Il nuovo cd degli Algebra, Deconstructing Classics, vede la strepitosa partecipazione di due mostri sacri del prog rock, Anthony Phillips e Steve Hackett presenti nella bellissila cover del brano di Franco Battiato La Cura.
La terza prova discografica degli Algebra, Deconstructing Classics, prosegue con stile e determinazione il cammino intrapreso dalla band di Benevento già nel 1980 e continuato con convinzione attraverso gli anni, tra tanti concerti e publicazioni, nonostante i vari cambiamenti di line-up, lo scioglimento e susseguente reunion (avvenuta nel 1994 e celebrata dall’album Storia di un Iceberg).
Oggi il gruppo, composto da Mario Giammetti, voce, chitarra e basso, Roberto Polcino, tastiere e fisarmonica, Maria Giammetti, sax e flauto, Francesco Ciani, batteria e percussioni e Rino Pastore, tastiere, (ph. credits Achille Pastore) presenta questo nuovo lavoro di cui c’è davvero di cui inorgoglirsi, non fosse altro che per la presenza di due special guests davvero prestigiose: Steve Hackett ed Anthony Phillips, entrambi ex componenti, di cui Phillips membro fondatore, della mitica prog rock band Genesis. Deconstructing Classics è un doppio cd che nel primo disco raccoglie le cover precedentemente sparse su tributi di artisti vari e nel secondo disco presenta 14 pezzi inediti.
Uno di questi, Il Crepuscolo, è stato appositamente donato e registrato da Anthony Phillips. Lo stesso noto chitarrista e il suo successore nei Genesis Steve Hackett suonano anche nell’unico inedito del cd 1, La Cura, cover del celebre brano di Franco Battiato di cui è stato realizzato anche un videoclip. Nell’insieme Deconstructing Classics offre una panoramica decisamente piacevole e sufficientemente completa della formazione degli Algebra il cui stile si aggira tra il prog rock, il pop rock e il folk con tante interessanti contaminazioni che contribuiscono a creare un mix affascinante e personale. Abbiamo intervista Mario Giammetti per farci raccontare in dettagli com è nato il nuovo album degli Algebra…
Deconstructing Classics è il terzo album degli Algebra. Quali sono a tuo parere le differenze fondamentali tra questo e i due precedenti e quali le similitudini?
Storia di un iceberg, pubblicato nel 1994, era una raccolta di canzoni, quasi tutte scritte individualmente da me o dal tastierista Rino Pastore negli anni 80. Due, addirittura, riproponevano il nostro primo 45 giri del 1983 (A Prayer / You Can’t). Quindi un disco piuttosto frastagliato e, sebbene ritenga valide ancora oggi la maggior parte delle canzoni, una qualità di registrazione molto precaria e una certa approssimazione strumentale da parte nostra lo resero necessariamente immaturo. L’album successivo JL, uscito ben 15 anni dopo (nel 2009), era una cosa completamente diversa, a cominciare dalla line-up, nel frattempo incrementata da un secondo tastierista, Roberto Polcino, e da mia sorella Maria al sax, inoltre con Franco Ciani alla batteria in sostituzione del dimissionario e altrettanto bravo Salvatore Silvestri. Nell’album, un concept liberamente ispirato al romanzo Il gabbiano Jonathan Livingston di Richard Bach, si ritrovano un po’ tutte le nostre influenze: non soltanto progressive, ma anche jazz, fusion, world e cantautorato italiano, senza naturalmente dimenticare gli importantissimi ospiti: Steve e John Hackett, Aldo Tagliapietra, Lino Vairetti, Graziano Romani e il compianto Goran Kuzminac. Il terzo album Deconstructing Classics nasce principalmente con l’intenzione di raccogliere le nostre cover.
Nel corso degli anni, infatti, affrontando materiale di altri artisti abbiamo sviluppato un approccio molto personalizzato, pur se sempre rispettoso dell’originale (come peraltro a mio avviso sempre dovrebbe essere una cover: personalmente non trovo alcun interesse nell’ascolto di versioni identiche agli originali dal vivo, figuriamoci su disco). Abbiamo così iniziato a inserire passaggi inediti all’interno di classici internazionali e non, a invertire sequenze di parti, a introdurre strumenti che non c’erano al posto di quelli presenti negli originali. Ad eccezione della canzone d’apertura La cura, tutti gli altri brani del primo cd erano quindi già usciti in compilation di artisti vari. A quel punto, però, ho pensato che sarebbe stato bello raccogliere anche altro materiale registrato nell’arco di oltre 35 anni che, per una ragione o per l’altra, non erano mai stati pubblicati, unitamente a versioni provvisorie o dal vivo. Con l’idea di mettere insieme una sorta di antologia ragionata che rappresentasse un aspetto inedito del nostro gruppo.
A questo album hanno collaborato i due grandi chitarristi dei Genesis Anthony Phillips e Steve Hackett. Qual è stato il loro contributo e in quali brani?
