Valentina Carnelutti. Foto di Azzurra Primavera
Valentina Carnelutti. Foto di Azzurra Primavera

Valentina Carnelutti: la “mia” Angela nella lotta sociale

Una piacevolissima chiacchierata, quella vissuta con l’attrice Valentina Carnelutti, da sempre apprezzata dal pubblico.

L’occasione è legata al suo essere protagonista de “L’uomo senza colpa”, film ad opera del regista Ivan Gergolet. Una donna forte, l’Angela che ha avuto modo di interpretare, così come lo è la stessa Valentina. Un breve excursus, quello vissuto con la Carnelutti, che ci riporta ai suoi inizi, all’amata ed indimenticata Veronica Colombo di “Squadra Antimafia“, al suo futuro artistico.

Benvenuta su La Gazzetta dello Spettacolo, Valentina Carnelutti. Teatro, cinema e televisione sono da sempre nel tuo DNA, parte di un percorso artistico vasto e vario. Come ebbe vita questa tua passione per la recitazione, insieme, conseguentemente, al canto, alla regia, sceneggiatura e doppiaggio?

Nei miei diari di bambina c’è scritto che volevo diventare clown, pattinatrice, musicista, artista. Poi invece, ancora minorenne, ho studiato teatro e messo al mondo due figlie. E la mia vita lavorativa e di madre sono cresciute in parallelo. Ho fatto un’infinità di lavori per mantenerci e continuo a credere che anche grazie a questi sono riuscita poi a interpretare personaggi così diversi tra loro. La maternità mi ha portata a valutare molto presto per che cosa valesse la pena impegnarmi, e assentarmi anche. Così ho dovuto fare delle scelte, e qualche rinuncia, ripagata da una famiglia che ho sempre desiderato. Una famiglia allargata, sghemba, orfana ma felice. Dopo i primi anni di teatro il cortometraggio di Barbara Melega (“Marta Singapore”) mi ha portata al cinema, e poi grazie a “La meglio gioventù” non sono stata più una sconosciuta che faceva film sconosciuti. Grazie a Virzì si è aperto uno scenario diverso, quello della commedia e di una certa leggerezza. Da allora ho interpretato più di 30 film tra cinema e televisione eppure, ancora oggi, quando mi presento a un incontro sembra sempre la prima volta. É ancora e sempre tutto da dimostrare, da conquistare.

Quanto sei cambiata da quegli inizi e quanto sei riuscita a concretizzare di quei sogni che avevi da ragazza?

Non sono stata una ragazza particolarmente ambiziosa. Studiosa sì, desiderosa di amore, di pace e di un po’ di stabilità, che cercavo sempre negli altri. Ho capito solo recentemente che invece dovevo trovarla in me stessa la stabilità, proprio nel mio essere sempre in movimento. Ecco forse il realizzarsi dei miei sogni è questo, questa intuizione. Oltre a potermi mantenere con il mio lavoro e coltivare una relazione felice con le mie figlie che adesso sono due donne eccezionali. La speranza non ancora concretizzata ha a che fare con il rapporto tra il riconoscimento del lavoro e il lavoro successivo. Sono cresciuta in una scuola americana, dove valeva il merito più di ogni altra cosa e mi continuo a stupire quando mi accorgo nel nostro mestiere invece non funziona proprio così. Film dopo film, spettacolo dopo spettacolo credevo che negli anni l’accesso sarebbe stato più facile e diretto. Forse devo ancora imparare, perché ancora non sono riuscita a integrare il nesso tra un’inaugurazione in abiti eleganti in mezzo a sconosciuti e la mia capacità di interpretare un ruolo. E se devo difendere un valore è quello della solidarietà umana, del riciclo, dell’uguaglianza, non quello del consumismo o dell’élite.

Attualmente sei la protagonista del film “L’uomo senza colpa”, ad opera di Ivan Gergolet, in cui interpreti Angela, moglie di un uomo che muore per intossicazione da amianto. Come ti sei preparata ad affrontare tale ruolo Valentina Carnelutti?

Angela è una vedova dell’amianto, si, ed è vittima di una forte ingiustizia sociale. Credo di essermi preparata tutta la vita per questo personaggio! Non c’è bisogno di essere una vittima dell’amianto per aver subito un’ingiustizia, un dolore, un lutto. Mi sono occupata in tanti modi degli altri nella vita, da madre prima, da compagna e da figlia poi, quando mio padre si è ammalato. Ho una certa dimestichezza con la malattia, e anche con la morte. E, come Angela, so cosa vuole dire essere una madre che non ha accanto il padre delle sue figlie. Quindi da molti punti di vista il ruolo mi era congeniale. Quello che ho dovuto scoprire e che ha richiesto il maggior lavoro è stato l’aspetto più controverso sempre al limite della follia di questa donna, il suo desiderio controverso che nasce dalla solitudine estrema, e mi sono molto interrogata sul tema della vendetta. Poi c’è stato naturalmente tutto il lavoro fisico: ci voleva molta forza per sollevare, pulire, lavare Gorian. Per tenere in un corpo magro e nervoso l’energia dura e tenace di Angela. Devo dire anche che senza Branko Zavrśan che ha interpretato Gorian, il mio ruolo non sarebbe stato lo stesso!

