Oggi intervistiamo per voi il noto musicista romano Federico Zampaglione, che durante le giornate di lockdown ha girato due corti di grande successo, Bianca e Bianca Fase 2.
E’ proprio vero che il talento e la creatività non conoscono barriere. Così capita che uno dei più rappresentativi e apprezzati personaggi della scena musicale nostrana, Federico Zampaglione, venga definito “il nuovo re dell’horror” dalle più autorevoli fonti internazionali specializzate in cinema di questo genere.
E pensare che a scaturire questa nuova, clamorosa affermazione da regista del mastermind di Tiromancino, sono stati due corti fatti in casa, Bianca e Bianca Fase 2, girati con un semplice ipad rispettivamente durante la prima dura fase del lockdown e la seconda, quella delle riaperture dei parchi e del permesso di frequentare familiari e congiunti. In un contesto difficile come quello della quarantena da Coronavirus, Federico è riuscito a tirar fuori prepotentemente la propria visione artistica e a catturare l’interesse di pubblico e media “risvegliati” attraverso i social sui quali ha postato Bianca e Bianca – Fase 2. E’ vero che in passato, con la black comedy Nero Bifamiliare e l’ottimo esordio horror/thriller Shadow seguito da Tulpa, il cantante e musicista romano non era passato affatto inosservato ed aveva messo alla prova la sua capacità dietro la macchina da presa.
Ma essere riuscito ad ottenere tali consensi con mezzi tecnici ridotti al minimo e un cast (se si esclude il cameo di Claudia Gerini in Bianca Fase 2) composto essenzialmente da due sole attrici, la giovanissima ma già molto promettente figlia Linda e la compagna Giglia Marra, intensa ed affascinante attrice pugliese, è qualcosa che ha quasi dell’incredibile. Una vera impresa, insomma, questa di Federico Zampaglione, destinata certamente ad avere un seguito. In attesa di pubblicare il suo nuovo cd dopo il successo dello scorso Fino a Qui, infatti, il “re dell’horror” Zampaglione anticipa l’idea di voler tornare presto sul set a dirigere un lungometraggio, deciso più che mai a…togliervi il sonno!
Benvenuto su La Gazzetta dello Spettacolo a Federico Zampaglione. Come mai hai deciso di realizzare due corti in stile horror?
E’ questo il genere che a me piace fare, ho diretto anche dei lungometraggi di questo tipo quindi non è una cosa nuova per me. E’ una passione che da anni mi ha portato ad avere un’attività molto intensa perché i miei film sono stati distribuiti in tutto il mondo, quindi sono stato tanto in giro, sia con Shadow che con Tulpa. Come dicevo questo è il mio genere preferito perché con l’horror mi diverto anche di più a sperimentare, a inventare delle situazioni. Il primo Bianca è partito come un gioco. Per passare il tempo qui in casa, visto che la situazione in quel periodo era di totale immobilismo, per far divertire e intrattenere mia figlia Linda, con Gianluigi Perrone abbiamo scritto una sceneggiatura che si potesse realizzare con due attori, Linda e la mia compagna Giglia Marra che è un’attrice. Abbiamo scritto una storia molto semplice che si potesse realizzare con le due interpreti e una casa, creando una situazione di tensione con un finale inaspettato. Poi dopo abbiamo fatto il montaggio, è stata Linda che mi ha aiutato facendomi vedere un programma di montaggio e lei che mi ha insegnato ad utilizzarlo tecnicamente. Così abbiamo riempito i tanti giorni di noia, o di potenziale noia, facendo qualcosa che ci ha tenuto su, abbiamo avuto degli obiettivi da realizzare che hanno reso quelle giornate più vive. Quindi abbiamo postato il primo Bianca su youtube e sono cominciate ad uscire recensioni, giudizi, commenti vari. L’abbiamo lanciato in premiere proprio come si fa con i film, sui social network di Tiromancino così all’inizio a visionare i corti sono stati prevalentemente i fans di Tiromancino. Nei giorni successivi, però abbiamo visto che si era creata una