Sarah Stride. Foto di Laura Majolino
Sarah Stride. Foto di Laura Majolino

Sarah Stride, l’arte attiene al mondo dei simboli

Incontriamo oggi Sarah Stride, autrice e interprete accattivante e unica nel suo stile che con l’arrivo del suo Remixes EP, ha deciso di raccontarci qualcosa in più di lei e della sua musica.

Sarah Stride. Foto di Laura Majolino
Sarah Stride. Foto di Laura Majolino

Benvenuta su La Gazzetta dello Spettacolo. Chi è Sarah Stride? Da dove nasce il tuo rapporto con il mondo della musica?

Sarah Stride è un nome d’arte, formato dalla fine e l’inizio del mio cognome, nato per gioco su una tovaglietta di carta a scacchi rossi, insieme a un caro amico, Gio Cleis, fondatore di un collettivo di cantautori del quale facevo parte. Si chiamava “Minuta, cose grandi con strumenti piccoli”, un monito nel quale credo ancora fortemente.
Dopo qualche anno e tantissime canzoni scritte, Sarah Stride è diventato un progetto che sotto la guida artistica di Alberto Turra ed un suono di band costruito insieme a lui, William Nicastro e Antonio Vastola ha pubblicato due album di matrice Alt Rock.

Abbandonate le consuetudini rock per indagare in profondità un cantautorato più scuro, asciutto e diretto ma che fosse contemporaneamente anche tribale, insieme a Kole Laca alla produzione artistica e a Simona Angioni per le liriche, Sarah Stride è diventato un “mondo, con tre pubblicazioni all’attivo, che difficilmente riesco a definire o collocare in un genere o in una particolare scena.
Allo stesso modo non saprei collocare la mia “relazione” con la musica e la sua nascita in nessun momento particolare. Credo che nella vita alcune cose non si scelgano, semplicemente sono con te da sempre e non si può fare a meno di praticarle, come se davvero fossero loro a sceglierti.

Tra le cose interessanti della tua carriera, ci racconti delle tue ricerche sull’arte-terapia in ambito psichiatrico?

Senza entrare troppo nel dettaglio e nello specifico, la cosa sulla quale mi sento di soffermarmi è sicuramente una molto semplice: l’arte, che sia legata al linguaggio musicale, visivo, letterario… è una forma comunicativa che annulla i limiti, le barriere presenti tra due interlocutori anche quando le distanze appaiono assolutamente incolmabili.
Tutta l’arte attiene al mondo dei simboli e i simboli viaggiano su livelli comunicativi che hanno proprie leggi non legate al linguaggio logico formale con il quale siamo abituati ad esprimerci.
Modalità espressive immediate come il canto, la danza la pittura ecc… sono degli strumenti preziosissimi e impareggiabili per entrare in contatto con coloro che non hanno gli stessi nostri sistemi cognitivi, strumenti senza i quali persone meravigliose e ricchissime rimarrebbero chiuse nella incomunicabile solitudine senza possibilità di scambio ed incontro privandoci della loro bellezza.

Parliamo di Remixes EP…

“Sarah Stride Remixes” è un esperimento per me molto curioso e appagante. Non avevo mai affidato i miei brani, senza dare alcuna indicazione a degli altri produttori ed è stato davvero entusiasmante vedere in che modo, canzoni che per me hanno una vita bene precisa, potessero acquistarne un’altra completamente nuova pur mantenendo la loro identità congenita.

Sei omaggi o rivisitazioni di brani da parte di producer di fama internazionale. A chi ti ispiri quando decidi la tua musica?

Sinceramente non l’ho mai capito! Il processo creativo della scrittura dei brani è qualcosa che mi si attiva solitamente sotto l’impulso di cose che non hanno niente a che vedere con la musica. Ad esempio, pochi giorni fa ho scoperto una serie televisiva del 2015 che si chiama Derek e che descrive in maniera magistrale, poetica, irriverente, sarcastica e delicatissima, la vita all’interno di una casa di cura per anziani in Inghilterra. Ecco, mi ha fatto venire voglia di scrivere immediatamente un disco…

Che altro genere musicale ascolti?

Ascolto sostanzialmente tutti i generi, molto poco il pop classico, il metal, la trap per farti alcuni esempi, ma passo molto volentieri dalla classica al punk, dalla musica klezmer all’avant jazz, dai canti popolari all’improvvisazione radicale e così via!

E il cinema ti piace? Cosa guardi solitamente?

Assolutamente si. Anche qui sono abbastanza onnivora (film, documentari, serie…) sempre con una grossa ricerca più legata al contenuto che all’estetica. Tra i miei registri preferiti posso citarti Altman, Lars von Trier, Nolan, Garrone, Linch, Xavier Dolan, Wes Anderson ecc.. oltre che i colossi Bergman, Hitchcock, Fellini…

Cosa ci racconti dei tuoi nuovi progetti professionali dopo il Covid-19?

Sono in un momento di incubazione di tante cose, sicuramente uscirà un album, di cui sto ultimando la scrittura di testi e melodie con una nuova band, sto iniziando a fare ricerca per il mio prossimo album solista e iniziando la stesura, insieme ad Alberto Turra, della colonna sonora di un documentario di registi messicani. Non posso proprio lamentarmi!

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Redazione Giornalistica

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