A tu per tu con Alessandro Piva
Scoprire, conoscere, guardare il mondo con gli occhi della meraviglia. Questo è quello che succede al regista Alessandro Piva che con il suo docufilm Road to myself, ha voluto valorizzare e promuovere gli itinerari culturali del Sud Italia coinvolgendo le Regioni di Basilicata, Calabria, Campania, Molise e Puglia.
Una scoperta interessante, dinamica, spiazzante che l’ha portato così in un viaggio sorprendente in luoghi che non sono poi così lontani dalle nostre case.
La Gazzetta dello Spettacolo incontra Alessandro Piva e riscopre attraverso i suoi occhi le terre del Sud.
Benvenuto su La Gazzetta dello Spettacolo, Alessandro Piva. Recentemente è stato presentato il tuo nuovo docufilm Road to myself. Come lo descriveresti e che esperienza hai vissuto?
Road to myself è un progetto che intende valorizzare gli itinerari culturali e il turismo nelle regioni del sud d’Italia. Il turismo italiano, spesso, si concentra su una fascia molto ristretta. Quando mi è stato affidato questo incarico, mi sono ritrovato ad esplorare la mia terra. Per me, è stata una grande opportunitá. Il sud è una terra ricca, vera, sincera, ma spesso è sottoutilizzata rispetto alle sue vere potenzialità. Quindi girare Road to myself mi sembrava un’occasione, per me personalmente, per conoscere dei luoghi che mi sono vicini e allo stesso tempo sconosciuti.
Ma allo stesso tempo mi sembrava un’occasione per portare il pubblico alla conoscenza di questi luoghi. La forza di Road to my self è proprio da rintracciare nel mio senso di scoperta che per primo personalmente ho vissuto. Questo film è pensato non solo per un pubblico straniero ma, a mio avviso, deve prima di tutto giocare sul richiamo identitario di chi vive quotidianamente queste regioni. Se gli italiani vengono sensibilizzati sul fatto che potrebbero ogni weekend fare delle gite fuori porta, diventerebbero i primi testimonial di questi luoghi.
Parlami dei posti che più ti hanno colpito, durante le riprese di Road to myself…
Vedi, i luoghi di questo film non sono solo luoghi che ho valorizzato perchè li conoscevo già, ma in molti altri casi c’erano dei luoghi che non conoscevo e che mi hanno colpito in maniera particolare come il Monte Cervati, la vetta più alta della Campania che si trova nel Parco Nazionale del Cilento. Il Cilento ritengo che sia l’area della Campania a più alto valore turistico e con un maggiore potenziale. Una terra ancora poco conosciuta e poco sfruttata. Ho scoperto di avere dei posti meravigliosi a pochi passi da casa. Per esempio, La Certosa di Padula è un posto meraviglioso, di svelamento nel suo essere mistico e di assoluta religiosità. Un posto del genere ti immagini che possa essere contaminato dalla civiltá e dalla contemporaneità, e invece lì dentro ti sembra di stare in una bolla. Questa è la potenza di certi luoghi: mantenere inalterata la loro potenza nel tempo.
Quale è secondo te la vera forza del Sud Italia?
La forza del nostro sud è che ha una potenza enorme del paesaggio, della natura quasi del tutto intatta, un’enorme capacità di comunicazione, di empatia, trasmissione di umanità che sono gli elementi che ci mantengono ancora vivi in questo pianeta un po’ malato. Al sud trovi tutti questi elementi intatti: le facce antiche dei contadini, gli artigiani, la sapienza delle massaie, la qualità dell’ospitalità genuina e della ristorazione. Tutto ciò rende il sud un luogo di ispirazione e di forza, anche se vivi in una grande città. Diventa meraviglioso valorizzare dei percorsi che hanno voglia di essere scoperti e esplorati, scopri così cammini in cui il viaggiatore si sente un esploratore perchè c’è qualcosa di nuovo da raccontare al suo ritorno a casa. Il turismo che diventa viaggio è una bella opportunità.
Inoltre vorrei che tu mi parlassi di Due Sicilie, un bellissimo documentario che concorre alla cinquina dei David di Donatello…
Due Sicilie è un progetto sulla meravigliosa regione della Sicilia. Una terra ricca di storia, di umanità, di tante cose belle come il paesaggio, il cibo e gli esseri umani. Ho lavorato a lungo rielaborando le immagini più belle dell’Istituto Luce e di altri archivi. Tengo molto a questo film perché mi ha dato opportunità di mettere appunto un piccolo modello: paragonare Ieri e l’Oggi attraverso le immagini. Mi è piaciuto tornare sui posti e girare a distanza di cinquantanni e di vedere cosa è cambiato e cosa é rimasto uguale. Una scommessa del genere è meravigliosa, se la si fa senza preconcetti e senza immaginarci che per forza abbiamo rovinato tutto. L’idea era: andiamo a vedere cosa é cambiato. La realtà di quell’isola non é stata devastata. Si puó parlare della Sicilia, di tanti temi e di tante sfaccettature senza fare un minimo accenno alla Mafia. Bisogna uscire dai cliché. Certe volte puoi parlare di certi temi dandogli una luce diversa.
Cosa ti donano progetti come Road to myself e Due Sicilie a livello umano e professionale?
Raccontare le nostre terre è un atto di amore. Un modo per conoscere il mio paese in modo straordinario. Che bel mestiere faccio. Mi permette di conoscere, di esplorare, di fare una scialuppa che viene con te e che si fa affascinare dai luoghi e che poi trova una chiave per raccontarli. Torno a casa più ricco. Questo è il lato positivo di questo mestiere.