A tu per tu con Anthony Phillips
Anthony Phillips continua la fortunata serie di re-releases ri-pubblicando forse il più apprezzato tra i suoi lavori solistici, Slow Dance. Magistrale lavoro che sposa il rock più raffinato con la musica classica, che riporta alla formazione di base del talentuoso chitarrista vincitore degli scorsi Prog Music Awards proprio nella categoria Re-Issues, Slow Dance rappresenta una tappa fondamentale nel percorso artistico del musicista, membro fondatore e mente musicale dei primi Genesis.
Diviso in due parti, suggestivo e coinvolgente come d’altronde è nello stile tipico di Anthony, Slow Dance viene ripubblicato dalla Esoteric Records in una 3 pack edizione deluxe che contiene un mix remastered dell’album e un mix 5.1 Surround Sound a cura di Simon Heyworth. Slow Dance Deluxe Edition comprende, tra l’altro, un esclusivo booklet illustrato e restaurato dell’artwork originale del disco, uscito per la prima volta nel 1990, con nuova introduzione di Jonathan Dann. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Anthony Phillips per saperne di più…
Slow Dance è mai stato suonato live, magari da un’orchestra?
No perchè avevo problemi di badget. Tieni conto che questa è una musica che potremmo definire da film, che rientra in un filone piuttosto classico e all’epoca, anche dal punto di vista radiofonico, non c’erano molte aperture. Adesso con le varie emittenti di musica classica che ci sono in giro, le possibilità sono maggiori.
Ma a te piacerebbe sentirlo suonare dal vivo?
Sì, sarebbe davvero bello, una specie di sfida: suonare Slow Dance con una grande orchestra e vedere come potrebbe essere possibile ricreare al meglio il sound dell’album.
Come si articola la tua giornata di lavoro? Hai uno schedule preciso oppure suoni e componi quando ti viene l’ispirazione?
Il mio metodo di lavoro cambia a seconda delle esigenze. Se ho delle commissioni di library music allora c’è una precisa deadline e devo organizzarmi per bene, quindi almeno per tre settimane sono molto impegnato e lavoro sempre agli stessi orari, in genere dopo le tre del pomeriggio. Se si tratta invece di cose mie, non commissionate, suono e compongo quando mi sento ispirato. Imbraccio la chitarra e comincio. Direi che sono due metodi che funzionano entrambi.
Anche lavorare in studio è una buona idea perchè ti concentri, poi c’è anche da dire una cosa: se prendi in mano il tuo strumento dopo che non lo hai praticato per un po’, magari sarai un po’ arrugginito sulle corde, ma di sicuro sarai più fresco. Voglio dire, non penso che John Lennon stesse tutto il giorno a fare scale con la chitarra, ma di certo quando componeva era molto ispirato e da lì venivano fuori le cose che venivano.
Qual è stato il più bel commento che ti abbiamo mai fatto su Slow Dance?
Con mia sorpresa molte delle persone che hanno ascoltato questo disco ne sono state fortemente colpite. Il commento più bello però è venuto da Mario Giammetti, un mio amico giornalista che mi ha detto: guarda in trent’anni della tua musica questo è l’album più bello in assoluto che io abbia mai sentito!”. Questo è un complimento che non può non trasmetterti entusiasmo.