Marco Bonini
Marco Bonini

Marco Bonini: ho un cassetto di sogni da realizzare

Marco Bonini, attore, sceneggiatore, regista e scrittore, in un breve excursus sulla sua carriera artistica, sui progetti futuri che lo riguardano, come “Cuori” e UNITA.

Attore a tutto tondo, Marco nutre una forte passione per l’arte ed è voglioso di realizzare tutti i sogni possibili.

Ben ritrovato su La Gazzetta dello Spettacolo, Marco Bonini. Attore in piena regola, negli anni ti sei occupato anche di regia e non solo ma, esattamente, come ebbe inizio tutto ciò?

Tutto ha avuto inizio durante il primo anno di liceo. Ho sempre avuto un forte interesse per l’arte e, per puro caso, ho preso parte ad un corso di danza per poi dedicarmi al cinema, alla scrittura. Ho ricevuto la chiamata, dopo aver visto l’Arcangelo Gabriele dell’arte (ride).

Tra i primi ruoli interpretati vi è l’amatissimo Marcello de “Le Ragazze di Piazza di Spagna”, fiction ancora oggi nella memoria di molti spettatori. Che ricordo hai di quel personaggio un po’ scanzonato, simpatico?

Conservo un ricordo molto forte, intimo, di quel personaggio. Appena uscito dal Centro Sperimentale ho potuto dedicarmi al ‘mio’ Marcello, che ha racchiuso in sé tutta la storia ‘romana’, della mia famiglia, che da sempre mi accompagna: i miei nonni, i miei zii e non solo. In lui vi è anche il gusto, la passione, per la commedia nostrana. Un personaggio davvero perfetto per me, amato dal pubblico, certo, ma anche da me. Marcello mi ricorda mia nonna, ecco..

Marco, tra i tanti ruoli interpretati, a quale di questi daresti un proseguo, se te ne fosse data la possibilità?

Ti dirò, non sono un grande fan dei sequel.. Sicuramente ho nel cuore Marcello de “Le ragazze di Piazza di Spagna”, appunto, e Genziano, uno dei due protagonisti del primo film di Edoardo Leo, “Diciotto anni dopo”, scritto e interpretato insieme. Ci sono, poi, altri personaggi che porto nel cuore come il monologo portato in teatro su Ulisse, che mi regala sempre grande soddisfazione, oppure Mister Dago, che racconta la storia di un cabarettista ebreo anti-fascista, personaggio che adoro e che, purtroppo, porto in scena raramente perché difficile da vendere. Ce ne sono tanti altri, come il mio Corrado de “Il Paradiso delle Signore” ed il buon Ferruccio Bonomo de “Cuori”.

A seguire altri ruoli, altre fiction, sino all’approdo ad Un Posto al Sole, beneamata fiction di Rai3. Cosa ti ha regalato tale esperienza, la possibilità di essere nelle case degli italiani quotidianamente?

Un Posto al Sole è, per molti, una specie di ufficio di collocamento. Ci sono passati in tanti ed io non potevo essere da meno. Devo tanto ad Un Posto al Sole perché mi ha preso in una fase particolare, in cui avevo perso la grinta, l’amore per questo lavoro, e mi ha ridato tutto ciò. Si parla di una soap opera più che longeva, vista da tutti, aristocratici o meno, addirittura dal pediatra di mia figlia, sino all’inviata a Los Angeles de La Repubblica. Un prodotto di estremo successo perché trasversale. Ricordo con affetto tutti i colleghi, gli amici, ritrovati e incontrati sul set. Una specie di ritorno a casa, dal momento in cui con loro ho anche vissuto anni legati agli studi.

Non ultima la fiction “Cuori”, attesa a breve per una seconda stagione. Cosa puoi dirci a riguardo, nei limiti del possibile?

Il noto donnaiolo Bonomo subirà un cambio, una specie di conversione, ma non posso, ovviamente, anticipare altro. Il set, come ogni esperienza precedente, è stato bellissimo, e posso dire lo stesso di Riccardo Donna, regista della serie. Con Riccardo, per l’appunto, ci conosciamo da “Le ragazze di Piazza di Spagna”, amico, regista che ama divertirsi con me, regalandomi ruoli simpatici.

“L’arte dell’esperienza” è il titolo del tuo ultimo libro. Come ha preso vita questo lavoro?

“L’arte dell’esperienza” rappresenta una prima summa di questi primi trent’anni di vita artistica, personale e non solo. Parla anche di UNITA, (Unione Nazionale Interpreti Audiovisivo), prima associazione di categoria di noi interpreti. Una necessità legislativa, specie post pandemia da Covid-19, per definire cio che siamo, dando un senso reale al tutto. L’arte dell’esperienza è, dunque, un saggio necessario a capire chi siamo, rassicurandoci sui nostri valori, su chi siamo, un vero e proprio saggio.

Di quali progetti puoi parlarci in questo periodo, Marco Bonini?

Sono, attualmente, in teatro con un mio testo, “La vittoria è la balia dei vinti”, al fianco di Cristiana Capotondi. Uno spettacolo, quello che portiamo in scena, che parla dei bombardamenti che si sono susseguiti durante la seconda guerra mondiale e, proprio quest’anno, ne ricade l’ottantesimo anniversario.

Che papà è Marco Bonini, specie in una società come oggi, portata sempre più all’errore, caratterizzata da azioni non sempre ‘pacifiche, pulite’?

Sono un papà molto presente. Ho mio figlio con me, al momento, ed una figlia più grande che studia in Olanda. Cerco di commettere meno errori possibili ma, in ogni caso, è impossibile non farne. Credo, ad ogni modo, che sia fondamentale regalare loro presenza, sopra ogni cosa.

Un sogno nel cassetto, un lavoro ancora da realizzare?

Ho cassetti pieni di sogni, così come li ho nel computer, in ogni dove. Spero di continuare a vivere dei sogni che ho, privilegio non poco raro, magari su una scala un po’ più grande.

Su Alessia Giallonardo

Nasco a Benevento, nel 1986. testarda a più non posso, perché Toro. Amo la fotografia sin da quando ero piccola e devo questa passione a mio padre. Stesso discorso per la scrittura, per ogni singola sfumatura di un racconto, di un vissuto, di uno storico incontro.

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