bella risposta anche da parte di riviste specializzate tipo HorrorItalia24, fonti e siti dedicati al cinema dark, anche dall’estero. Tutti ci chiedevano un seguito, volevano sapere come andasse a finire la storia…Per questo abbiamo deciso di fare il secondo Bianca che sicuramente è stato più impegnativo. Anche in questo caso è stato realizzato tutto ed unicamente con l’ipad: il sonoro, le riprese, il montaggio, la fotografia, la presa diretta considerando che non avevo microfoni o altro…La mia idea era quella di seguire le varie fasi del lockdown, infatti nel primo Bianca c’è proprio l’atmosfera del lockdown, quindi dello stare rinchiusi con questa minaccia che è un qualcosa che entra dentro casa. In quei giorni non c’era altra possibilità ma con la fase 2 e il diverso andamento del Covid è stato dato il permesso di recarsi ai parchi, con l’area giochi chiusa come si vede in Bianca 2. Si potevano frequentare i famosi congiunti, infatti sia l’uomo che recita nella parte del gobbo che la bambina fantasma e Claudia Gerini sono tutti miei congiunti. Ci siamo attenuti alle regole seguendole pienamente. Però sottolineavo che è stato impegnativo perché nel corto si vede questa villa completamente vuota ma nella realtà era strapiena. Considera che erano i primi giorni in cui erano stati riaperti i parchi quindi figurati, era piena di schiamazzi, di rumori, di bambini che giocavano, di mamme che chiacchieravano, di anziani che passeggiavano, c’era di tutto. Quando sono arrivato li mi sono reso conto di dovermi inventare qualcosa poiché non avevo con me una troupe o un set dove tutto è controllato, dove puoi evitare che qualcuno di indesiderato entri nell’inquadratura. Lì è capitato che mentre giravo una scena sia comparsa una palla seguita da tre bambini. Ci sono state delle situazioni complesse, ad esempio non potevo girare nel primo pomeriggio perché la luce con il sole non sarebbe stata giusta. Avevo una finestra temporale tra le 18,30 all’incirca e le 20 per usufruire di una luce para e dare un senso più freddo, statico. Comunque nel cinema di genere, nello specifico l’horror, la location rappresenta il 50% nel senso che se giri una scena in una casa tutta buia e diroccata, quello già ti da il 50% della paura. Ritrovarsi in un posto come Villa Sciarra nel pieno del giorno non è stato facile. È stata una sorta di sfida con me stesso, il dover tirare fuori un senso di paura e di inquietudine con tutta una serie di fattori presenti che andavano esattamente nella direzione opposta ovvero un luogo arioso, bello, con un gran casino intorno mentre io volevo il parco deserto, surreale. Tra l’altro tutto i suoni che senti in sottofondo, tipo uccelli, gufi, li ho dovuti creare io, fare un lavoro particolare sul suono che contribuisse a dare quel senso di inquietudine che mi serviva. Quindi anche dal punto di vista sonoro, il secondo corto è stato più complicato. Se ci fai caso non ho usato molta musica, sul finale c’è qualcosa ma in tutta la prima parte no. Se giri una scena qualsiasi e sotto ci metti un sottofondo molto thrilling, è facile creare subito l’horror. Io invece ho voluto far nascere alcune sensazioni senza l’utilizzo delle musiche ma piuttosto puntando maggiormente sui suoni della natura.
Il primo Bianca è molto claustrofobico e ha tutti gli elementi classici dell’horror, tipo l’uomo con la maschera e la donna che afferra il coltellone, ma in Bianca Fase 2 tutto questo non c’è…
Il primo corto è più giallo, più thriller anni Settanta italiano, con donne e coltelli che escono dal buio. Il secondo paradossalmente è meno giallo ma ha sfumature più da horror soprannaturale, delle venature più horror anche nel tipo di paure…Ci possono essere dei fantasmi, dei personaggi da spavento come quella specie di maniaco, situazioni più demoniache, voci che sussurrano tipo setta…Questo fa decisamente più parte dell’immaginario del cinema horror.
