Fabio Massimo Bonini. Foto di Massimo Linnparks
Fabio Massimo Bonini. Foto di Massimo Linnparks

Fabio Massimo Bonini: dalla vita ho avuto tutto

Un tuffo nel passato e nel bellissimo presente di Fabio Massimo Bonini, attore, doppiatore e non solo. Una persona umile, legata alla famiglia, un nonno felice con un equilibrio brillante.

Fabio ci parla a cuore aperto delle esperienze vissute, di ciò che ne sarà del suo futuro, senza dimenticare l’importanza di essere al “servizio” del pubblico, che si parli di teatro o di televisione.

Benvenuto su La Gazzetta dello Spettacolo, Fabio Massimo Bonini. Come procede il tuo vissuto?

Il vissuto procede benissimo! Sento di essere una persona realizzata. Ho tutto: l’amore, una famiglia straordinaria, così come i sogni già realizzati.

Una carriera da attore ben avviata ma, esattamente, come ebbe inizio tutto e cosa ricordi di quelli che furono i tuoi esordi, i primi passi mossi davanti la macchina da presa?

Ho iniziato con la radio e quindi la voce ha caratterizzato, sin da subito, buona parte della mia vita artistica. La prima volta davanti alla macchina da presa è stata con un piccolo ruolo ne I Promessi Sposi, diretto da Salvatore Nocita, con un cast stellare: Burt Lancaster, Alberto Sordi e Franco Nero. Ho provato una forte emozione, all’epoca!

Oltre al mestiere da attore vi è anche l’avere una bellissima voce, appunto, che ti ha permesso di dedicarti al doppiaggio. Due “mestieri” più che affini tra loro, capaci di regalare sane emozioni. Cosa puoi dirci a riguardo?

In realtà, più che al doppiaggio vero e proprio, ho spesso prestato la voce alla pubblicità (sul mio sito ufficiale, www.fabiobonini.net, potrete ascoltare alcuni lavori) e, da qualche anno, sto lavorando per “raccontare” film per persone non vedenti. Credo sia meraviglioso mettere la propria professionalità al servizio del prossimo.

Fabio, sono tanti i lavori a cui hai preso parte nel corso degli anni ma, tra i tanti, quale ti è rimasto nel cuore e quale ruolo, invece, non hai ancora avuto modo di interpretare?

A teatro ho interpretato, anni fa, lo scultore August Rodin un uomo completamente diverso dal mio modo di essere. Tale interpretazione ha richiesto un grandissimo sforzo, ampliamente ripagato dal plauso del pubblico.

Tra il 1999 e il 2000 vi fu anche un approdo ne “Casa Vianello” e “Cascina Vianello”, al fianco di due miti della nostra televisione italiana, Raimondo Vianello e Sandra Mondaini. Che ricordo porti con te da tale esperienza, da due mostri sacri dello spettacolo?

Proprio così, due mostri sacri! Raimondo, a cui non riuscivo a dare del tu, conosceva a memoria le battute di tutti gli attori coinvolti nella produzione e, alcune volte, tendeva a correggerci. Era davvero strepitoso! Sandra, invece, era affettuosa con tutti. Entrambi tendevano a ripetersi in un continuo borbottio reciproco nella sit com così come nella vita reale. Due maestri sulla scena e nella vita!

Il 1999 ti ha visto entrare in punta di piedi in “Vivere”, soap di punta Mediaset. Una “visibilità” giornaliera importante che ti ha permesso di essere nelle case degli italiani. Quanto hai appreso in quel periodo, cosa ricordi dei tuoi colleghi di set?

Cinque milioni di affezionati telespettatori al giorno, una cifra incredibile, ai tempi. Ci divertivamo a scherzare dicendo che in teatro ci sarebbero voluti anni per avere 5 milioni di spettatori. Dall’esperienza ho appreso un nuovo modo di usare la memoria, unicamente al servizio del ruolo, una memoria che doveva essere quasi fotografica. Studiavi il copione la sera prima, un ripasso in scena e poi … buona la prima! Per il pubblico, poi, noi non eravamo l’attore che interpretava un personaggio ma il personaggio vero e proprio. Era davvero strano essere al supermercato per la spesa e sentirti chiamare con il nome del personaggio. I colleghi, tutti, erano davvero straordinari. Sono ancora in contatto con alcuni di loro.

Non ultimo, perché ancora oggi presente nel tuo vissuto, vi è il teatro, a cui sei da sempre legato. Quanta differenza vi è tra il calcare le tavole del palcoscenico e l’essere dinanzi la macchina da presa?

Una differenza enorme ed anche difficile da spiegare per via dell’adrenalina che scorre nelle vene pochi minuti prima di andare in scena. Senti il brusio scemare nella sala gremita e da lì in poi non si può sbagliare. Dinanzi a una telecamera, a meno che non si tratti di una diretta, è tutto più rilassante.

Da qualche tempo, oltre ad essere papà, sei anche nonno. Quali sono le tue sensazioni a riguardo e quale futuro vorresti per questa creatura nata in un tempo non “perfetto”?

Purtroppo si, il momento non è perfetto, ma quando mai lo è stato? Sono certamente preoccupato da padre e da nonno ma credo anche che i genitori giochino un ruolo fondamentale per il futuro dei propri figli e i genitori del mio nipotino stanno facendo un lavoro straordinario. Ho molta fiducia in loro! Ovviamente ne ho meno nei confronti della scuola e della società in genere che vedo essere ormai alla deriva. Incrocio le dita … ma forse è perché sto invecchiando!

Fabio Massimo Bonini, cosa puoi anticiparci, nei limiti del possibile, sul tuo futuro artistico?

Lavoro quotidianamente con un microfono davanti. In arrivo vi è qualcosa che mi riporterà alla radio ma negli Stati Uniti e, per quanto riguarda il resto, qualcosa bolle sempre in pentola e sarai la prima ad avere delle notizie non appena avrò certezze.

Su Alessia Giallonardo

Nasco a Benevento, nel 1986. testarda a più non posso, perché Toro. Amo la fotografia sin da quando ero piccola e devo questa passione a mio padre. Stesso discorso per la scrittura, per ogni singola sfumatura di un racconto, di un vissuto, di uno storico incontro.

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