Quando abbiamo messo in cantiere questo disco, abbiamo deciso anche di effettuare una nuova registrazione: solo una canzone, perché l’enfasi doveva restare sul materiale d’archivio. Dopo varie ipotesi, la scelta è caduta su La cura di Franco Battiato, canzone bellissima che, naturalmente, era nostra intenzione rivisitare a modo nostro. In questo caso, l’assolo di chitarra presente nell’originale, anziché essere rimpiazzato da un altro strumento, cambia semplicemente manico. E che manico! Sapevo che Steve Hackett avrebbe fatto la differenza, donandoci quella sensibilità e quel suono così personale. Così gliene ho parlato e lui ha accettato, pur senza sapermi dire esattamente quando avrebbe potuto farlo data l’enorme quantità di impegni (Steve è praticamente sempre in tour e, quando non è in tour, compone e registra la sua musica, essendo un artista incredibilmente prolifico). Nel frattempo, ho fatto cenno del progetto anche ad Anthony Phillips, chiedendogli il permesso di utilizzare un breve e toccante brano per chitarra a 12 corde che egli stesso aveva registrato appositamente per i festeggiamenti dei 25 anni della mia rivista Dusk. Questo breve brano è in effetti una variazione della stessa Dusk dei Genesis e non era mai stato pubblicato ufficialmente, anzi era stato mandato dall’impianto di amplificazione solo durante la suddetta festa, tenuta ad Adria, in Veneto, nel 2016. La risposta di Ant mi ha lasciato senza fiato, perché non solo ha acconsentito alla mia richiesta (il suo inedito, Il crepuscolo, lo si trova nel secondo cd), ma ha aggiunto “se Steve suona un assolo, allora potrei metterci un po’ di 12 corde o di clavicembalo”. Alla fine, Ant ha suonato entrambi gli strumenti, supportando meravigliosamente sia l’assolo di Steve che quello di sax nella coda strumentale, che abbiamo scritto noi.
Qual è il tuo pezzo preferito del disco e perché?
Ce ne sono diversi, in realtà. Nel cd 1, sicuramente A Song Within A Song, brano dei Camel, perché per la prima volta suona con noi Roberto (piano e fisarmonica) e perché è un brano registrato praticamente live in studio, uno dopo l’altro, senza programmazioni elettroniche ma solo il supporto di un metronomo. Poi la sintesi di Felona e Sorona delle Orme, un opus di 14 minuti con l’ordine dei brani rivoluzionato, e Sleepers, brano di Steve Hackett generato da un sms inviato al chitarrista inglese da parte del suo amico fraterno Nick Clabburn da casa mia, durante una notte per lui insonne dell’agosto 2008. Nel cd 2, direi God If I Saw Her Now (brano di Anthony Phillips rivisitato in maniera molto originale davvero molto personale da me e mia sorella Maria, in questo caso, oltre che al sax, anche a voce e caisa, uno strumento a percussione tedesco), Straight (un esperimento di studio degli Algebra del 2005) e poi la performance registrata dal vivo al Circolino di Cusano Milanino nel 1996, con un paio di cover dei Genesis (tra cui una originalissima Open Door spagnoleggiante) e il nostro strumentale di 12 minuti Russian Suite.
Deconstructing Classics è un doppio cd. Come mai la scelta di pubblicare un album doppio?
In realtà il problema è stato riuscire a mettere più o meno tutto in un doppio cd! Un triplo sarebbe stato ovviamente ridicolo, ma abbiamo sfruttato al massimo tutto lo spazio disponibile (siamo a circa 154 minuti!), sebbene qualche dolorosa rinuncia sia stata necessaria. Come una versione acustica e quasi country di Follow You Follow Me registrata alla FNAC di Napoli nel 2004, il cui sound, catturato da un minidisc all’epoca, era purtroppo troppo distorto sui bassi.
Quanto tempo ci avete messo a comporre e a registrare il cd?
I brani contenuti nel disco vanno dal 1983 al 2019, ma non continuativi, dato che gli Algebra sono stati inattivi dal 1984 al 1993.
Parlaci dell’artwork dell’originale copertina del disco.
I due album precedenti avevano copertine splendide (un disegno di Laura Germonio per Storia di un iceberg, un quadro di mio fratello Giovanni per JL), ma per il nuovo desideravo un artwork fotografico e nessuno avrebbe potuto far meglio di Maurizio e Angéla Vicedomini, molto noti come autori di diverse copertine di Steve Hackett (Genesis Revisited 2, Wolflight, The Night Siren, At The Edge Of Light). La foto è stata scattata a La Défence di Parigi, un quartiere pieno di ispirazioni architettoniche ma anche fotografiche. Maurizio mi ha detto che, nelle sue visite parigine, ama soffermarsi nella zona accanto e sotto il grande arco, nell’attesa del momento ideale per catturare qualcosa di speciale. Come questa bambina dal vestito rosso che, incurante degli uomini in giacca e cravatta (trattandosi di una zona di uffici), si diverte a correre tra le lastre di vetro. Da parte mia aggiungo che questa immagine certamente può prestarsi a diverse interpretazioni, incluse quella della decostruzione del titolo e il concetto che si nasconde dietro la parole di Manlio Sgalambro per il testo da La cura, l’unico brano nuovo registrato appositamente per questo progetto. Desidero poi sottolineare l’attenzione messa nel booklet, realizzato da Roberto Conditi: ben 28 pagine piene di foto e con accurate note di copertina redatte da me, canzone per canzone. Perché questo lavoro è stato realizzato con la passione di chi considera ancora prezioso un disco fisico, con buona pace di chi si accontenta di file sepolti in una cartella dimenticata di un pc. Che non ascolterà mai.
Contate di presentare dal vivo i pezzi di Deconstructing Classics?
Sarebbe bellissimo, ma temo non sia possibile. Ciascuno di noi è immerso nel suo mondo e nel suo lavoro. Io, per esempio, sono certamente più un giornalista che un musicista, mentre Roberto, Franco e Maria sono coinvolti in diverse avventure musicali.
Quali sono le tue aspettative per questo nuovo cd?
Mi auguro che venga apprezzato il nostro tentativo di rivisitare a modo nostro le meravigliose canzoni scritte da compositori ben più importanti di noi: con rispetto e modestia, ma anche con la nostra personalità che le rende, in definitiva, un po’ anche nostre.