Fedra di Seneca
Fedra di Seneca

Fedra di Seneca, la recensione

Al Teatro Della Pergola di Firenze è andata in scena la tragedia Fedra di Seneca, la cui regia porta la firma di Elena Sofia Ricci, una delle più poliedriche attrici dalla qualità attoriale ammirata dai critici e apprezzata dal pubblico.

Come lei stessa ha dichiarato, inizialmente la prospettiva di curare la regia di quest’opera di Seneca, l’ha colta un profondo senso di inadeguatezza, ma come si sa, nelle sfide bisogna cogliere il positivo che esse celano, quel misurarsi e mettersi in gioco in ambiti magari non ancora esplorati. Sicuramente come la stessa artista ha detto, ha cercato di interpretare e collocare la tragedia di Fedra con una netta metafora contemporanea e affine ai nostri tempi.

Appena il pubblico viene invitato a prendere posto e le luci in sala, pian piano si affievoliscono, ecco aprirsi il sipario preceduto da un boato di musica che preannuncia il dramma funesto che coinvolge Ippolito, figlio di Teseo, Fedra matrigna di Ippolito e la nutrice di quest’ultima. Ad aprire l’atto unico del dramma sono le parole penetranti e possenti di Ippolito che con veemenza brandisce i suoi pensieri sulle donne, colpevoli di generare nell’uomo passioni torbide e di indurlo a macchiarsi perfino di abomini. Ciò che colpisce da primo impatto è la scenografia: pareti su cui penzolano brandelli di stracci, un’automobile squarciata e imbruttita dagli eventi e tutt’intorno, copertoni, un vecchio sedile di un’auto, accasciato e tanti pezzi di stoffe fatte a pezzi  che ricoprono il palcoscenico e dai quali, in modo improvviso si sollevano, logori e straziati il Coro, il Messaggero, Fedra e la Nutrice, tali da simboleggiare e incarnare quel senso di frammenti dell’anima dai quali emergono, come quei cenci gettati in aria e sprofondati in terra.

Per tutta la durata dell’opera, immersi in una sorta di discarica che nutre una specie di inferno interiore, i personaggi, uomini e donne si muovono arrancando tra quelle misere macerie su cui si trascina la loro esistenza. Mossi tra passioni conflittuali e una coscienza sociale che fatica a venir fuori, anzi viene inghiottita dai risentimenti, dagli infidi inganni e dalle gelosie umane che non risparmiano neppure gli dei, anche loro impregnati di quei difetti umani, fatti di impeto e risentimenti.

La forza assoluta di questa tragedia non è solo il potere evocativo e simbolico di quei brandelli di stoffa simili ai brandelli di vita a cui sono ridotti gli uomini, ma il centro di forza è la potenza della parola in bocca ai personaggi che la rendono efficace ed estremamente contemporanea. In un’ora e mezza di spettacolo, su quel palco vengono sviscerate tutte le dinamiche, le ossessioni, i conflitti e i mostri interiori dei personaggi che li svelano mossi continuamente da un divorante fuoco dell’animo e che in un certo senso mettono a nudo i mostri di cui l’intera umanità è oggi più che mai divorata.

Fino a giungere al suo culmine, ovvero la morte di Ippolito falsamente accusato dalla matrigna, poiché essendosi rifiutato di cedere alla violenta passione che divorava Fedra, persa in essa e dimentica della fedeltà ad un marito condotto tra gli abissi del dio Ade e che crede spacciato o morto. Così lei stessa lo accusa di violenza quando Teseo fa miracolosamente ritorno dal regno dei morti. L’inganno annebbia la vista di un padre, per mettere a fuoco l’irruente passione che divora l’uomo apparentemente tradito nell’onore dal suo stesso sangue, così si rende disposto a scendere a patti col dio Poseidone, affinché lo vendichi nell’onore falsamente tradito e riduca a brandelli il figlio considerato indegno.

Alla vista del corpo di Ippolito ridoto a pezzi, come quei stracci in terra, non regge la coscienza di Fedra, così rivela al consorte le sue malefatte, per poi darsi morte e unirsi al giovane verso cui nutriva passione, almeno nella morte.

Un plauso meritevole al cast: Valentina Benci, Sergio Basile, Francesca Mazza, Gabriele Anagni, Ilaria Genatiempo ed Elisabetta Arosio, che con la loro interpretazione e la potenza delle parole hanno magistralmente reso merito ad un dramma vecchio quanto il mondo. Un grande attestato di ammirazione ad Elena Sofia Ricci che con umiltà ma passione per il suo lavoro, ha curato una regia che ha dato valore a ciò che Seneca scrisse ai suoi tempi.  Grande merito a tutti loro per la potenza espressiva e le caratterizzazione dei personaggi, ma su di loro si è eretta la potenza espressiva e interpretativa di Valentina Banci, una Fedra carnale e impetuosa, ma altresì fiera donna della sua stirpe, che ha reso autentico ogni verso, ogni gesto e ogni parola che Seneca affidò al testo.

Su Angela Pensabene

Angela dopo studi di canto e musicali in Conservatorio, si forma come artista di Teatro Lirico esibendosi dapprima come corista in Opere liriche e poi come solista, principalmente nel repertorio Verdiano. Nel contempo inizia l'insegnamento nelle Scuole sia Primarie che Secondarie.

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