Il principe Antonio De Curtis, in arte Totò

Totò: 125 anni della nascita

“Stu core analfabbeta tu ll’he purtato a scola, e s’è mparato a scrivere, e s’è mparato a lleggere sultanto na parola: “Ammore” e niente cchiù. Ammore, ammore mio si tu, femmena amata. Passione, passione ca sta vita daie calore. Quanno te vaso a vocca avvullutata, chistu velluto m’accarezza ‘o core, stu core, ca tu pa’ mano lle purtato a scola, e se mparato a scrivere, e se mparato a leggere… Ammore e niente cchiù.” (Core Analfabbeta)

Mi piace esordire questo articolo omaggiando il multiforme ingegno di Totò, che non si manifestò solo nel teatro, in tivù e nel cinema attraverso la sua pungente comicità, ma anche nella musica e nella poesia e Core Analfabbeta, per me ma non solo,  è una canzone che è più di un semplice brano, essa è una poesia in musica e vi confesso che la ascolto di sovente, la sua voce nel cantarla possiede un’interpretazione intensa, con una punta di malinconia tipica di chi si strugge davvero per il Vero Amore. Un capolavoro interamente composto in testo e musica dallo stesso Totò e che per chi la volesse ascoltare fa parte della colonna musicale del film Siamo uomini o caporali, ma anche su YouTube .

Il 15 Febbraio prossimo Napoli e tutta Italia celebreranno i 125 dalla nascita di uno degli attori che ha saputo cogliere le varie sfumature del tempo, precorrendolo con le sue espressioni, sketch e modi di dire: Totò. Chi oggi non pronuncia almeno un paio di volte al giorno le sue celebri esclamazioni, tra cui  una delle più note “Signori si nasce ed io lo nacqui, modestamenteoppure “Ma mi faccia il piacere” e quella frase del film I due colonnelli, in cui invita il militare tedesco a fare un altro uso della tanto decantata “carta bianca”, perché lui un paese inerme non lo avrebbe bombardato! Queste come direbbe lui, non sono mica quisquiglie e pinzellacchere !

 Da tutti definito maschera comica, a causa di quel suo mento pronunciato che era frutto di un pugno e che lo ha reso unico e nonostante in tanti abbiano tentato di emularlo, rimane inimitabile perché le sue caratteriste attoriali coniugate con la sua mimica saranno sempre una spanna sopra, anche perché saper far ridere è un’arte e lui quest’arte la possedeva senza ricorrere a gratuite volgarità. Forse, provando ad azzardare una mia personale interpretazione, solo chi si porta dentro tanto dolore e non solo il proprio, è in grado di strappare sonore e piene risate, perché come sosteneva lui “a far piangere è facile, il difficile è far ridere”.

La comicità è un lavoro serio, scusate il gioco di parole ma lui probabilmente la penserebbe così come la penso io.  Questo il mio piccolo omaggio in ricordo della sua nascita, a colui che mi ha fatto sorridere e riflettere al contempo.

