Giorgio Biavati
Giorgio Biavati

Giorgio Biavati: la soap una vera palestra di vita

Incontriamo un signor attore davvero amato da molti di noi, il caro Giorgio Biavati. Persona umile, gentile, voglioso di raccontarci dei suoi inizi, compiendo un passo indietro, dei successi raggiunti, del libro realizzato, “Rispettati ragazzo”.

Benvenuto su La Gazzetta dello Spettacolo, Giorgio Biavati. Come procede il tuo vissuto?

Sto molto bene, grazie!

A caratterizzare il tuo percorso artistico, dopo aver studiato presso L’Accademia del Piccolo Teatro di Milano, alcuni lavori legati a Nanni Loy, Pupi Avati, Dino Risi e non solo. Che ricordo hai di quegli inizi e quanto hai appreso in quel primo periodo da nomi così importanti del nostro panorama cinematografico italiano?

Ho appreso tanto, in quegli anni, da Paolo Grassi, in particolar modo, direttore del Piccolo Teatro di Milano. Una vera guida, per me, un vero e proprio insegnante di vita. Successivamente, vi sono stati anche dei lavori con gli artisti citati, e sono stato felice di ciò. Devo tanto a tutti loro. Sono dell’idea, però, che siamo noi gli artefici del nostro percorso di vita, del nostro destino. A tal proposito, consentimi di ricordare anche l’immensa Franca Rame, con cui ho affrontato una tournée molto importante. All’epoca, tra l’altro, ho avuto modo anche di approfondire la conoscenza con Dario Fo.

Negli anni hai anche messo in scena, insieme ad una compagnia, “La locandiera”, “Enrico VIII”, “Il cappello pieno di pioggia” ed altri spettacoli. Che ricordi hai di quei lavori e cosa non sei, purtroppo, riuscito ancora a portare in scena?

Ne conservo un bellissimo ricordo, una tournée che mi regalò tante soddisfazioni. Le sensazioni più belle, ai tempi, consistevano nel dare forma a cose che prima non avevano anima alcuna. Parliamo delle scenografie, della nascita di un prodotto, un progetto. Ho sempre affrontato tale mestiere con passione, per pura voglia di farlo, senza pensare di dover arrivare chissà dove. Non ho mai avuto pretesa alcuna e, soprattutto, non ho mai affrontato ruoli che non avessero una importante rilevanza.

A regalarti maggiore popolarità, negli anni, fu il fatto di aver preso parte alla soap opera “Vivere”, per Mediaset, e “Vento di ponente”. Che ricordo hai di quegli anni, dei compagni di avventura, del successo ottenuto?

Non posso che averne un bellissimo ricordo, seppure i rapporti si siano poi interrotti, per rispetto, per una mera questione legata a dei principi. Giravo, all’epoca, nello stesso periodo e fu per me un vero e proprio gioco, lavorando sempre sodo, per quasi dieci ore al giorno. Dieci anni bellissimi, intensi, caratterizzati da colleghi meravigliosi, ed una importante palestra di vita, specie se parliamo di “Vivere”.

Dal vivere un set quotidianamente, al ritrovarsi di botto a casa, quasi d’improvviso. Quali sensazioni ti ha portato ciò?

I primi mesi è stato quasi normale, al contempo strano, sentirsi libero dai vincoli, da orari programmati. Ho potuto dedicarmi a dei viaggi, a svolgere varie passioni e, se vogliamo, a situazioni accantonate, per forza di cose. Con il passare del tempo, però, ho accusato il colpo, ho cominciato a sentirne fortemente la mancanza. Lo stare insieme con i colleghi, specie di varie età, mi è mancato e, in tal caso, il termine “gioco” è davvero necessario da utilizzare. Eravamo uniti verso un comune obiettivo, qualcosa che ci è poi seriamente mancato.

A tal proposito, se me lo consenti, vorrei chiederti un ricordo del collega di svariate avventure televisive, da “Vivere” a “Vento di Ponente”. Parliamo di Paolo Calissano..

Volevo molto bene a Paolo e il tutto, lo so per certo, era sentito, reciproco. In molti dicevano che potevo essere suo padre, vuoi anche per via della somiglianza nei tratti del viso. Ciò che gli è accaduto mi ha fetito ed ha portato un grande dolore in tutte le persone che gli hanno voluto bene. Ci siamo incontrati, qualche anno prima della sua scomparsa, con la voglia di riprendere a lavorare insieme. Purtroppo non è accaduto.

Ti andrebbe di parlarci di “Rispettati ragazzo”, il libro pubblicato nel recente 2020?

Ho realizzato il libro a mano, senza utilizzare alcun computer, scrivendo sulla carta gialla che mi portava a ricordare mia madre. Lei è mancata che ero ancora giovanissimo e, tale colore, non ha potuto che riportarmi alla sua mano, ai fichi avvolti proprio in quella carta gialla, dinanzi ai leoni della villa in cui mi portava spesso. Ho scritto tutto nel bar a picco sul mare, a Nervi. Ancora oggi, e nel dirlo provo rabbia, fatico a ricordare il volto di mia madre.

Chi è oggi Giorgio Biavati e quanto pensa di aver regalato di sé al pubblico, al suo amato mestiere?

È sempre difficile poter comprendere cosa arriva realmente al cuore delle persone, cosa rimane loro dentro. Magari al momento non accade nulla e lo spettatore si ricorda di te, rivalutandoti, soltanto tempo dopo. Spero, ad ogni modo, di avere dato tanto al pubblico.

Su Alessia Giallonardo

Nasco a Benevento, nel 1986. testarda a più non posso, perché Toro. Amo la fotografia sin da quando ero piccola e devo questa passione a mio padre. Stesso discorso per la scrittura, per ogni singola sfumatura di un racconto, di un vissuto, di uno storico incontro.

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