Da dove nasce questa tua passione per il genere thriller horror?
Ce l’ho sempre avuta fin da ragazzino. Quando ero piccolissimo mio padre mi portò al luna park nel trenino dei mostri. Un ricordo indelebile, ho ancora in mente quando uscii dal trenino con mio padre e mio fratello. Mi spaventò tantissimo però sentii che quella paura mi era piaciuta, era qualcosa che mi aveva estremamente affascinato. Avrò avuto cinque o sei anni e tutto questo mi attraeva e mi divertiva. Poi ho sempre letto fumetti tipo l’Almanacco della Paura e quando ero adolescente mi sono tuffato in tutto quel grandissimo patrimonio di cinema italiano di genere, una filmografia, una produzione super florida e parlo di tutto il cinema di Dario Argento, Lucio Fulci, Mario e Lamberto Bava, Sergio Martino, Ruggero Deodado, Fernando Di Leo, Antonio Margheriti…In quel periodo la scena di genere italiana, a partire dal western per andare poi su tutti gli altri stili, era estremamente dominante con registi dalla grandissima personalità che hanno fatto dei grandi film ed io ero impazzito per tutto questo. Poi la vita professionalmente parlando mi ha portato altrove perché ho avuto successo come musicista ma questo non mi ha impedito di continuare ad essere un fan di quel cinema.
Volevo chiederti quali sono stati i tuoi registi preferiti ma praticamente hai già risposto…
Ho ammirato i grandi maestri italiani del thriller e dell’horror. Chiaramente poi con il passare del tempo ho visto tanti film americani, francesi, asiatici e gli horror asiatici sono bellissimi. Non dimentichiamoci poi che stiamo parlando di uno dei generi più amati al mondo. Basta andare in giro sulla piattaforma e rendersi conto che thriller, horror, storie di spacciatori, di criminali vari, il genere crime, il mondo delle bande…I ragazzi impazziscono per queste produzioni.
Tu come regista, al di la di Nero Bifamiliare che è una black comedy, con Shadow hai confezionato un horror dal sapore internazionale che guardava a produzioni tipo Allucinazione Perversa mentre con Tulpa hai omaggiato il thriller italiano…
La vita a volte ti porta a fare qualche strano passaggio. Dopo Nero Bifamiliare dissi a me stesso: fatta la prima esperienza da regista a questo punto se devo fare un altro film, perché non sta scritto da nessuna parte che io lo faccia, allora voglio fare un film che mi va proprio di fare ovvero un bel thriller horror internazionale. Se è cosi va bene, altrimenti continuo con il mio lavoro di musicista e basta. Il destino ha voluto che io lo facessi quel film. Con grande sorpresa di tutti Shadow è piaciuto tantissimo in tutto il circuito internazionale, ha cominciato a partecipare ai festival importanti come FrightFest di Londra o il Sitges in Spagna, ti parlo di festival da 25.000 presenze in pochi giorni. Da li questi risultati mi hanno portato un po’ ovunque. Quel film è stato tanto apprezzato tanto ed è stato venduto in 75 paesi diversi. Che posso dire, la vita riserva delle strane sorprese!
Nel caso dovessi tornare a fare un lungometraggio, sceglieresti un horror?
Adesso forse devo girare un film che non è un horror ma sicuramente prima o poi tornerò lì. Non ci stavo pensando in questo periodo ma ecco uscire fuori questa storia dei corti di Bianca. Non c’era un minimo di pianificazione, sono nati in conseguenza del modo in cui abbiamo vissuto il periodo della quarantena. Non si poteva fare nulla, non si poteva vedere nessuno, era una situazione portata all’estremo e questi corti mi hanno ributtato dentro alla questione dell’horror. Moltissime recensioni sia in Italia che all’estero mi esortano a farlo. Dicono: beh, se con un ipad e basta sei riuscito a creare una cosa simile, allora devi anche fare un film. E in fondo anch’io la penso così.
