Raffaele Buranelli è un attore di cinema, televisione e teatro. Tra i tanti lavori a cui ha preso parte, ricordiamo: “Un Posto al Sole”, “Una donna per amico”, “Il Maresciallo Rocca 3”, “Il bello delle donne”, “Sei forte maestro”, “Incantesimo 5 e 6” e molte altre fiction e film di successo, senza dimenticare “Una gita a Roma”.
Raffaele ci parla anche della nascita del Registro Attrici Attori professionisti, di cui potrete leggere in maniera approfondita. Attualmente, è impegnato sul set di “Boris 4” e, proprio in tale occasione, lo abbiamo raggiunto per raccogliere questa nostra intervista.
Benvenuto su La Gazzetta dello Spettacolo, Raffaele Buranelli. Come stai?
Bene, grazie!
Ben presto ti ritroveremo nei panni di Furio, in “Boris 4”. Cosa rappresenta per te questo ritorno e cosa puoi anticiparci su questa nuova avventura?
Mi ha fatto piacere sapere che gli autori abbiano voluto il ritorno del mio Furio, il personaggio probabilmente più antipatico delle prime tre stagioni (ride). Questa volta Furio mostrerà qualcosa di diverso che, credo, lo renderà più simpatico allo spettatore, ma ogni dettaglio della trama è rigorosamente top secret, per volere comprensibile della produzione. Posso dire però che gli autori, a mio giudizio, hanno fatto ancora una volta un ottimo lavoro e credo proprio che chi attende con ansia la quarta serie di Boris non rimarrà deluso.
Attore di teatro, televisione e cinema. Come ha avuto inizio la tua passione per la recitazione?
Avevo forse quindici anni ed una sera d’estate ero al Teatro Greco di Tindari a vedere un bellissimo Macbeth di Guerritore e Lavia. Oltre a quello che vedevo in scena, mi colpirono i preparativi degli attori dietro le quinte, che riuscivo ad intravedere da dove mi trovavo. Ne percepii l’emozione e presi consapevolezza di come la grande naturalezza e apparente semplicità di ciò che si vedeva sulla scena fosse il frutto di una grande preparazione e duro lavoro. Ne rimasi completamente affascinato!
Hai preso parte, nell’arco della tua carriera, ad “Un Posto al Sole”, “Incantesimo”, “Il bello delle donne”, “Il Maresciallo Rocca” e molto altro. Cosa ti hanno regalato questi lavori?
Ogni lavoro, naturalmente, ti aggiunge esperienza. Non ho fatto scuole e la mia formazione è avvenuta sul campo, come accaduto e come accade a molti altri colleghi. Ritengo una fortuna aver avuto la possibilità di conoscere molte modalità espressive e produttive diverse del nostro mestiere: il teatro classico di giro, il teatro off, la fiction televisiva, la lunga serialità, la soap opera, il cinema, la radio, tutte forme diverse dello stesso lavoro, inteso anche come lavoro interiore.
Il lockdown, legato ad una inaspettata pandemia, ha reso ancora più chiare alcune problematiche legate al mondo dello spettacolo. Qual è il tuo pensiero a riguardo?
La pandemia ha prodotto una presa di coscienza di molti aspetti personali e sociali. In particolare, la categoria delle attrici e degli attori ha toccato con mano cosa vuol dire fare una professione fino ad oggi incredibilmente neanche riconosciuta a livello giuridico: migliaia di attori professionisti sono rimasti infatti completamente esclusi da ogni sussidio pubblico, ritrovandosi in gravissima difficoltà. Gli attori infatti non sono tutti famosi e ricchi come a volte si tende superficialmente a immaginare. Da questo è nato immediatamente un movimento che già a giugno 2020 aveva ottenuto una proposta di legge, ora al Senato, per l’istituzione del Registro (non albo, questo è importante sottolineare) Attrici Attori professionisti che ha inoltre fatto, come si auspicava, da apripista ai registri di tutte le professioni dello spettacolo. Attrici e attori professionisti, secondo i requisiti individuati dal lavoro partecipato con centinaia di colleghi, possono oggi registrarsi gratuitamente al portale online RAAI (www.raai.it) a disposizione delle Istituzioni e del comparto produttivo. Il Registro è il passo imprescindibile senza il quale la categoria sfumerà sempre in quell’indeterminatezza, che le ha negato sino ad oggi il riconoscimento anche dei diritti sociali più basilari. Molte attrici e attori di nome, in questi quasi due anni, hanno dato lodevolmente dimostrazione di coscienza e rispetto per la categoria impegnandosi e sostenendo questo fondamentale processo.
Hai avuto modo di realizzare la regia di un cortometraggio, “Padri”, nel 2018. Come ha avuto vita il tutto e cosa si prova ad essere, per una volta, nelle vesti del regista?
“Padri” non è stata la mia prima esperienza da regista. Il mio primo corto da regista, “Salomè – una storia”, è del 2008 e vinse il Festival Internazionale del Cinema d’Arte e il Premio di Qualità Opera Imaie oltre ad altri riconoscimenti. “Padri” è nato dall’amicizia e dal gioco ricorrente con Massimo De Lorenzo. Le nostre figlie, che appaiono con noi nel corto, hanno vissuto davvero una situazione simile, quasi surreale, e credo che molti genitori possano divertirsi riconoscendo dinamiche a loro note. Lo si trova online. Personalmente trovo la regia molto più appagante della recitazione, che pure lo è molto soprattutto quando il contesto lo consente. Il regista ha il controllo di ogni aspetto e una possibilità espressiva potenzialmente enorme.
Chi è Raffaele quando non è impegnato sul set?
Un papà e un marito a tempo pieno. Sono una persona del tutto dedita a ciò che crede rappresenti un impegno giusto, sotto qualsiasi aspetto.
Cosa non sei ancora riuscito a realizzare, a portare in scena?
Tantissimo. In particolare ho un film che ho scritto che spererei davvero di realizzare: attori bravissimi al servizio di una storia divertente e commovente, con un alto grado di originalità e ampiezza di temi.
Un ruolo a cui sei ancora particolarmente legato?
Non è retorica se dico che ogni ruolo ti lascia qualcosa. Interpretare un ruolo richiede un’indagine del personaggio, alla ricerca di affinità o differenze con te stesso, per capire quanto e come appoggiarsi sulle prime e per riflettere e prendere confidenza con le altre, risalendo alle possibili motivazioni. Malgrado questo, un affetto particolare va sicuramente al ruolo del mio debutto, trentaquattro anni fa, con Alberto Lattuada, a Furio di Boris, al papà di Padri, al maestro Rocco di Sei forte maestro, al disturbatore dell’episodio di Buttafuori e al Giacomo di Una gita a Roma.
Quanto sei riuscito a realizzare di quelli che erano i tuoi sogni da ragazzo?
Se cerco di tornare indietro e ricordare quali fossero realmente i miei sogni più profondi, ne trovo sostanzialmente due: costruire una famiglia ed agire sempre secondo coscienza, cercando di non avere nulla da rimproverarmi. Finora, fortunatamente, li ho realizzati entrambi.
Cosa prevede il tuo futuro artistico?
Ancora non lo so (sorride). L’aspetto spesso impegnativo, ma anche più affascinante, del nostro lavoro è proprio l’imprevedibilità. Spero però che continui a crescere nei miei colleghi, ancor di più di quanto già finora, la consapevolezza dell’importanza, per ogni singolo, di fare corpo con il resto della categoria, radunandosi intorno al concetto imprescindibile di professionalità e perseguendo gli interessi generali. Nell’interesse anche di chi maturerà i criteri in futuro.