Amatissimo dal pubblico, noto per i tanti ruoli interpretati nel corso della sua carriera, da “Incantesimo 4”, a “Elisa di Rivombrosa”, all’indimenticata “Capri”, sino a “Rex”, “Al di là del lago” e molti altri lavori, abbiamo il piacere di intervistare Kaspar Capparoni, attualmente impegnato nella tournée teatrale, “Due coppie scoppiate”, per la regia di Luigi Russo, che ha avuto la sua ripresa proprio alcuni giorni fa. Kaspar ama profondamente il suo mestiere ed è proprio di questo che parleremo, in particolar modo.
Benvenuto su La Gazzetta dello Spettacolo, Kaspar Capparoni. Come stai?
Sto bene, grazie!
Attualmente sei in teatro con la commedia, “Due coppie scoppiate”, per la regia di Luigi Russo, dopo due anni di fermo. Cosa rappresenta per te questo ritorno in teatro?
Il teatro è nascita e, allo stesso tempo, rinascita. Mai come in questa occasione, posso affermare che si parla di una vera e propria rinascita, sia per noi attori che per il pubblico, che è stato privato di tutto, a cominciare dalla libertà, diventando una specie di automa. Ieri sera, a fine spettacolo, ho pronunciato che “non c’è miglior cura del teatro”. Spero sia davvero così e che non si tratti di una falsa partenza.
Durante il lockdown, utilizzando la tua casa come set, hai preso parte a, “Il Cinema non si Ferma“, con la collaborazione di tutta la tua famiglia. Che esperienza è stata?
Abbiamo voluto esorcizzare il momento, cercando di far capire al mondo che eravamo “vivi”. Si è trattato di un’esperienza unica, innovativa, legata ad un’extrema ratio per far capire che, nonostante tutto, eravamo lì, pronti, presenti. Il concetto è sempre lo stesso: esistiamo se esiste il pubblico, semplicemente. Fortunatamente, il tutto è stato accolto bene dalla gente, in una chiave anche simpatica, ironica, legata proprio al voler esorcizzare questa situazione, facendo il possibile per poter realizzare tutto ciò.
Cosa ti ha spinto, anni fa, ad intraprendere il mestiere dell’attore?
Me lo chiedo ancora oggi! Sono una persona istintiva, che si fa trascinare dalle sensazioni. Anni fa, quasi quaranta ormai, vivevamo un altro cinema, un altro teatro, una considerazione totalmente differente di questo mestiere. Le cose si evolvono, ma non sempre nella maniera migliore ma, ad ogni modo, il tutto va accettato. Ritengo di aver vissuto un’avventura bella, forte, nonostante gli alti e i bassi e non cambierei di certo questa professione con nessun’altra.
Quanto pensi sia cambiato, oggi, questo lavoro?
Totalmente! Dalla preparazione alla considerazione, basti vedere cosa è accaduto non appena ci hanno chiuso. Noi siamo stati i primi ad essere fermati. Ricordo che ero impegnato in uno spettacolo. Questo mestiere, oggi, non ha nulla a che vedere con ciò che ho vissuto io. Non vi è nulla di buono, purtroppo, su cui poter costruire qualcosa. Si tratta di circostanze, di occasioni, senza nulla di costruito o programmato. Questo accade nel nostro paese, mentre in altri il tutto ha più consistenza. Basti pensare che siamo stati proprio noi ad insegnare questo mestiere ai tanti e, ora come ora, siamo schiavi di un sistema, di un mero gioco di potere.
Hai preso parte a molte fiction di successo, regalando al tuo pubblico tanti aspetti e personaggi differenti. C’è un ruolo a cui sei ancora oggi particolarmente legato?
Ho dato tanto a tutti, seppure in diverse modalità e mi hanno lasciato addosso qualcosa di bello, di appagante. Non ho alcuna graduatoria legata a delle preferenze. Amo profondamente questo mestiere e, proprio per questo, non riuscirei mai a parlare di un personaggio specifico, accantonandone altri.
Nel 2019 hai preso parte a “L’isola dei famosi”, mostrando a tutti il tuo lato avventuroso, combattivo, annesso al tuo amore per la natura e lo sport. Cosa porti con te da quella esperienza?
Si è trattato di un momento, di un divertimento. Ho voluto prendervi parte, dopo aver parlato con alcuni amici che vi avevano già partecipato, per mettermi alla prova. Mi interessava poco il gioco in sé, volevo semplicemente capire se fossi stato davvero capace di affrontare determinate cose e situazioni. In quei tre mesi ho avuto delle risposte molto chiare. Sarei rimasto altri tre mesi, ma penso che i precedenti siano stati già sufficienti.
Viviamo in una società a tratti sbagliata, di certo differente da come lo era un tempo. Da padre, quali valori cerchi di tramandare ai tuoi figli?
Cerco di fare meno danni possibili! Cerco di trasmettere loro il mio modo di essere e, da parte mia, mi auguro che possano cogliere tutto questo, nel loro essere svegli, ben capaci di apprendere. I nostri ragazzi, purtroppo, non vivono una vita semplice e questo di certo non mi rende sereno. I più grandi, in particolar modo, si ritrovano ad affrontare una giungla legata al non trovare facilmente lavoro, al non avere il giusto spazio nella società e, allo stesso tempo, anche i mezzi di comunicazione che abbiamo aiutano poco. Spero solo siano capaci di comprendere da soli, con il tempo, che è un peccato essere schiavi di un cellulare, di questo nuovo tipo di comunicazione che non ti permette di toccare una persona, di venirsi incontro.
C’è qualcosa, a livello lavorativo, che non sei ancora riuscito a realizzare, a portare in scena?
Certamente! Sono un frullatore, da questo punto di vista. Mi auguro di poter riuscire a realizzare al più presto alcuni progetti che ho in mente da qualche tempo.
Chi è Kaspar nella vita di tutti i giorni e quanto è riuscito a realizzare di quei sogni che aveva da ragazzo?
Sono una persona normale, che fa un mestiere stupendo, davvero bello e che cerca di vivere la propria vita serenamente. Ho realizzato tantissimo e non posso quindi volere nulla di diverso da ciò che già ho.
Cosa prevede il futuro artistico di Kaspar Capparoni?
Sarei felice, al momento, di portare a termine questa ritrovata tournée, vista la situazione che viviamo. Sto lavorando, tra l’altro, ad alcuni progetti importanti che mi auguro possano vedere presto la luce. Sono testardo, prima o poi riuscirò in tutto ciò.