Stefano Sciacca con il libro La sola ricchezza che conti

La sola ricchezza che conti, di Stefano Sciacca

L’investigatore privato Michele Artusio, già protagonista e “autore” de L’ombra del passato (Mimesis 2020), torna a narrare in prima persona un episodio della propria vita attraverso la penna di Stefano Sciacca.

Ambientato negli anni ’30 del secolo scorso, il racconto di questa vicenda giovanile è allo stesso tempo storia investigativa e indagine interiore. Ne parliamo nella nostra sezione Libri e Scrittori.

IL LIBRO E’ DISPONIBILE QUI

Stefano Sciacca, ben ritrovato su La Gazzetta dello Spettacolo. La sola ricchezza che conti è a tutti gli effetti un romanzo di formazione. Tuttavia mi sembra che, ancora una volta, nelle parole del protagonista si percepisca il senso del disincanto e della disillusione che – nello studio intitolato Prima e dopo il noir (Falsopiano 2016) – consideravi il tratto distintivo della poetica noir. Come si conciliano atteggiamenti verso la vita così diversi, uno idealmente proiettato al futuro e uno inevitabilmente incatenato al passato?

È la coscienza di Michele Artusio a sperimentare entrambi questi opposti. Essi determinano il dramma del suo racconto, anzi il dramma della sua stessa esistenza. Perché in questa storia si assiste alla trasformazione da persona in personaggio e, anziché romanzo di formazione, La sola ricchezza che conti si potrebbe definire – come del resto ha fatto Federico Pontiggia nella prefazione – una parabola di deformazione, al termine della quale un giovane ancora ricco di amore, colori e illusioni finisce per divenire un uomo grigio, disincantato e solitario.  

Nel solco della tradizione letteraria del romanzo di formazione borghese, il protagonista è appunto un giovane impegnato nell’apprendistato della vita. Puoi dirci in cosa consiste nel suo caso?

Artusio, insofferente all’esistenza cittadina e alla moderna società borghese, perbenista e sanguinaria, si rifugia in villeggiatura. Forse vorrebbe credere di potersi sottrarre al grande meccanismo della spietata lotta per il successo ma in breve comincia a disperare che questo possa mai accadere. Quando ecco, del tutto all’improvviso, che viene catapultato in mezzo ad alcuni esponenti dell’alta società, verso la quale lui – uomo del popolo – prova diffidenza, risentimento e invidia. Sarà tuttavia l’occasione per scoprire una comunità di individui assolutamente anticonformisti e inattuali, solidali tra loro, accoglienti nei confronti di un giovane estraneo di cui riconoscono il talento e la passione, disinteressati al denaro e alla moda e impegnati nella strenua ricerca di un senso da attribuire alla propria vita. A spingerlo in una direzione tanto inaspettata è l’amore per una bella ragazza e per la luminosa speranza che ella reca impressa nel nome e nello sguardo. La speranza di salvarsi dalla conflittualità alla quale il giovane borghese sembra ineluttabilmente destinato anche in tempo di pace.

Poi però…

Poi però capita ciò che è successo a tanti protagonisti romantici della moderna letteratura occidentale: scontrandosi con la realtà sociale oltre i confini della comunità che ha idealizzato, Artusio perderà ogni residua illusione e constaterà che da quel destino di sofferenza, dolore e solitudine, non c’è davvero scampo. Almeno non su questa terra. E così rimpiangerà, insieme a molti altri personaggi del romanzo, che l’evoluzione culturale (della quale anche la sua coscienza è espressione) abbia privato gli uomini della fede necessaria a credere in qualcosa di meglio nell’aldilà.

La mancanza di fede lo condanna quindi a una mancanza di senso?

No, perché nel corso del racconto si farà largo in Artusio la consapevolezza che esista comunque una dimensione alternativa al presente, attraverso la quale trovare rifugio dalla desolazione dell’attualità. È la dimensione del ricordo, che ciascuno può conservare dentro di sé e coltivare nella memoria di coloro che ama, lasciando in eredità non già un patrimonio più o meno cospicuo di cose, bensì la migliore immagine di sé. Così in definitiva, abbandonando la concezione materialista della vita dalla quale all’inizio del racconto risultava essere stato suo malgrado contagiato a propria volta, Artusio giungerà ad attribuire nuovo significato ai concetti della ricchezza e della genitorialità.

Stefano Sciacca, ma tutto questo, come lo scopre Artusio?

Nell’unica maniera in cui è capace di vivere, vale a dire investigando. Del resto, come sarebbe dovuto emergere già ne L’ombra del passato, Artusio è investigatore non soltanto per mestiere ma altresì per inclinazione – se non proprio per vocazione. Tuttavia, nel corso di questo nuovo racconto, l’investigazione vera e propria finisce per coincidere con un’indagine interiore. E l’indagine interiore lo condurrà a riconoscere che la propria coscienza investigativa è anche coscienza letteraria: così come non può evitare di problematizzare ogni scoperta e sottoporre a critica qualunque scelta professionale, non può neppure rinunciare a scrivere delle proprie emozioni, nel tentativo di esorcizzare la paura e di preservare il ricordo della felicità. Ecco, perciò, che dalla morte di un grande amore nasce la penna di un modesto ma appassionato scrittore. 

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