Professionista e da sempre di classe, l’attrice Caterina Vertova, con cui ho avuto modo di vivere una piacevolissima chiacchierata legata ai suoi inizi, all’amato teatro e a “La casa di ciascuna”, uno spettacolo in scena il 26 marzo a Tor Bella Monaca, puramente in difesa delle donne.
Benvenuta su La Gazzetta dello Spettacolo, Caterina Vertova. Lei è una donna elegante, raffinata, con alle spalle molti ruoli forti, determinati. Che ricordo ha di quegli inizi, di Strehler, dei primi progetti importanti?
Il teatro è da sempre un mio grande amore. Mi sono avvicinata alla televisione in relazione al desiderio di essere un po’ più conosciuta e, così facendo, ho poi scoperto il fascino del mezzo televisivo. L’incontro con Giorgio Strehler ha rappresentato, invece, la poesia. Lui era in grado di fare questo, di trasformare tutto in poesia: dall’acqua che cadeva sul palcoscenico, all’apertura e chiusura del sipario, al muoversi della stoffa della mia gonna in base alla camminata del personaggio. Era potentissimo!
Quali sensazioni sono legate alle tavole del palcoscenico, alla possibilità di avere il pubblico dinanzi a sé pronto, se vogliamo, anche a giudicare?
È per me fondamentale poter sentire il silenzio, prima dello spettacolo, ascoltarlo come se fosse un rumore, un riverbero. Adoro il momento in cui è ancora tutto pregno di ciò che è accaduto la sera prima. E poi ne amo lo spazio, entrare in palcoscenico anche quando non c’è ancora il pubblico. È come una magia che va riconosciuta.
Il progetto, “La casa di ciascuna”, è stato presentato, questo 29 febbraio, ed è in favore di tutte le donne vittime di violenza, malattie e discriminazioni. A tal proposito, cosa può dirci a riguardo?
La parola “dignità” è per me fondamentale, significa davvero tanto. Ho ritenuto necessario che alcuni teatri si occupassero di questo. Credo che il ruolo di noi donne sia talmente sfaccettato da toccare tutti i vari ambiti in cui vi sono dei diritti da recuperare. Le donne, lo sappiamo benissimo, fanno crescere le nuove generazioni, educano, specie nel sud del mondo. È un ruolo affidato quasi esclusivamente alle donne. Credo che lavorare sulla loro consapevolezza, aumentandone la possibilità di azione, significhi aumentare anche la possibilità di azione delle prossime generazioni. In questo percorso teatrale è anche venuta fuori la crudeltà di noi donne, un pizzico di verità in più, senza perbenismo alcuno. Sostegno, protezione e conoscenza, tre elementi fondamentali per la costruzione della dignità dell’essere donna.
Il suo vissuto ha toccato anche la soap opera, un tempo. Abbiamo potuto vederla, difatti, nei panni di Rossana Grimani in CentoVetrine e, qualche anno dopo, ad Un Posto al Sole, all’ombra del vesuvio. Che ricordo porta con sé di quelle esperienze, della quotidianità vissuta sul set, di Torino e Napoli?
Non avrei mai pensato di prendere parte ad una soap opera. Un passo per me stravagante, perché legato ad un progetto seriale, ad una ripetitività. Al contempo, ha anche rappresentato qualcosa di importante. Torino mi ha permesso di gestire i miei tre figli, cosa che a Roma sarebbe stato impossibile. Ho un buon ricordo anche di Napoli, una città bellissima che mi ha regalato tanto e che rende particolare anche una semplice chiacchierata con un tassista. Tornando a Torino, è stato lì che ho cominciato a trattare un teatro legato alle donne, temi che mi hanno accompagnata sino ad ora.
Quanto è cambiata rispetto alla donna che è oggi e cosa è riuscita a concretizzare di quei sogni che aveva da ragazza?
Sono cambiata tanto e ne sono profondamente soddisfatta. Così come sono soddisfatta di come sto lavorando in questo momento. Sono davvero felice!
Cosa manca, ancora oggi, al suo vissuto e quale ruolo non è ancora riuscita a toccare?
Sarei felice di lavorare con Pedro Almodóvar, un regista dotato di una sensibilità eccezionale. Ha una visione della donna che amo particolarmente, anche perché imprevedibile. In Italia ciò non accade, fatta eccezione per Özpetek, che sa indagare l’animo femminile. Mi ha regalato un bel ruolo nel film “Cuore Sacro” e in teatro in “Mine Vaganti”.
Nota un cambiamento, rispetto a quelli che sono stati i suoi inizi, specie nel modo di fare teatro e televisione?
Si ed anche in bene, ti dirò. È da poco tempo che vedo delle cose che mi piacciono molto. Potrei citare “La Clitennestra”, per la regia di Roberto Andò, ad esempio. È come se ci fosse sempre una corrispondenza tra l’epoca che stiamo vivendo e come vengono messe in scena le cose. Una correlazione molto forte. Vado spesso a teatro, specie quando sono a Berlino. C’è un’aria diversa lì, un’internazionalità tranquilla e molto spazio per tutti. Succedono cose davvero belle!
Ha mai pensato di portare un suo soggetto in televisione?
No, non ho mai pensato a questo. Forse, però, bisognerebbe farlo. Il rapporto con la scrittura viene spesso rimandato ma dovrebbe, invece, essere sviluppato. Ho pensato, in passato, di proporre delle trasmissioni. Non capivo come mai mancasse la semplicità nel capire cosa fosse il mondo del teatro, un qualcosa di difficile da portare in televisione.
Caterina Vertova, un invito da lanciare affinché questa restituzione scenica, “La casa di ciascuna”, venga seguito questo 26 di marzo?
Se si terrà, questa prova aperta, sarà un manifesto, non sarà uno spettacolo. Mi piacerebbe che ci fossero tutte le donne possibili e immaginabili e che possano essere comprese e costruire così una comunità. Unite, in una sola forza. Per tutta la vita, attraverso il mio lavoro, non ho fatto altro che allenare la mia sensibilità femminile ed ho acquisito la possibilità di percepire la sensibilità delle altre. C’è ancora tanto da fare per le donne e di questo dobbiamo esserne consapevoli.