Per la nostra rubrica dedicata ai talenti, incontriamo Silvia Giansanti, che a 13 anni e mezzo, mentre le sue amiche di scuola uscivano a passeggiare, lei impiegava il suo tempo libero per parlare davanti ad un microfono e a mettere dischi chiusa dentro uno studio.
La radio, insomma, se l’è cucita addosso già agli albori della sua adolescenza. Tanta gavetta presso emittenti private della provincia di Roma e poi a vent’anni l’approdo nel mondo delle radio romane, lì dove stazionavano già i grandi della radio pionieristica. Radio Roma, Radio Luna 99,3, Radio Serena, Radio Emme 100, Radio Globo, Dimensione Suono Roma e attualmente Dimensione Suono Soft sono le tappe salienti del suo percorso professionale. In mezzo c’è stata anche la conduzione, per alcuni anni, dell’edizione estiva della storica “Hit Parade” su Rai Radio 2.
E, per impreziosire il bagaglio di Silvia Giansanti, ha prestato e presta la voce per spot e over sound e per la realizzazione di programmi radiofonici “confezionati” presso la Foxy John Productions, il cui titolare è proprio il mitico John, voce di “Ballando con le Stelle”, ovvero colui che urla durante le votazioni: “Guillermo Mariotto, occio! (otto)”.
Silvia Giansanti, benvenuta su La Gazzetta dello Spettacolo. Come e quando nasce il tuo amore per la radio?
Nasce tutto quando ero piccola e mia mamma ascoltava Radio Montecarlo. Eravamo negli anni ’70 e subito sono stata attratta da quella specie di scatola magica da cui uscivano musica e parole. Ricordo che, sempre in quel periodo, durante le festicciole che si tenevano in casa per il mio compleanno, prendevo in mano il microfono collegato ad un piccolo impianto hi-fi di mio padre e mi divertivo a far esibire i compagni di scuola in una sorta di karaoke, presentandoli. Altra particolarità era che a scuola preferivo l’esposizione orale a quella scritta.
L’emozione della tua prima diretta… Ricordi la prima canzone mandata in onda?
Sì, era il 21 aprile del 1984 e allora si usavano i vinili. Il primo disco annunciato con voce tremula fu ‘Radio Ga Ga’ dei Queen.
Hai iniziato nel 1984 e hai vissuto tutta l’evoluzione della radio, dal giradischi ai computer. Che cambiamento è stato?
Attualmente il fatto di aver qualche annetto in più non mi dispiace, proprio perché mi sono trovata a vivere in prima persona tutta l’evoluzione tecnica della radio. Faccio parte di quei conduttori radiofonici intermedi, ovvero che sono arrivati dopo i grandi nomi storici pionieri e prima delle nuove leve, tante delle quali uscite maggiormente dai talent. Il fatto oggi di essere supportati dalla tecnologia è una grande cosa, ma l’emozione dell’analogico è irripetibile.
In radio è più facile lavorare adesso o quando hai cominciato?
All’epoca ci si doveva occupare di tutto, persino riattivare un trasmettitore in terrazza ogni volta che si verificava un problema tecnico. Si rispondeva al telefono e si dovevano curare un mucchio di aspetti intorno ad una trasmissione. Abbiamo un grande bagaglio tecnico dentro. Oggi comunque, anche se c’è il supporto della tecnologia e di tante figure professionali all’interno di una radio, si deve avere la giusta preparazione ed essere al passo con i tempi. Ogni momento ha le sue difficoltà e il suo fascino.
Nel 2024, tra pochi mesi, festeggi 40 anni di radio. Ti senti realizzata per quello che sei riuscita ad ottenere o hai dei rimpianti?
Mi sento realizzata perché ho potuto svolgere ciò che volevo fare a tutti i costi sin da adolescente, ma avrei voluto qualche momento giusto e qualche persona giusta nel corso del mio cammino professionale. Del resto sono i rischi di un mestiere artistico.
Silvia Giansanti qual è la dote principale che, secondo te, dovrebbe possedere chi lavora in radio?
La personalità e la spontaneità. Va bene prendere spunto, ma mai scimmiottare qualcuno.
Hai sempre condotto programmi di intrattenimento musicale? Quanto è importante conoscere la musica?
Conoscere la musica è fondamentale. Ancora oggi mi trovo a scoprire personaggi e canzoni di tempi remoti. È buono avere un bagaglio personale, anche se oggi questo aspetto è sempre meno considerato in radio. Ogni momento ha le sue tendenze.
Il tuo è un curriculum di tutto rispetto, dove si annoverano esperienze importanti. Tra queste c’è stata la conduzione, per alcuni anni, dell’edizione estiva su Rai Radio 2 della storica “Hit Parade”. Cosa ha significato per te essere al timone di una trasmissione che ha visto passare davanti al microfono i grandi nomi della radiofonia e che fu di un certo Lelio Luttazzi?
Non ci credevo. Non ho dormito per tre giorni. Avevo appena venticinque anni e mi sono ritrovata al timone di un programma storico, dopo essere stata scelta, tra tanti pretendenti da tutta Italia, dal curatore di Hit Parade, Andrea Angeli Bufalini, mediante una semplice demo. Era il 1995 e da lì poi fui richiamata nella prima decade degli anni Duemila per alcune stagioni estive.
Oggi sei a Dimensione Suono Soft, un’emittente molto seguita del gruppo RDS. Che tipo di trasmissione conduci?
Un programma molto soft, per essere in linea con la tipologia della radio. Musica in primis con tanti successi che sono rimasti nel cuore e poi interventi discreti ma incisivi. Il tutto arricchito da notizie di benessere, collegamenti con la redazione e prestigiose rubriche all’interno del programma.
Il tuo rapporto con gli ascoltatori. Hai un aneddoto o una curiosità da raccontare e a cui tieni tantissimo?
Ce ne sono vari. Ricordo un ascoltatore che nei primi anni Duemila è partito dalla Toscana con un anello prezioso allo scopo di conquistarmi. Negli ultimi anni mi è capitata una situazione che non dimenticherò più. Una mia amica mi ha fatto sapere che un suo caro amico era ricoverato in ospedale con un tempo ormai limitato per lui. Essendo consapevole della sua malattia, ha espresso il desiderio di avere un mio vocale contenente un mio saluto per lui. Sono rimasta colpita e ho capito che la radio può essere una potenza assoluta.
Silvia Giansanti pensi che tra le nuove leve della radiofonia ci sia lo stesso amore e passione per il mezzo che avevate voi che avete iniziato in un’epoca pioneristica e post?
Secondo me no. Oggi molti giovani usano il mezzo radiofonico con il desiderio di emergere, per ritagliarsi una fetta di notorietà e per andare in tv. È diverso dalla passione che c’era una volta quando si trasmetteva da uno scantinato, in alcuni casi ‘con una scarpa e una ciabatta, e non si prendevano nemmeno soldi. Nel tempo è diventata una professione a tutti gli effetti e per questo ambita. Chi ha vissuto l’epoca pioneristica sa che quel periodo era avvolto da una certa magia che oggi non sarebbe possibile. L’amore per il mezzo radiofonico si misura solo dentro di noi. Ho idee della vecchia scuola e credo che la miglior cosa sia sempre l’autodidatta, mosso da un’irrefrenabile passione.