Valentina Carnelutti. Foto di Azzurra Primavera

La tua Angela è, dunque e per vissuto e per bisogno, una donna forte..

Angela è fortissima e fragile al tempo stesso. La sua forza fisica è nervosa. La sua determinazione nasce dal dolore, dal dispiacere, dalla rabbia anche. La sua apparente follia dalla difficoltà di conciliare la compassione con la vendetta. Ma per capire queste osservazioni bisogna aver visto il film!

Un tempo, per molti di noi, sei stata la Veronica Colombo di “Squadra Antimafia”, dai molti ancora oggi osannata, acclamata. Che ricordi hai di tale esperienza e quanto c’era, se vogliamo, di Valentina in quel ruolo?

Quel ruolo mi ha regalato momenti di grande soddisfazione. E mi ha insegnato molte cose. Non ero certa di voler entrare in una fiction con un ruolo fisso ma la sfida del siciliano da imparare e un personaggio così ambiguo mi hanno convinta. Un ruolo che si ripresenta in ogni puntata per molto tempo (anni addirittura), ti consente di sperimentare, rischiare, sbagliare anche, perché puoi recuperare. Così la mia Veronica è stata un terreno di sperimentazione, in cui ho scoperto una Valentina capace di diventare una “femminona”, di giocare alla seduzione, ho imparato qualcosa di come si vivono le donne che quella sensazione la provano tutti i giorni. E ora ho un asso in più tra le mie carte. Anche se poi continuo ad andare in giro in jeans e stivali. E poi… la Sicilia! Che meraviglia. Se mi chiedessero di ricominciare domani lo farei.

Tra i soci fondatori di U.N.I.T.A, associazione nata a tutela degli attori, recentemente. Quanto ancora c’è da fare affinché coloro che amano questo mestiere, e lo portano avanti con passione e serietà, possano avere maggiori tutele, attenzioni, da parte di chi di dovere?

C’è da fare ancora tanto! Lascio ai comunicati di U.N.I.T.A, precisi e accurati le affermazioni su cosa occorre e quanto c’è da fare. Ma aggiungo qualcosa che forse è più difficile da affrontare per una associazione di categoria: si tratta, ancora, della questione della meritocrazia, del modo in cui vengono valutati e scelti i progetti, gli attori, i registi. Ho la fortuna di aver cominciato a lavorare da molto giovane e ho un curriculum senza ombre che mi permette di andare avanti seriamente, ma a periodi non è facile e osservo quanto difficile sia per tante persone, attrici e attori eccellenti. Leggo sceneggiature splendide che non si realizzano e vedo film bellissimi che restano in sala meno di una settimana. E nel mainstream insieme ai lavori più belli circola anche tanta costosissima spazzatura. Eco, ti rispondo con delle domande: da che cosa dipende? Da chi dipende? In che modo ciascuno di noi può contribuire a un cambiamento?

Valentina Carnelutti, c’è una regia che non sei ancora riuscita a portare in scena?

Ho realizzato un cortometraggio, “Recuiem” che ha avuto la buona sorte di girare il mondo, e dopo il premio come miglior film al Festival di Torino, ha vinto diversi premi. Ora è il momento di “Margherita” una sceneggiatura finanziata dal Mibac, per cui ho una co-produzione in Francia e che ha già ricevuto diversi riconoscimenti come miglior film in sviluppo, ma che non ha ancora trovato la produzione che la possa finanziare in Italia. É un film autobiografico, ambientato tra l’Italia e la Francia, un coming of age al contrario. Aspetto pazientemente che il tempo sia maturo per realizzarlo.

Se me lo consenti, ti chiedo un personale ricordo di tuo papà, Francesco Carnelutti?

Sto lavorando proprio in questi giorni a un documentario su di lui. Abbiamo cominciato a girarlo nel 2003, sono passati vent’anni. Quando è morto ho smesso le riprese ma ho continuato a pensarci. Ora sono pronta per il montaggio. Sarà un film di una figlia che cerca un padre e di un padre che non si fa trovare là dove la figlia lo vorrebbe. Ho seguito mio padre nel corso di una conversione, al limite della follia. Non voglio dire di più, la scrittura è una fase molto delicata, e privata.

Valentina Carnelutti, in ultimo, cosa puoi anticiparci sul tuo futuro artistico?

Dovrebbero partire, in autunno, le riprese del nuovo film di Enrico Pau, un regista speciale, con cui ho fatto un film che ho amato molto, diversi anni fa. É bello quando un regista ti richiama. Così tornerò in Sardegna, e questa volta parlerò sardo.

Su Alessia Giallonardo

Nasco a Benevento, nel 1986. testarda a più non posso, perché Toro. Amo la fotografia sin da quando ero piccola e devo questa passione a mio padre. Stesso discorso per la scrittura, per ogni singola sfumatura di un racconto, di un vissuto, di uno storico incontro.

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