Still Life, la recensione

Un film che commuove come una poesia di Cesare Pavese, che emoziona come una canzone di Fabrizio De Andrè, che riflette le immagini di una vita, apparentemente ordinaria, ma che inquadratura dopo inquadratura si rivela tutt’altro che comune grazie all’interpretazione intensa di un personaggio speciale.

La  pellicola, ambientata a Londra e diretta e da un regista italiano (celebre per aver prodotto il fortunato ‘Full Monty’), si è aggiudicata il premio Orizzonti per la regia all’ultimo Festival del Cinema di Venezia. E’ la storia di John May, un funzionario comunale che deve rintracciare i parenti di persone morte in solitudine. Un compito che svolge con diligenza, sensibilità e grande onestà morale almeno fino a quando la crisi economica, che incombe  anche in Gran Bretagna, non gli farà perdere l’amato lavoro.  A introdurre il film il direttore artistico di Caserta Film Lab, Francesco Massarelli.

Diligente, meticoloso e premuroso, il solitario John May è un impiegato del Comune incaricato di trovare il parente più prossimo di coloro che sono morti in solitudine. Quando il reparto viene ridimensionato a causa della crisi economica, John dedica tutti i suoi sforzi al suo ultimo caso, che lo porterà a compiere un viaggio liberatorio e gli permetterà di iniziare ad aprirsi alla vita.

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Redazione Giornalistica

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