Un cappio per Archibald Mitfold

Le Assassine: arriva “Un cappio per Archibald Mitfold”

La storia di Un cappio per Archibald Mitfold di Dorothy Bowers, portato in Italia da Le Assassine, ci riporta all’anno 1939, poco dopo la dichiarazione da parte dell’Inghilterra alla Germania della Seconda Guerra mondiale.

Un cappio per Archibald Mitfold

Il giovane Archibald Mitfold, Archy per gli amici, racconta a due vecchi compagni di scuola una serie di attentati alla sua vita. Proprio nello stesso giorno, viene trovato morto nella casa della zia. Se si sia suicidato o se sia stato ucciso, e in tal caso perché, resta un mistero che Scotland Yard dovrà scoprire.

Ne parliamo con l’editrice Tiziana Prina.

Tiziana Prina benvenuta su La Gazzetta dello Spettacolo, in quale filone della letteratura gialla possiamo inserire questa opera?

Sicuramente Un cappio per Archibald Mitfold rientra nella detection crime classica. Non dimentichiamo che Dorothy Bowers fu accettata nel prestigioso Detection Club che accoglieva scrittori di prestigio come Agatha Christie, Dorothy L. Sayers, Henry Wade, Anthony Berkeley, Gladys Mitchell e John Dickson Carr.

Nel dipanarsi delle vicende, quindi, il lettore che ruolo ha? Più da spettatore passivo o a fianco di Scotland Yard e dell’ispettore Pardoe a cui viene affidato il caso?

Nell’Età dell’oro del giallo classico, ovvero tra le due guerre mondiali, vi era una sorta di patto con il lettore, anche se a volte veniva un po’ disatteso; il patto era quello di offrire una trama in cui il lettore non fosse un semplice spettatore passivo, ma potesse partecipare alla soluzione del caso, seguendo gli indizi e le deduzioni degli investigatori. In un certo senso era la fine del super investigatore che a volte era dotato di poteri e capacità quasi sovrannaturali per la risoluzione dei casi. Insomma, una “democratizzazione” del giallo, se il termine è permesso.

Dorothy Bowers, nata a Leominster, Herefordshire, nel 1902, e morta di tubercolosi a soli 46 anni, quali apprezzamenti e riconoscimenti ha ricevuto tra gli “addetti ai lavori” del tempo oltre a quanto hai già accennato?

L’autrice, una delle prime laureate a Oxford, ebbe una vita breve e piuttosto precaria. Non trovò infatti un lavoro stabile come insegnante e dovette anche arrangiarsi per integrare le sue entrate, inventando schemi di parole crociate per alcune riviste. Nonostante questo, e dunque l’impossibilità di potersi dedicare in modo totale alla scrittura, per la quale aveva un talento naturale, riuscì a farsi un nome in questo ambito letterario, tanto da avere la soddisfazione, come dicevo prima, di far parte del prestigioso Detection Club. Inoltre, proprio per le sue trame complesse, la prosa attentamente studiata e i personaggi sapientemente mossi, venne considerata la naturale erede di Dorothy L. Sayers che, però, le sopravvisse di nove anni.

Rispetto a oggi, invece, quale valore aggiunto o eventuale limite presenta nella tecnica narrativa?

Non saprei definire se la tecnica narrativa utilizzata nel romanzo sia un valore aggiunto o un limite, perché dobbiamo considerare come i metodi di indagine siano cambiati nel corso di quasi un secolo. Certamente nei romanzi dell’epoca era molto presente il metodo deduttivo e dunque un esame attento dei dettagli da cui partire per seguire le tracce dell’eventuale criminale. Questo è da considerarsi, a mio avviso, un valore aggiunto. Il limite potrebbe essere quello di alcune ingenuità per il lettore più sofisticato ed esperto dei nostri giorni, abituato a indagini con mezzi scientifici al tempo sconosciuti. Ciò naturalmente influenza la tecnica narrativa che all’epoca era, se si vuole, improntata a un linguaggio più ricco e riflessivo e meno alla suspense adrenalinica che caratterizza i thriller di oggi.

Tra le altre cose, vi sono misteriose riunioni di un’organizzazione, la Nordic Bond, forse simpatizzante per i nazisti: quali aspetti storici ci fa conoscere?

Nel romanzo vi sono diversi aspetti storici, letterari e in genere di costume che lo rendono interessante e che confermano come un giallo possa essere tutt’altro che una lettura di serie B. C’è una descrizione accurata dei primi tempi di guerra o meglio della cosiddetta phoney war: l’espressione “strana guerra” indica un periodo storico, durante la seconda guerra mondiale, che va dalla fine della campagna di Polonia all’avvio delle operazioni in Francia (maggio 1940) e si riferisce al fatto che il periodo segnò una sostanziale stasi nelle operazioni. Inoltre ci sono moltissimi riferimenti letterari, soprattutto a Shakespeare, anzi proprio ogni capitolo si apre con una citazione shakespeariana e sta al lettore come inserirla nella storia narrata dalla Bowers.  E c’è molto altro ancora sui gusti estetici e sui costumi dell’epoca, ma lascio ai lettori il piacere della scoperta.

Infine, quale prossima uscita attende Le Assassine e i vostri lettori?

Il prossimo romanzo è inserito nella collana Oltreconfine e si intitola Il bianco e il nero. Lo ha scritto un’autrice algerina, Amal Bouchareb, e ci trasporta attraverso un percorso misterioso, che in qualche modo ricorda Dan Brown, alla scoperta dell’Algeria. Non solo: l’autrice, che si divide tra Torino e Algeri, ci fa scoprire anche i legami “esoterici” che uniscono i due mondi. 

Su Francesca Ghezzani

Giornalista, addetto stampa, autrice e conduttrice di programmi televisivi e radiofonici. In passato ha collaborato con istituti in qualità di docente di comunicazione ed eventi.

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