Diego Banchero de Il segno del comando, tra le band più rappresentative della scena rock di Genova, il gruppo si muove disinvoltamente tra influenze prog rock, jazz e brani strumentali con un sapore spiccatamente cinematic.
Attivo dal 1995, dopo un ottimo esordio e un periodo di sbandamento, Il Segno del Comando riordina le idee e si riforma finalmente nel 2013 grazie anche e soprattutto al mastermind Diego Banchero, bassista e maggiore songwriter della apprezzatissima formazione. Reduci dai consensi ottenuti con i cd Il Volto Verde (2013) e il più recente L’Incanto dello Zero (2018), Diego Banchero, Davide Bruzzi, chitarre e tastiere, Roberto Lucanato, chitarre, Riccardo Morello, vocals, Beppe Menozzi tastiere e Fernando Cherchi, batteria, saranno tra i protagonisti del Trasimeno Prog Festival 21 agosto, rassegna musicale di prestigio nella Rocca Medievale di Castiglione del Lago. C’è da scommettere che per l’occasione Diego e compagni sfoggeranno tutta la loro abilità e la loro perizia tecnica, quella che contraddistingue la loro storia musicale. Abbiamo intervistato Diego Banchero per saperne di più della sua band e del suo percorso artistico…
Benvenuto Diego Banchero. Quando hai deciso che il basso era lo strumento che avresti suonato per tutta la vita?
L’ho deciso piuttosto tardi (per la precisione intorno ai diciotto anni). Da qualche anno avevo ripreso ad avvicinarmi alla chitarra dopo che avevo smesso di studiarla per circa sette anni. Intorno ai nove anni, infatti, avevo partecipato ad un corso di classica con un maestro del mio quartiere, ma l’interesse per lo strumento si era affievolito in tempi abbastanza rapidi. Devo però ammettere che dal momento in cui mi sono ritrovato il basso tra le mani ho studiato con molta assiduità cercando ogni spunto utile a crescere e migliorare.
Quali sono i tuoi eroi del basso e a chi ti sei ispirato in modo particolare quando hai iniziato a suonare?
Ho attraversato varie fasi e in ognuna di esse ho avuto dei punti di riferimento diversi. Ho iniziato ad amare il basso ascoltando Steve Harris degli Iron Maiden, ma siccome non sono riuscito a trovare da subito persone con cui avviare un progetto metal, ho dovuto confrontarmi con generi diversi ed ho avuto modo di conoscere altri bassisti che sono diventati per me fondamentali. Questa difficoltà iniziale, col tempo, si è trasformata in un punto di forza perché ho imparato ad amare la musica senza troppe limitazioni stilistiche apprezzando la bellezza da qualunque parte essa provenisse. Ho amato bassisti rock\blues (Leo Lions ed Andy Fraser), bassisti hard rock\metal (John Entwistle, Billy Sheehan, Stuart Hamm e Geezer Butler) bassisti funk (Larry Graham, Bernard Edwards, Alphonso Johnson e Marcus Miller), bassisti prog (Ares Tavolazzi, Fabio Pignatelli e Patrick Djivas) per poi arrivare al jazz rock e alla fusion (Jaco Pastorius, Stanley Clarke, Percy Jones e Alain Caron). Ovviamente questa lista di nomi non è esaustiva. Molti di loro sono, tra l’altro, anche musicisti “multilingue” e non è mia intenzione limitarli ad un solo genere, ma ho cercato di dare una serie di riferimenti, di massima, sui bassisti che mi hanno maggiormente influenzato. Discorso a parte, poi, è quello legato ai contrabbassisti, che ho iniziato ad amare avvicinandomi per studio al bebop. Per fare alcuni nomi ricordo Paul Chambers, Ray Brown, Ron Carter, Scott La Faro ed Eddie Gomez.
In che modo ti prendi cura del tuo basso e che tipo di basso hai?
Non sono particolarmente fissato nella cura dello strumento. Controllo soprattutto le regolazioni in modo da avere il massimo comfort nel suonarlo. Nel mio arsenale ho un Fender Jazz Bass americano degli anni ottanta (con cui faccio la maggior parte delle cose), un Cort Artinsan A5 custom (che uso moltissimo), un Fender Jazz Special custom fretless, uno Yamaha 6 corde e un paio di bassi acustici che utilizzo soprattutto per lo studio.
Quanto reputi sia importante la figura del bassista nella tua band?
Il Segno del Comando è una band in cui, giocoforza, il basso ha un ruolo piuttosto centrale; se non altro perché le composizioni sono state concepite da un bassista (ovvero il sottoscritto). Come ho già accennato poco sopra, per anni mi sono sentito più un compositore che suonava anche il basso che un bassista che componeva, ma ovviamente l’influenza di entrambe queste caratteristiche si fa sentire nel mio modo di scrivere. Il mio stile strumentale, inoltre, prevede anche delle incursioni solistiche, melodiche e contrappuntistiche e questo ci porta anche a tenere il basso piuttosto presente sia nelle registrazioni sia dal vivo.
Qual è stato il primo pezzo che hai imparato a suonare?
Mi sono cimentato subito con alcuni brani dei Judas Priest (la band che ha fatto nascere in me l’esigenza di diventare musicista) e successivamente mi sono messo alla prova con i pezzi dei primi album degli Iron Maiden.