A proposito di recensioni, la rivista Nocturno Cinema ti ha nominato “re dell’horror”. Ti aspettavi un riconoscimento del genere?
Quando l’ho letto sono rimasto allibito, anche perché dopo un po’ tutti quanti hanno ribadito questo concetto. Anche Rue Morgue, una delle fonti mondiali americane più importanti al mondo, di sicuro tra le prime tre e forse in questo momento la prima in assoluto. Cosa posso aggiungere, mi sono detto: non è possibile. Non ci potevo credere, sono stato contentissimo, non tanto da regista quanto da fan del genere. È come se tu fossi stato il più grande appassionato di pizza per tutta la tua vita e ad un certo punto il Gambero Rosso venisse da te a dire che sei il re della pizza. È stata la passione a portarmi a questo traguardo. Una bella responsabilità.
Ma soprattutto una bellissima soddisfazione…
Si’, perché questa cosa è stata detta da persone esperte. Non magari dal fan della musica che ti adora e vuole gratificarti. Se lo dice gente che ha dedicato un’intera vita a quel tipo di cinema e a quel mondo…allora chiaramente ha un certo peso.
Nei film horror la colonna sonora è sempre stata importantissima, pensa a quelle dei Goblin o di Keith Emerson. Anche questo aspetto, che da musicista ti riguarda molto da vicino, ti colpiva quando eri un adolescente?
Moltissimo. Amavo le colonne sonore non solo degli horror ma anche dei film polizieschi tipo Uomini si nasce Poliziotti si Muore di Deodato e Di Leo e tutto quel mondo li. Tanto che molte di quelle atmosfere tese, con quegli archi, me le sono portate anche nei Tiromancino. Mi sono ispirato tanto, se pensi ad alcune orchestrazioni dei miei pezzi richiamano le colonne sonore anni Settanta. Probabilmente questo è anche il motivo per cui ho lavorato tantissimo nel cinema, perché penso che sotto sotto i Tiromancino abbiano sempre avuto un qualcosa di legato al mondo del cinema, la costruzione delle atmosfere soprattutto. Sono canzoni pop ma poi hanno dietro una dimensione musicale cinematografica e uno dei miei riferimenti sono sempre state le musiche di film horror e polizieschi. Nell’horror la musica si usa tanto, ma per una scena può diventare una sorta di doping. Pensa che anche questa nostra innocua conversazione potrebbe sembrare improvvisamente inquietante. Se io ci aggiungessi un sottofondo di piano horror, ad esempio, si potrebbe credere che stiamo parlando di uccidere qualcuno! A me non piace cadere nella trappola della musica. Vedo molti film che mettono quelli che in gergo si chiamano i “tappetoni” musicali, che aiutano la scena ad avere un tono grande e inquietante, ma secondo me è bello anche rinunciarci e cercare di creare tensione attraverso la costruzione della scena, per come la guardi e l’occhio del regista è importante. Se fai girare la scena di qualcuno che cammina in un corridoio da un regista di film dark e thriller e poi la fai girare da un regista di altro genere, vedi che si tratta di due occhi completamente diversi. Il regista horror non ti farà mai vedere quello che c’è dietro un angolo e se si apre una porta, ad esempio, viene fatto in maniera tale che quel gesto ti metta un’ansia incredibile. La vai a riprendere da dietro, inquadri i passi, i piedi. Un regista “normale” non fa questo, non inquadra i piedi, non fa una ripresa da dietro la spalla. Questi elementi invece creano la suspence, che secondo me è la cosa più difficile da ottenere. Io non amo l’horror splatter, quello pieno di sangue, la macelleria. A me piace la suspence, infatti ho amato tantissimo anche i film di Hitchcock. Per esempio per Bianca ho giocato moltissimo sulla suspence. Non c’è una goccia di sangue, non succedono cose particolari, è più tutto quello che tu hai paura che succeda. lo studio su queste cose qui. È uno studio molto profondo perché in qualche modo devi riuscire ad essere un occhio che guarda una persona da una certa angolazione vedendola però sotto un’altra lente, una lente inquietante. Ripensiamo alla scena nel parco di Bianca 2. Lì mi sono ritrovato in una location bella e serena ed ho dovuto trasformarla in un posto inquietante. Devi lavorarci in maniera subliminale perché non sei aiutato dal contesto.
