Il Tempo è la sostanza di cui sono fatto, di Maria Paola Guarino
Il Tempo è la sostanza di cui sono fatto, di Maria Paola Guarino

Il Tempo è la sostanza di cui sono fatto, di Maria Paola Guarino

La sua esperienza da docente in un carcere è diventata un libro; incontriamo Maria Paola Guarino, che ci presenta il suo ultimo libro Il Tempo è la sostanza di cui sono fatto (Vittoria Iguazu Editora): “Scriverlo”, racconta, “mi ha fatto capire che la vita va sempre vissuta e che non dobbiamo mai smettere di sognare e progettare”.

E per un film ispirato al suo romanzo, ha le idee chiare: “I protagonisti ideali sarebbero Barbara De Rossi ed Edoardo Leo”. L’autrice si racconta per la nostra rubrica “Libri e Scrittori“, ed il libro è disponibile di seguito:

Professoressa Maria Paola Guarino, benvenuta su La Gazzetta dello Spettacolo. Com’è nata l’idea del libro?

Fin dalle prime letture degli elaborati dei miei alunni-detenuti ho pensato che certe riflessioni, particolarmente dolorose, avrei voluto farle conoscere perché i miei alunni fossero considerati prima di tutto uomini, allontanando così il pregiudizio legato alle loro immagini che i mass-media ci avevano presentato .

Ogni viaggio che si rispetti, e questo libro lo è, ci trova diversi da come siamo partiti. Lei in cosa si sente maggiormente cambiata? La scrittura del libro l’ha aiutata a scalfire qualche pregiudizio?

Pensando alla sorte di chi è recluso spesso mi sono chiesta come fosse impegnato il tempo che mi appariva ripetitivo e quindi vuoto, legato alla subordinazione di regole legali, ma anche illegali. Poi ho scoperto che molti progettavano culturalmente il loro tempo e potevano così volare con lo spirito oltre le mura, oltre il carcere. Ho riflettuto su quanto questo atteggiamento debba essere proprio di tutti noi; anche quando l’età avanza non dobbiamo smettere di sognare e progettare perché la nostra vita sia sempre non sopportata, ma vissuta.

“Il tempo è la sostanza di cui sono fatto” avrà un sequel?

Non credo che il mio libro possa avere un sequel, anche se la corrispondenza con il mio alunno-ergastolano continua. Può darsi che un giorno Antonio S. (l’ergastolano che nella seconda parte del libro viene raccontato attraverso uno scambio di lettere tra lui e la Guarino n.d.r.) mi racconti qualcosa di molto particolare ed allora forse potrei pensare ad un sequel.

Nel suo prossimo romanzo, tornerà a parlare della vita dietro le sbarre o cambierà completamente tema?

Ci sta pensando! Ho sempre voglia di scrivere perché la scrittura mi illumina l’ anima. Sto pensando ad un altro argomento completamente diverso dal precedente, ma preferisco non parlarne finché non prenderà forma sotto la mia penna.

Ricorda quando è nato il suo libro, quale momento della giornata ha conciliato con la scelta di scriverlo? E di riflesso qual è il momento migliore della giornata per dedicarsi alla scrittura?

Il mio libro ha iniziato a trovare la vita durante il lockdown. Io generalmente dopo un buon sonno ristoratore mi sento più intelligente e capace di risolvere le mie incertezze, per questo scrivo sempre nelle prime ore della giornata. Come diceva Jack Torrance in Shining:” il mattino ha l’oro in bocca”.

Ha pensato alla possibilità di una trasposizione del libro al teatro o al cinema?

Non ho mai pensato che dal mio libro possa nascere un film, ma sarebbe uno splendido sogno. Se il cinema volesse mostrare la mia storia vorrei che ne eliminasse la forte drammaticità e vorrei che insistesse sul fatto che il nostro tempo non debba essere considerato un lungo periodo vuoto da riempire solo con azioni ripetitive che altri ci obbligano a svolgere. Il nostro tempo, qualunque sia la nostra condizione, dobbiamo imparare a prenderlo per mano trasformandolo in un progetto produttivo per la nostra vita.

Maria Paola Guarino chi vedrebbe, nel caso del grande schermo, come attori che interpretato lei, l’ergastolano e quale modifiche si potrebbero fare per un film al racconto? Sarebbe drammatico, violento o antologico?

Se potessi avere la grande fortuna di poter vedere la storia del mio libro sul grande schermo, mi piacerebbe che il mio ruolo fosse rappresentato da Barbara de Rossi che mostra di avere grande fermezza ed empatia quando in “Il terzo indizio” tratta casi di cronaca nera. L’ergastolano potrebbe essere interpretato da Edoardo Leo che mi ricorda, sia fisicamente che per il colore della pelle e dei capelli, il mio alunno-detenuto. Non vorrei che il racconto esprimesse violenza, né che fosse antologico, ma in giusta misura vorrei esprimesse la drammaticità della situazione, ma anche la positività di un carattere (quello di Antonio S.) che cresce emotivamente e si modifica.

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