Quale reputi sia stato fino a questo momento il punto più alto della tua carriera?
Come bassista i punti più alti della mia carriera sono stati sicuramente l’aver suonato in jam session con musicisti come Jimmy Cobb, Albert “Tootie” Heat, Bobby Durham, Massimo Faraò, Dado Moroni e Giulio Capiozzo. Per l’attività con Il Segno del Comando devo assolutamente ricordare l’apertura al Banco, Goblin Rebirth, The Crazy World of Arthur Brown e Balletto di Bronzo e di aver avuto ospiti in un mio disco musicisti come Claudio Simonetti e Gianni Leone). Ho anche avuto la fortuna di condividere il palco del Torrita Blues Fest con Doyle Brahamall II.
A febbraio dello scorso anno avete aperto la data genovese del BMS al Teatro Politeama e da lì è nata una bella amicizia con i membri della band. Personalmente eri già da prima un ammiratore di questa storica fondazione?
Sono stato un fan del Banco fin da bambino. La loro musica ha avuto un ruolo fondamentale nella mia formazione. Se è vero che io sono nato musicalmente con il metal devo dire che, con il tempo, sono emerse delle influenze, accumulate in anni di ascolti, che si erano stratificate nella mia interiorità. Tra queste non si può dimenticare, appunto, la musica del Banco. Come hai sottolineato nella tua domanda il 5 febbraio 2020 è nata una bellissima amicizia con alcuni di loro. Conoscevo già Nicola Di Già che è un bravissimo artista e una cara persona. Grazie al concerto ho in particolare legato con il grande Fabio Moresco e con Lorella Brambilla, che come sai è la loro manager, ma devo dire che ognuno di loro mi ha lasciato qualcosa di importante che tengo ancora adesso nel cuore.
State lavorando ad un nuovo album e in caso a che punto siete con il song writing?
Il nuovo album è pronto. Si tratta di un concept dedicato al romanzo di Gustav Meyrink “Il Domenicano Bianco” che chiuderà la trilogia su questo autore a noi molto caro (abbiamo già pubblicato due dischi ad altrettante sue opere). Abbiamo approfittato del periodo del lockdown per chiudere la composizione, gli arrangiamenti e le registrazioni. Attendiamo solo il momento adatto per pubblicarlo. Salvo chiusure ulteriori potrebbe uscire nell’autunno 2021. Nel frattempo stiamo anche partecipando ad alcune iniziative della Black Widow Records di Genova. Abbiamo in programma uno split a tre band con l’artista norvegese Mortiis e Freddy Delirio and The Phantoms, una raccolta dedicata allo scrittore Lovecraft e la ristampa del nostro “…al passato, al presente, al futuro… Live in Studio” in Picture Disc (probabilmente con bonus tracks).
Quali sono a tuo parere le tre qualità che rendono un bassista speciale?
La prima caratteristica è il senso del tempo, ovvero dev’essere molto ritmico (non scomodo termini come swing e groove per non entrare in questioni fondamentali, ma di difficile interpretazione); la seconda è avere una buona conoscenza armonica (perché ovviamente il basso ha un ruolo fondamentale in tal senso); la terza è avere gusto, senso melodico e contrappuntistico (questa caratteristica influisce sulla scelta di note e sul ruolo che è in grado di ritagliarsi all’interno di una band). Bisogna, a mio avviso, cercare di essere musicisti a tutto tondo che suonano il basso. Nel tempo si sono visti molti musicisti limitati ad un ruolo totalmente gregario ed altri che, per contro, hanno fatto cose mirabolanti, ma hanno dimenticato di avere tra le mani un basso anziché uno strumento completamente solistico. Ogni musicista, poi, ha bisogno di curare la propria “voce strumentale”. Io per anni sono stato molto più un compositore che un bassista, ma ultimamente mi sto concedendo, di nuovo, il piacere di curare lo studio dello strumento.
Ti ricordi ancora il tuo primo basso?
Il mio primo basso lo presi in prestito da mio cugino Angelo (il primo bassista che mi diede qualche rudimento per approcciare lo strumento). Si trattava di un Hofner degli anni ’60 (la versione con la cassa armonica piatta, diversa da quella diventata famosa grazie a Paul McCartney). Successivamente acquistai un Fender Squier Precision Bass che non ho più da molto tempo.
Sei un autodidatta o hai preso lezioni di musica?
Dopo un primo periodo da autodidatta ho studiato per qualche tempo con un insegnante che si chiama Gino Bianco e successivamente mi sono iscritto alla Scuola Jazz Quarto di Genova, che ho frequentato per diversi anni studiando anche musica d’insieme, teoria, solfeggio e composizione (i miei insegnanti di strumento sono stati Piero Leveratto ed Aldo Zunino che sono due prestigiosi contrabbassisti internazionali). Ho anche fatto diversi seminari di musica d’insieme (con Jimmy Cobb, Bobby Durham, Albert “Tootie” Heat, Nat Adderley, Clark Terry, ecc…) e di strumento (Ray Brown, Walter Booker, Pierre Bousseguet, ecc…). Per un periodo ho anche studiato e suonato il contrabbasso.