Insomma, devi avere una tua visione forte interiore…
Devi avere la tua visione, non è come una commedia dove ti basta inquadrare gli attori, fare il primo piano e cogliere le espressioni. Dopo di ciò il movimento dell’attore nell’ambiente è neutro. In un film thriller il modo in cui fai vedere una cosa può essere spaventoso o agghiacciante, può scaturire ansia oppure non fare alcun effetto. Ma se non riesci a trasmettere inquietudine, allora il film è di una noia mortale. Ci devi lavorare bene perché sono meccanismi sottili ma che a tratti colpiscono l’immaginario di paure che tutti abbiamo. In Bianca 2 ho giocato anche sul fattore umano, ad esempio di andare ai giardinetti dove ti rapiscono la figlia. Non è come quando in un film arrivano lo zombie e tu ti senti rassicurato perché gli zombie non esistono. Purtroppo queste altre cose invece esistono. E’ lo stato d’animo di una mamma che si allontana per un momento, per una sciocchezza, poi torna e la figlia non c’è più. Una paura che in fondo ogni genitore ha.
Concludiamo con la musica. Di recente hai postato sui social la tua versione di “Un tempo piccolo” (n.d.r. portata al successo da Franco Califano) con Biagio Antonacci. Come è nata la la vostra collaborazione?
Con Biagio siamo amici, ci vogliamo un bene dell’anima e abbiamo lavorato insieme anche dal vivo. Nel mio ultimo album molti artisti italiani hanno ricantato canzoni mie del passato come Tiziano Ferro con Per me è importante, Jovanotti con La descrizione di un attimo, Luca Carboni con Imparare dal vento, Elisa e Mannarino con Amore Impossibile, ma anche Fabri Fibra, Thegiornalisti, Calcutta, i Negramaro, Alessandra Amoroso…Duetti presi dal mio repertorio. Il disco ha avuto un bel successo. E’ stata una soddisfazione vedere che il fior fiore degli artisti di musica italiana, grandi personaggi, abbia accettato di ricantare con me le mie canzoni perché quelle canzoni gli piacevano. Un disco di condivisione con dei miei colleghi quindi qualcosa di molto bello. Adesso c’è in programma un nuovo album che sto per completare. Il primo singolo dovrebbe uscire dopo l’estate. Poi capiremo meglio quando sarà il momento di pubblicare l’intero cd e di pensare ai concerti dal vivo. In questo periodo stiamo vedendo che alcune situazioni hanno ricominciato ad attivarsi. Ma nonostante le riaperture sia di bar che di ristoranti, mi sembra che la gente sia timorosa ad andare fuori. Dico questo soprassedendo su quelle immagini di gente incosciente che abbiamo purtroppo visto creare assembramenti e ben altro. Ma parlando delle persone responsabili, mi sembra che molte non siano ancora pronte. Questa pandemia è stata un colpo duro e credo che fino a quando non si troverà una cura valida o addirittura un vaccino, ci sarà la paura. Ci vorrà un bel po’ di tempo prima che in noi torni la voglia di aggregarci. Quindi l’album è quasi finito ma per pubblicarlo aspettiamo il momento giusto.