Il talento delle Donne

Storie di donne imprenditrici di se stesse

Donne, tante donne, dieci, cento, mille, di tutte le età, condizione, educazione e cultura, oggi le donne, queste signore gentili e tenaci, hanno capito in anticipo la grande sfida giocata nel successo in azienda, laboratorio, vigna e cantina, studio d’artista, atelier, sfida spinta da diversi fattori in cui le donne sono una delle più grandi opportunità di business del XXI secolo, percependo che il successo di una azienda sta nell’equilibrio dei sessi e nella valorizzazione dei talenti nel rispetto delle diversità.

Donne che rappresentano un primato di passione e di lavoro, ma, principalmente, storia di donne, fragili e forti, donne che riassumono egregiamente come l’imprenditoria femminile si esprime e opera, ed è un vivo esempio di come, negli ultimi cento anni, in maniera non traumatica, si è consumata una rivoluzione pacifica epocale, che ha modificato il ruolo della donna in tutto il mondo e in tutti i settori professionali.

Al secolo XXI spetta infatti la trasformazione delle idee in pratica diffusa: la speranza è in una proiezione per cercare di prevedere come sarà un mondo governato anche dalle donne…

Elisabetta Rogai, artista

Elisabetta Rogai. Foto di Dario Garofalo.
Elisabetta Rogai. Foto di Dario Garofalo.

Moglie, madre e nonna, insegnante e artista… Per Elisabetta Rogai l’arte è in ogni cosa che l’occhio apprezza per armonia di linee e colori e si traduce in bellezza. Ma cos’è questa armonia? È una composizione di linee e dimensioni che stanno in rapporto tra loro e che riepilogano la perfezione naturale, equilibrio, ritmo, gradualità, ripetitività, contrasto, tutto deve essere contemplato per assistere alla realizzazione di un’opera d’arte, sia un volto di donna, un cavallo, un aquila in volo, un paesaggio, non ci rimane che arrendersi davanti allo spettacolo unico dell’armonia, quella dell’artista Rogai, un istante rivelato, quello che serve all’artista per rubare l’anima al soggetto, lasciando libera la parte definita anima, mostrandola al mondo, le mani e gli occhi, l’attimo, il pennello corre veloce, l’abbinamento della pittura a olio con il vino, EnoArte è l’uso del vino al posto del colore, etichette che raccontano storie come i volti della gente, un viaggio con la proiezione nei tempi dello stupore, delle illusioni, del dolore ma anche della gioia e dell’amore, l’artista ne ruba i sogni, ferma istanti di sguardi, di “incontri”, le sue non sono illusioni ma suggestioni…

E il vino diventa il primo attore un calice rinascimentale di Brandimarte, un casale con una tovaglia a quadretti sulla tavola, una cantina piena di tini, un cancello con un glicine in fiore, il vero lusso della semplicità toscana… Il punto esatto in cui la terra incontra la poesia, per vivere e promuovere il territorio, la cui chiave di lettura è l’emozione che da un bicchiere di vino, volti, suoni, parole, immagini della terra, del Made in Italy.

Anna Maria Orsati Vitellozzi, imprenditrice

Anna Maria Vitellozzi ed il suo team. Foto di Carlo Bressan.
Anna Maria Vitellozzi ed il suo team. Foto di Carlo Bressan.

Siamo nell’hinterland fiorentino, capannoni a oltranza, la zona industriale della città dove Anna Maria Orsati Vitellozzi si muove con eleganza in Azienda, un mondo prettamente maschile, qui sembra di entrare in un paese incantato, fatto di finestre e infissi, dove la bellezza del vetro, i giochi di trasparenze, la maestria dei tagli e dei colori del vetro si propongono agli abbinamenti con l’armonia dei cromatismi, fatti da giochi di luce, la luce che varia su vetri evanescenti, trasparenze, impalpabili emozioni, un sottofondo scadenzato dal rumore delle macchine, dal tintinnio del vetro, dalle ruote che girano incessantemente, e poi il silenzio con gli attimi di magia che danno vita alle forme per un concerto di archi, per creare nell’insieme un opera d’arte.

L’Azienda è a conduzione familiare, Anna Maria lavora a fianco del marito, una Azienda che nasce da più di 30 anni con l’innovativo concept della fidelizzazione dei dipendenti.

Una bella avventura, quella di Anna Maria Orsati Vitellozzi, imprenditrice di successo e appassionata di pugilato….anche la boxe è donna!

Indra Kaffemanaite, stilista

Balossa. Foto di Ivailo Stanev.
Balossa. Foto di Ivailo Stanev.

Lituana, innamorata dell’Italia e del fashion che si respira dovunque, Indra imposta le sue collezioni sulla camicia bianca maschile, cogliendo una donna che, con raffinata fresca eleganza, esprime la sua femminilità in un gioco di bianchi. Una donna che indossa capi rubati dal guardaroba maschile come la camicia candida, studiata dalla stilista che interpreta il suo capo “base” in termini di uso universale, dando degli accenni e sottolineando dei particolari che fanno la storia della camicia da uomo, dal modello della doppia camicia in una, severa ma affascinante, allo sbieco del collo che riporta ad un raffinato Dandy settecentesco, la trasformazione della camicia in una candida e verginale tuta, dalle mistiche reminiscenze,

E poi Indra trova l’accenno nei “papier de musique” la piegatura che ricorda il rigo musicale, il dorso di una camicia, trionfante, che si arricchisce ai lati per diventare una quasi mistica cotta monacale, ruba il plastrom alla camicia da smoking maschile ricordando che Oscar Wilde diceva “l’eleganza si concentra nella camicia” usandolo per sottolineare un morbido scollo.

Una serie di tagli che diventano cinture, punte asimmetriche da cui sbuca un allegro rosario, un flash di colore sul candore del bianco, spacchi laterali che, da squadrati, diventano rotondi ritrovando l’ispirazione negli affreschi di Piero della Francesca, incroci, intrecci, un modello nel quale Indra, nel citare la camicia bianca, ne disegna una molto classica ma priva del tradizionale colletto che diventa un inedito cappuccio, ma anche stola, mantella, cintura, una camicia ornata da un pannello che diventa quasi un grembiule, apparentemente un controsenso, apparente in quanto, affermando il concetto della stilista, la camicia bianca diventa paradigma del minimalismo, la tendenza a semplificare usandola come sfondo etnico, presentandola morbida, lunga e svasata con collo a solino, maniche ampie e arricciature, gli scolli coreani minimali, ed infine camicie che diventano quasi mini abiti dall’ eleganza fragile, il popeline di cotone si fa pesante per il cotè androgino che si affianca alla seta strech femminile.

Su Cristina Vannuzzi Landini

Nata a Firenze e residente a Firenze e New York é esperta in comunicazione, ufficio stampa e merchandising.

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