La gabbia dorata

La Gabbia dorata, la recensione

Vero e realista come un documentario ma entusiasmante e avventuroso come un romanzo, La Gabbia dorata, l’opera prima del regista messicano Diego Quemada-Díez, famoso per i suoi trascorsi al fianco di Ken Loach, Oliver Stone, Alejandro González Iñárritu e Fernando Meirelles, racconta il viaggio, pieno di insidie, di tre adolescenti che, partiti dal Guatemala, cercheranno di raggiungere gli Stati Uniti alla ricerca di una nuova vita, lontano dalla povertà in cui sono cresciuti. Un cammino nella disperazione, contro tutto e tutti.

La gabbia dorata

Lungo la strada incontreranno solidarietà e sfruttamento, compagni di sorte e criminali. ‘Il mio film è una finzione fondata sulla realtà – dice Quemada-Diéz – e la realtà è terribile’. Il viaggio di Juan, Sara e Samuel, ai quali poi si aggiungerà Chauk, un indio del Chiapas che non parla lo spagnolo,  è quello di tutti i migranti, un sogno di riscatto che tanti giovani provenienti dalla miseria di Guatemala e Honduras, Nicaragua e Salvador coltivano salendo clandestinamente su un treno merci che, dopo aver attraversato tutto il Messico, li conduca all’impenetrabile frontiera Usa. Ma sono pochissimi ad arrivare e a riuscirci. Un doloroso film sull’immigrazione, intessuto di storie ed esperienze reali, che tutti dovrebbero vedere. Premiato al festival di Cannes e al Giffoni Film Festival.

Il quindicenne Chauk è un indiano Tzetzal che vive nel sud del Messico, non parla spagnolo e non ha alcun documento. Il sedicenne Juan, che invece vive in Guatemala, non ha alcuna ragione per rimanere nella sua terra dopo l’omicidio di suo fratello e fugge con Sara e Samuel. Chauk e i tre ragazzi si incontrano su un treno merci che attraversa il Messico per dirigersi a nord e, nonostante le loro differenze, scoprono il valore della fraternità e della poesia.

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Redazione Giornalistica

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