato con “Pesci Combattenti”. Vincemmo il Premio Cipputi e la menzione come miglior documentario. Forse una delle più mie più belle esperienze festivaliere. Era la ventesima edizione e quindi tornerò al Festival di Torino dopo vent’anni esatti, un po’ più vecchio, ma carico di ricordi e di grandi aspettative per un progetto a cui tengo davvero molto.

Daniele, sei un regista di documentari, cosa rappresenta per te questo genere cinematografico e cosa ami di questo linguaggio?

Faccio fatica a considerare il documentario un genere cinematografico codificato. Cerco di spiegarmi meglio: quando si incontra una storia che vale la pena raccontare attraverso immagini catturate dalla realtà (anche se si tratta di repertorio) il linguaggio deve modellarsi sul tema, sui sentimenti dei protagonisti. Anche la gestione del tempo narrativo in un documentario molte volte è dettata dall’evolversi delle situazioni reali. Il regista di documentari si cala completamente nella storia, diventa parte della storia. Per quanto prendi tutto il materiale dalla realtà il documentario non è mai oggettivo, il punto di vista dell’autore è già una scelta di linguaggio.

Adelmo, senti di aver detto proprio tutto su tuo padre o pensi di realizzare altro, un domani?

Mi piacerebbe realizzare una drammaturgia teatrale corredata anche da video e aneddoti inediti, balletti, musica e canzoni. Tutto ciò aggiungerebbe ancora molto al ricordo della figura di mio padre. Il documentario, come ha detto anche Daniele, attraverso il personaggio Togliani fa luce su un’epoca. L’opera è uno spaccato di un periodo meraviglioso, che ha ancora un grandissimo appeal.

C’è qualcosa che non hai avuto modo di dire a tuo padre e che avresti voluto condividere con lui? Cosa cerchi di trasmettere, inoltre, a tuo figlio di quel nonno così tanto amato?

Avrei voluto dirigerlo in un recital dedicato ai suoi successi. Molti dei quali, nell’ultimo periodo, non aveva tanta voglia di fare. Ci sono alcuni pezzi degli anni ’60 magnifici, ma che non aveva intenzione di rispolverare. Non ha mai sbagliato nelle scelte, ma su questo mi sento di rimproverarglielo. A mio figlio cerco di insegnare il valore della memoria. Papà ha conservato tanti dischi e fotografie, con l’intenzione di lasciare qualcosa di sé e del suo passaggio su questa terra. Spero che Mattia, mio figlio, comprenda anche lui, quanto è importante tutto ciò.

Se di futuro di parla, cosa potete accennarci sui progetti che vi riguarderanno oltre Parlami d’amore?

Adelmo Togliani: Almeno un altro documentario insieme! Gli anni ’50 e ’60 sono ricchissimi di personaggi straordinari che hanno solo bisogno di essere raccontati.

Daniele Di Biasio: Non da molto dirigo un Istituto Professionale a Sesto san Giovanni, dove abbiamo l’indirizzo Servizi Culturali e dello Spettacolo. Formiamo tecnici per il cinema e la televisione con corsi di riprese, montaggio, suono. Ho delle studentesse e studenti molto appassionati, qualcuno mostra già del talento. Spesso mi fermo con loro a parlare di cinema, mi trasmettono ottimismo. Questo lavoro mi assorbe completamente e non ho progetti cinematografici nell’immediato. Ecco, mi piacerebbe scrivere un libro magari su un gruppo di studenti nei giorni immediatamente prima della pandemia e in quelli subito dopo la chiusura delle scuole.

Su Alessia Giallonardo

Nasco a Benevento, nel 1986. testarda a più non posso, perché Toro. Amo la fotografia sin da quando ero piccola e devo questa passione a mio padre. Stesso discorso per la scrittura, per ogni singola sfumatura di un racconto, di un vissuto, di uno storico incontro.

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