Si sono esibiti live al Teatro Politeama di Genova insieme al Banco del Mutuo Soccorso, ed hanno convinto proprio tutti: Il Segno del Comando.
I loro fans ma anche gli appassionati dello storico gruppo guidato dal cantante e tastierista Vittorio Nocenzi. D’altronde Il Segno del Comando (che si ispira tra gli altri ai Goblin, Jacula e il Balletto di Bronzo), è un gruppo dai risvolti musicali davvero interessanti, che propone uno stile basato sostanzialmente sul rock progressive ma ricco di influenze jazz, dark, gothic metal e soundtrack in un miscuglio affascinante, sinuoso e pieno d’atmosfera nell’ambito di una continua e stimolante scoperta. Come dimostra Lo Zero dell’Incanto, il più recente e quarto cd da studio della formazione nata a Genova nel 1995, il cui line-up è composto attualmente da Diego Banchero, bassista, Davide Bruzzi, chitarra e keyboards, Roberto Lucanato, chitarra, Fernando Cherchi, batteria e Beppe Menozzi. Abbiamo intervistato il talentuoso bassista (ma anche compositore, insegnante, arrangiatore e ingegnere del suono) Diego Banchero per saperne qualcosa di più de Il Segno del Comando, compresi i loro prossimi e ormai molto vicini progetti discografici e de L’Incanto dello Zero…
Il Segno del Comando nasce nel 1995 a Genova e da allora ha vissuto fasi musicali diverse ed è stato definito in modi diversi progressive esoterico, gothic, gothic metal…Ma chi sono oggi davvero Il Segno del Comando?
Il Segno del Comando è un progetto trasversale e non facilmente catalogabile in un genere definito. Nel dire questo, sono pienamente consapevole del fatto che, di questi tempi, l’avere caratteristiche simili possa rappresentare una specie di maledizione più che un vantaggio. Siamo in un periodo storico in cui l’originalità spaventa. Molta gente necessita di una certa rassicurazione (ne è un esempio il successo che riscuotono le tribute band). L’amore per la scoperta che ha animato i sostenitori della musica rock fino a qualche decennio fa, infatti, è ampiamente diminuito lasciando spazio ad un approccio, passatemi il termine, più reazionario; in cui le rivoluzioni artistiche non sono sempre accolte con piacere.
Noi abbiamo raccolto il testimone delle band prog degli anni ’70, ma non disdegniamo di attingere da pagine di musica successive a quell’epoca per trarne elementi di arricchimento. Convivono nella nostra musica tutte le anime che hai elencato, ma Il Segno del Comando è un’entità in continua evoluzione.
Siamo molto influenzati dal soundtrack, dal jazzrock e dal metal. Le musiche sono sempre scritte per fare da colonna sonora ai nostri testi, che sono una sorta di diario di bordo delle ricerche compiute su tematiche che riguardano esoterismo e spiritualità.
Tu sei il promotore della rinascita della band nel 2013. Come mai ad un certo punto hai sentito l’esigenza di rimettere in piedi questo progetto e con quali aspettative?
Negli anni in cui noi iniziammo ad avvicinarci al prog, parlo degli anni ’90, questo genere, era giunto ai minimi storici. Eravamo non più di una decina di band in tutta Italia (escludendo ovviamente i grandi nomi del passato).
Gli sbocchi erano pochissimi e le difficoltà enormi. Tutto questo (assieme ad altri problemi legati alla difficoltà di tenere assieme il gruppo) mi spinse per un periodo piuttosto lungo ad occuparmi di altri progetti in scene musicali differenti. Ambienti che in quel momento sembravano offrire maggiore possibilità di mettersi in gioco dal punto di vista della sperimentazione. Tuttavia, la nostra etichetta discografica (Black Widow Records di Genova), non smise mai di provare a rimettere in attività Il Segno del Comando. Io avrei avuto l’intenzione di continuare a portarlo avanti parallelamente al resto, ma nel frattempo era venuto meno il nucleo storico che dagli esordi si era occupato di guidare la band dal punto di vista compositivo. Ogni tentativo di riunirci, fatto negli anni successivi al 2002, fu vano.
Infine nel 2013 decisi di riavviarlo prendendone interamente le redini sia dal punto di vista creativo sia dal punto di vista della direzione artistica. Nel farlo mi resi conto che le cose erano nel frattempo molto cambiate. Molti generi che andavano per la maggiore negli anni ’90 erano praticamente spariti, mentre il prog viveva un momento di grande vitalità.
La voglia di tornare ad affrontare determinate tematiche e di mettermi in gioco nella creazione di certe alchimie sonore era fortissima. Cosi mi misi a scrivere e realizzai un album dal titolo “Il Volto Verde”. La Black Widow, per questa operazione, mi mise a disposizione una serie di musicisti molto bravi e alcuni ospiti illustri tra cui Claudio Simonetti (Goblin), Gianni Leone (Balletto di Bronzo), Martin Grice (Delirium), Paul Nash (The Danse Society), Freddy Delirio (Death SS) e Sophya Baccini (Presence e Osanna).
A questi si aggiunsero alcuni musicisti con cui avevo stretto da anni un sodalizio molto forte e che subito dopo l’uscita di questo album presero il testimone portando Il Segno del Comando fino ad oggi.
A quale tipo di pubblico diresti che si rivolge il vostro più recente lavoro e a che cosa si ispira?
Direi che quest’album (“L’Incanto dello Zero”) sia adatto al pubblico prog, al pubblico metal e agli amanti di atmosfere horror. Questi sono perlopiù i tipi di pubblico che si interessano alla nostra musica.
