In scena con “Non ci facciamo riconoscere”, in questi giorni al Teatro Agrycantus di Palermo, incontriamo l’attore Marco Falaguasta, sempre pronto a parlaci di sé, dei suoi ultimi sviluppi lavorativi, della voglia che da sempre ha di condividere spunti e riflessioni, con il pubblico che tanto ama.
Benvenuto su La Gazzetta dello Spettacolo, Marco Falaguasta. “Non ci facciamo riconoscere” ti rivede protagonista in teatro, da qualche tempo. Cosa puoi dirci a riguardo?
Ho scritto questo spettacolo, “Non ci facciamo riconoscere”, due anni fa ed ha preso vita perché, a mio giudizio, siamo cresciuti con la narrazione che gli anni ottanta siano stati un periodo da ricordare con nostalgia, tenerezza e rimpianto. Degli anni da ricordare soltanto per l’atmosfera di spensieratezza, leggerezza, che ci ha caratterizzato. Che siano stati degli anni proficui, validi per la nostra generazione, è oggetto di domanda durante il nostro spettacolo: sono stati davvero gli anni così belli e spensierati, oppure quella leggerezza e spensieratezza oggi la paghiamo a caro prezzo? L’impressione che ho avuto, insieme ad Alessandro Mancini, è che si sia stati invitati ad una grande festa, pronti a divertirci, e mentre lo facevamo, nella stanza accanto ci fregavano i cappotti. Ecco, l’immagine dei cappotti per me rappresenta il simbolo della dignità perché, a mio parere, la generazione di quegli anni, da un punto di vista sociale, si è fatta riconoscere poco. Un viaggio nella satira, attraverso la musica, una serie di avvenimenti..
A Marco Falaguasta, nello specifico, cosa manca di quegli anni?
Manca di certo la spensieratezza, prima di tutto. Ero giovane, all’epoca e, quando lo sei, pensi che tutto sia possibile, guardi alla vita con maggiore positività. Manca, da parte della nostra generazione, una più profonda partecipazione sociale e coscienza. Siamo cresciuti con l’ossessione di dover definire quali fossero i buoni e i cattivi ma con il desiderio di appartenere ai buoni. A tal proposito mi chiedo: è più produttivo stabilire chi siano i buoni e i cattivi o chi sono, invece, gli autentici? Da genitore, oggi, mi stupisce notare che abbiamo un atteggiamento giudicante verso i nostri ragazzi, i nostri figli. Immotivatamente perché questo mondo glielo stiamo lasciando noi ed è il prodotto delle nostre scelte. La domanda delle domande allora è, quale scenario gli lasciamo?
Un mondo, come evidenziavi, orientato anche all’errore, quali consigli dai, da papà, ai tuoi figli in prima battuta?
L’errore primario sta nel categorizzare i buoni e i cattivi. L’errore, se guardiamo bene, va sempre valutato pensando ai pensieri del prima e ai pensieri del dopo. I pensieri del prima ti portano a compiere una determinata azione che potrebbe verificarsi un errore.. quindi l’errore può comunque essere una possibilità ma credo che nessuno di noi, agendo, si ponga l’obiettivo di sbagliare..
Marco Falaguasta, quali sensazioni sono legate alle tavole del palcoscenico, alle emozioni che ti regala da sempre?
È una cosa bellissima! Ogni volta l’emozione è sempre più intensa, forte. Non sta a me valutare il mio percorso ma sono certo di avere un entusiasmo trascinante. Il mio obiettivo è quello di poter condividere qualcosa mettendo a disposizione della platea il mio modo di vedere le cose, interagendo con loro, lasciando uno spunto, qualcosa di diverso. Se riesco a fare questo sono l’uomo più felice del mondo.
Da qualche mese, su Mediaset Infinity, sono presenti le repliche di “CentoVetrine”, un progetto a cui, per qualche anno, hai preso parte. Ti andrebbe di lasciarci un ricordo di Fabrizio Portalupi, indimenticato regista della serie?
Fabrizio era una di quelle persone che nella vita è bello incontrare. La sintesi dell’anticonformismo, pronto a fornirti punti di vista diversi con una sapienza tipica di chi si pone l’obiettivo di portarti la sua idea. Rispettoso di tutti, di ogni esigenza di noi attori, pronto a mettere a disposizione della storia il meglio che ognuno di noi potesse dare. Un lavoro popolare, “CentoVetrine”, nel senso buono della parola, con dei ritmi produttivi molto alti, che non sempre lasciavano spazio ad un’attività creativa approfondita che Fabrizio, con i suoi suggerimenti e caratterizzazioni sapeva, invece, fornirti e con un punto di vista maggiore. Ricordo, inoltre, la frase con cui iniziava il suo approccio con ogni attore, “se ti posso dare un consiglio”, a sostegno che è vero che le persone, in qualche modo, restano nella tua vita. La sintesi della sua delicatezza.
Recentemente è mancato anche Lando Buzzanca, un altro incontro importante, per te, ne “Il Restauratore”…
È vero, anche Lando ha rappresentato un bellissimo incontro. Ho avuto la fortuna di lavorare con lui per due stagioni di seguito, partendo da un rapporto conflittuale tra i due personaggi, perchè avrei dovuto arginare quella sua irruenza.. Di lui ho apprezzato il rigore con cui affrontava la professione, il suo mandato, e poche volte l’ho visto ‘nervoso’ verso alcuni attori. Lo era quando notava che non conoscevano la parte. Per lui la memoria era ‘la libertà dell’attore’ e questa mancanza di accuratezza era inaccettabile. Questo proprio perché Lando, dopo cena o prima, studiava tanto con il rigore di dire “vado in camera”. Era un malinconico ma era anche molto molto divertente. Mi ha, difatti, toccato il suo epilogo di vita non poco piacevole e, avendone tenuto un rapporto, lo sentivo spegnersi sempre più, fiammella dopo fiammella..
In ultima battuta, cosa puoi anticiparci sul tuo futuro artistico, Marco Falaguasta?
Sono in attesa della seconda stagione di “Storia di una famiglia perbene”, in onda su Canale5, prossimamente. Ancora una volta vestirò i panni di un tutore dell’ordine con modi non poco ortodossi.