Isabella Ferrari e Valeria Golino in una scena di Euforia. Foto da Ufficio Stampa
Isabella Ferrari e Valeria Golino in una scena di Euforia. Foto da Ufficio Stampa

Valeria Golino, Euforia un set di amici

E’ nelle sale cinematografiche Euforia, il film di Valeria Golino presentato al Festival di Cannes che parla di rapporti umani.

Dopo il successo del primo film, Miele, Valeria torna alla macchina da presa per mettersi alla prova e si racconta qui in questa nuova esperienza:

HT FILM, INDIGO FILM e RAI Cinema, con un cast di tutto rispetto composto da Riccardo Scamarcio, Valerio Mastandrea, Isabella Ferrari, Valentina Cervi e Jasmine Trinca, portano in scena un racconto familiare che tra alti e bassi, mette in mostra alti valori umani.

Isabella Ferrari e Valeria Golino in una scena di Euforia. Foto da Ufficio Stampa
Isabella Ferrari e Valeria Golino in una scena di Euforia. Foto da Ufficio Stampa

Euforia

Matteo (Riccardo Scamarcio) è un giovane imprenditore di successo, spregiudicato, affascinante e dinamico. Suo fratello Ettore (Valerio Mastandrea) vive ancora nella piccola cittadina di provincia dove entrambi sono nati e insegna alle scuole medie. È un uomo cauto, integro, che per non sbagliare si è sempre tenuto un passo indietro, nell’ombra.

Sono due persone all’apparenza lontanissime. La vita però li obbliga a riavvicinarsi e una situazione difficile diventa per i due fratelli l’occasione per conoscersi e scoprirsi, in un vortice di fragilità ed euforia.

La parola della regista

Euforia è quella sensazione bella e pericolosa che coglie i subacquei a grandi profondità: sentirsi pienamente felici e totalmente liberi. È la sensazione a cui deve seguire l’immediata decisione della risalita prima che sia troppo tardi, prima di perdersi per sempre in profondità.

Matteo ed Ettore, sono due uomini che hanno deciso in qualche modo di perdersi. Matteo guarda il mondo dall’alto del suo attico. È un narcisista che coltiva la distrazione e lo fa con il denaro, la droga, il sesso, il successo e il culto del corpo. Ettore, invece, nasconde i propri fallimenti personali, la propria insoddisfazione, la mancanza di coraggio dietro una maschera di disillusione e sarcasmo. Le loro reciproche certezze entrano in crisi quando Matteo scopre che il fratello è malato e decide di nascondergli la verità.

Mentre Ettore sceglie di lasciarsi andare, di farsi guidare, di credere al fratello e alla sua hybris che lo spinge a pensare di poter controllare, vincere ogni cosa. Ispirandomi a fatti accaduti a persone a me care, mi sono avvicinata, insieme alle sceneggiatrici Francesca Marciano, Valia Santella e con la collaborazione di Walter Siti, a questa storia come ad un oggetto fragile e prezioso, nel tentativo di tratteggiare, insieme ai protagonisti, anche la nostra contemporaneità. Un presente che sembra negare, rimuovere costantemente la transitorietà e irrazionalità proprie della condizione umana, spingendoci illusoriamente a credere di avere il controllo assoluto sulle nostre vite, sui nostri corpi, di poter vincere il tempo, fuggire il dolore. La malattia è, invece, proprio il luogo della fragilità, della caducità, ci mette di fronte ai limiti della nostra esperienza umana ma anche a quanto di più profondo e prezioso essa custodisce. E in questo senso porta i protagonisti a fare i conti con le proprie ipocrisie e a riconoscersi. Ettore e Matteo scelgono di non rimandare più il momento della consapevolezza, scelgono di tornare in superficie.

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