“Noi volevamo mangiare il mondo, ma è il mondo che ha mangiato noi!”. Questo comunica Gomorra nel gran finale.
Trasmessa in oltre 190 paesi e ritenuta una delle serie più influenti degli ultimi dieci anni, Gomorra si è conclusa lo scorso venerdì.
Con un punto fondamentale: non c’è futuro per chi sceglie questa vita, nessuno è immortale, ed è giusto che sia questo il messaggio da trasmettere.
Non il semplice vietare alle persone più sensibili la visione di questo capolavoro, ma permettergli di venire a patti con quello che purtroppo è parte solida della storia del nostro paese.
La ruota della criminalità non smetterà mai di girare, per quanti tentacoli possa perdere. E’ una piovra che ha la capacità di rigenerarsi continuamente, e si potrebbe pensare che non guardi in faccia a nessuno.
Invece la serie televisiva andata in onda su Sky Atlantic, Gomorra, ci ricorda valori fondamentali, comuni: la famiglia viene prima di tutto e i bambini non si toccano.
I protagonisti sono prima amici, poi nemici, perché la lotta per il potere sembra sempre compromettere ogni cosa. Ma poi diventano ancora una volta amici, si rendono conto che i sentimenti sono in realtà più forti del resto ed è per questo che reagiscono sopraffatti, e si lasciano travolgere da quel mondo che volevano governare e che, invece, non esiste più.
Come ho detto prima, è una piovra che si rigenera, estirparla sembra sempre più impossibile. Una malattia sociale che macchia le vite di troppi, e che comunque non dobbiamo vergognarci di mostrare. Perché è una malattia sociale e bisogna prenderne consapevolezza.
Con crudezza e totale realismo, per farci conoscere dall’interno (in qualche modo) la natura delle cose. Con dolore e disperazione, perché non c’è mai modo di salvarsi. E i sentimenti sono ciò che riescono ancora a dare un’anima a personaggi che non esitano a premere il grilletto contro chiunque provi solo a minacciarli, ma che si fermano di fronte ai legami concreti.
Per fortuna o purtroppo.