«Quando si crea un nuovo allestimento di uno spettacolo di successo, si è naturalmente condizionati dalle aspettative di chi lo vide e di chi vorrebbe rivederlo, così com’era». E’ da queste considerazioni, estratte da una sua nota, che il regista Carlo Cerciello porta nuovamente in scena Quartett di Heiner Müller (traduzione di Saverio Vertone), il cui debutto è programmato per giovedì 9 gennaio 2014 alle ore 21.00 (in replica fino a domenica 2 marzo), al Teatro Elicantropo di Napoli.
A dar vita allo spettacolo saranno, ancora una volta, Paolo Coletta e Imma Villa, avvolti nella scena di Marco Perrella e i costumi di Julia Luzny, mentre l’ideazione scenica originale è a cura di Massimo Avolio e Roberto Crea.
Presentato da Teatro Elicantropo Anonima Romanzi e Prospet, questo nuovo allestimento di Quartett mantiene inalterata l’intuizione fondamentale della messinscena del 2000 (Nomination Premio Ubu Sezione Premi Speciali nel 2000 e Premio Bartolucci 2001 al Festival di Sant’Arcangelo), operando una modifica stilistica della scenografia, perché fosse ancora più evidente, quanto la metastasi della favola disarticolata del ‘700, reinterpretata da Heiner Müller come metafora cancerogena del ‘900, trovasse, oggi, nel 2014, una cornice perfetta per il suo massimo epilogo morale, costituito dall’annientamento degli ideali.
Come un sudario, la scena si chiude, dunque, intorno ai suoi protagonisti, spettatori, attori e personaggi. Un gelo frigorifero e discotecaro attanaglia una società disperata e ignorante, la cui fredda eleganza somiglia sempre più al belletto di un cadavere.
Valmont e Merteuil, figli e vittime di una razionalità spietata che impedisce loro di aggrapparsi a qualsiasi forma di sentimento, sono consanguinei dell’uomo contemporaneo, confuso e smarrito nella sue crisi di identità, di valori, di spiritualità.
La perdita della bellezza, il sesso che muore nell’orgasmo e si nutre di nuove illusioni, la paura del mutamento, dello scorrere del tempo, il trionfo inesorabile della morte, inducono i due personaggi a rifugiarsi nella narcisistica e teatrale rappresentazione di se stessi, a rinchiudersi nei loro ciechi egoismi, nel disperato tentativo di rallentare l’inevitabile processo di disfacimento cui sono destinati.
Gli altri sono solo maschere, strumenti per migliorare la rappresentazione e portare a termine il gioco. Il teatro è, dunque, al tempo stesso salvezza e inganno. «La commedia ridicolizza la morte, la tragedia la festeggia» dice Müller, e sceglie, per i due attori – personaggi – attori, il primo genere.
Ma quando il gioco viene spinto fino all’estrema rappresentazione della morte, quando la morte diventa spettacolo, i giocattoli si rompono, la maschera cade, svelando il nulla che è dietro di essa.