L’album si ispira al romanzo di Cristian Raimondi dal titolo “Lo Zero Incantatore” che è stato scritto in seno al piccolo gruppo di studi e ricerche esoteriche interno alla band. Un laboratorio che abbiamo creato per supportare il lavoro che svolgo per scrivere le liriche dei nostri album. Cristian è un collaboratore molto stretto che fa parte a tutti gli effetti della squadra de Il Segno del Comando pur non salendo con noi sul palco.
Tutti gli Lp pubblicati fino ad oggi sono dei “concept album” dedicati ad opere letterarie a contenuto esoterico. In questo caso ci siamo scritti direttamente un romanzo su misura per poter avere maggiori possibilità di parlare di determinati aspetti che riguardano le nostre ricerche.
Tu sei un veterano nel mondo della musica.Ti emoziona ancora esibirti dal vivo?
La musica è un ingrediente fondamentale della mia esistenza. Con il passare del tempo ho saziato molto la mia voglia di fare dischi (tra raccolte, EP e album ho raggiunto le 45 pubblicazioni), ma la voglia di salire sul palco è sempre fortissima. Il Segno del Comando è nato nel ’95 con l’idea di restare un progetto esclusivamente da studio, ma oggi trova la sua massima espressione nella dimensione live.
Voi avete aperto il concerto del Banco del Mutuo Soccorso. Cosa ne pensi di loro e come è stato dividere il palcoscenico con una band con una storia così intensa come la loro?
Da fan del Banco ho vissuto questa possibilità come un regalo inatteso. Nel fare la conoscenza di Vittorio e dei suoi ragazzi ho poi avuto modo di constatare con grande piacere che, oltre ad essere dei musicisti straordinari, sono anche persone molto care e rispettose. Siamo stati accolti con grande cordialità ed affetto. Abbiamo trovando nella manager Lorella Brambilla grande sostegno. Un’esperienza stupenda sia dal punto di vista artistico sia dal punto di vista umano.
A volte ci capita di suonare in apertura a band famose, ma un clima simile non è cosi frequente. Capita molto più spesso di non avere quasi alcun contatto o scambio.
Sappiamo che in quell’occasione hai fatto amicizia con il batterista del Banco Fabio Moresco. Cosa ne pensi di lui e quali credi siano i vostri punti in comune musicalmente parlando?
Oltre ad essere un batterista dal talento straordinario Fabio è anche una persona molto gentile ed affettiva. Ci siamo incontrati già al mattino al Politeama ed è stato facilissimo entrare in confidenza.
Qualcosa di profondo che sfugge anche alla mia comprensione è sicuramente presente. D’altronde spiegare il perché due persone provino simpatia reciproca è meno semplice di quanto possa sembrare.
È come se si instaurasse tra di loro una specie di metalinguaggio che fa la differenza nella capacità di riconoscere nell’altro qualcosa di sé stessi.
Dal punto di vista artistico, penso che ci sia in comune un approccio istintivo e aperto che non prevede l’uso di maschere anche nell’approcciare la musica.
Nei giorni successivi al concerto siamo rimasti in contatto anche telefonicamente.
Quali sono i prossimi passi del Segno del Comando?
Abbiamo intenzione di tornare in studio per registrate un EP che chiuderà la trilogia dedicata allo scrittore austriaco Gustav Meyrink (altre due sue opere sono state alla base dei concept di altrettanti nostri album). Si intitolerà “Il Domenicano Bianco”.
Abbiamo rallentato un poco l’attività live, ma alcune date continueremo a farle con grande piacere.
Qual è il stato il musicista che ti ha avvicinato inizialmente al basso, il tuo mito?
Il primo bassista ad avermi ispirato è stato sicuramente Steve Harris degli Iron Maiden. Ho poi via via scoperto altri grandi bassisti del passato come John Entwistle, Jack Bruce, Leo Lions e Andy Fraser.
Ho avuto successivamente un periodo in cui ho amato molto bassisti della scena heavy rock americana come Billy Sheehan e Stuart Hamm.
Poi sono passato al jazz. Amavo, già da molti anni, bassisti come Jaco Pastorius e Stanley Clarke, ma durante i miei studi ho approfondito soprattutto i contrabbassisti bebop come Paul Chambers, Ron Carter, Scott La Faro e Ray Brown (con quest’ultimo ho avuto, tra l’altro, la fortuna di studiare negli anni ottanta).
Se potessi tornare indietro e rimettere le mani su qualcosa che hai fatto in passato per la band, cambieresti qualcosa e se si che cosa?
Se dovessi tornare ai tempi dei primi due dischi penso che sostituirei molto volentieri l’uomo che sono adesso con quello che ero allora. Le maturità artistica non mancava e non ho grossi motivi di pentimento per quanto ho realizzato con Il Segno del Comando, ma di certo mancava la forza e la consapevolezza che mi caratterizzano oggi. Quelle caratteristiche che mi permettono di mettermi a disposizione della band e di tutti i talentuosi artisti che collaborano con essa.
Oggi ho imparato a lavorare in modo che ogni elemento della squadra trovi terreno fertile per esprimersi al meglio e dare il massimo. Potessi tornare al passato vorrei essere capace, come lo sono ora, di mantenere dinamiche virtuose evitando l’instaurarsi di conflittualità che alla lunga rovinano ogni progetto. Inoltre, per molti anni ho trascurato molto (forse troppo) il mio ruolo di bassista per occuparmi della composizione, della direzione artistica e del coordinamento delle mie band. Oggi mi sto concedendo qualche spazio in più da questo punto di vista.