Personalmente è tra i miei attori preferiti, al primo posto e senza voler esagerare, conosco i suoi film, dal primo Fermo con le mani, del 1937 per la regia di Gero Zambuto in cui era giovanissimo, magrissimo, con i capelli “impomatati” e le labbra colorate tipico degli attori di teatro e del varietà. Credetemi, per me è quasi difficile trattenermi dal non fare l’elenco della sua filmografia, ma per dovere di omaggio, il mio, quale sua umile spettatrice, non posso non ricordare e citare, sebbene non tutti,  le risate che tutt’oggi mi faccio guardando: San Giovanni Decollato(1940);  Totò al giro d’Italia del 1948 (con i campioni italiani del ciclismo dell’epoca Bartali e Coppi), e poi nel 1951 insieme ad un giovanissimo  Alberto Sordi nel ruolo di un antipaticissimo professore, fa ridere con la morale dietro ogni sua battuta nel film Totò e i re di Roma; sempre dello stesso anno Guardie e ladri, con accanto ad Aldo Fabrizi e questo fu inserito quale opera rappresentativa dei 100 film italiani da salvare. Toto’ a colori del 1952, in cui l’attore si esibisce nello sketch celebre della marionetta, campione di incassi, anche per la critica. E ancora quella che io definisco la trilogia temporale con Un turco Napoletano del 1953, Miseria e Nobiltà del 1954 e che vede la scena che lo ha reso famoso ovunque, ovvero quella degli spaghetti mangiati a mani nude e poi inseriti nelle tasche, immagine della fame e della povertà autentiche che contrassegnavano ancora tanti luoghi d’Italia, specialmente i quartieri della sua Napoli e infine Il medico dei pazzi (1954). Andando avanti con la mia memoria cinematografica, una menzione tutta loro, la meritano quei film in cui Totò con un’apparente leggerezza comica, portò alla luce la crudeltà dell’uomo, l’accanimento della vita, i pregiudizi e le ingiustizie sociali e che nella mia memoria di spettatrice occupano un posto privilegiato, forse per la crudezza degli argomenti sapientemente affrontati, con i quali Totò riuscì a strappare delle amare risate di consapevolezza,  penso dunque a Siamo uomini o caporali (1955), Dov’è la libertà?(1954),   La banda degli onesti(1956), Il coraggio (1955), I tartassati (1959), Arrangiatevi (1959), I due Marescialli(1961), I due Colonnelli (1963) e Il Comandante(1963). Personalmente, se non li avete visti vi consiglio di mettervi comodi e poi assaporare la loro bellezza, attraverso lo sguardo sofferto di Totò che ben conosceva quei temi. Per poi tornare  a sorridere con Totò truffa ’62 e la sua scena della fantomatica vendita della fontana di Trevi, con accanto un altro grande attore Nino Taranto, che per il principe nutriva massimo rispetto, oltre che ammirazione e gratitudine quando dallo stesso Totò venne convocato per essergli da compagno di scene, oramai conosciuto e storico il sodalizio con Peppino De Filippo sua nota spalla in tanti film, ma Taranto si sentì onorato, quando il principe della risata lo chiamò e questa ammirazione la rivolse nel commosso ricordo del 15 aprile 1967, data in cui  Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio, in arte Totò (servo del Principe), si congedò dalla vita e dalle scene in totale riservatezza e in quel silenzio privato.

Per me, che sono nata molti anni dopo la sua morte, pensarlo e vederlo in un dvd con la sua voce, le sue mimiche e battute uniche, mi trasmette due sensazioni: da una parte allegria e dall’altra tristezza, come se fosse uno di famiglia, mio nonno.

Così appassionata ho preso a seguire tutto ciò che lo riguardasse, ho letto dei suoi tanti viaggi segreti per recarsi nel cuore della notte, al quartiere Sanità della sua Napoli per mettere una banconota sotto le porte dei più poveri. Ho altrettanto appreso la sua “intransigenza” sulle scene, sviluppata e maturata durante gli anni da giovane artista di avanspettacolo e varietà. Dell’amore per l’artista Liliana Castagnola conosciuta nel 1929 a Napoli, i due vissero un’intensa, seppur breve e tormentata, storia d’amore e sebbene la Castagnola fosse una donna fatale, lo amò sinceramente. Dopo il primo periodo iniziarono i problemi legati alla gelosia di lui, si dice che Totò non sopportasse l’idea che Liliana ricevesse intense attenzioni da parte di ammiratori, il che diede vita a continui litigi fino al deterioramento del loro rapporto, che purtroppo sfociò nel suicidio di lei, a causa di un profondo stato depressivo in cui la donna era entrata. I rimorsi lo accompagnarono per tutta la vita, tanto che decise di seppellirla nella cappella dei De Curtis a Napoli, nella tomba sopra la sua e decise  che, qualora avesse avuto una figlia, invece di battezzarla con il nome della nonna paterna Anna (secondo l’uso napoletano), le avrebbe dato il nome di Liliana, come poi effettivamente fece con la figlia Liliana de Curtis.

Come non ricordare l’amore per sua moglie Diana Bandini Rogliani, a cui dedicò la nota canzone  Malafemmena, la mamma della sua amata Liliana De Curtis (recentemente scomparsa); bellissimo il libro che la stessa Liliana scrisse Malafemmena  insieme a Matilde Amorosi, che personalmente ho letto nell’anno della sua uscita, in cui si fa il ritratto a parer mio più caro, autentico e senza fronzoli di un uomo che ha superato i tempi e  che ce lo hanno reso immortale.

Celebre ‘A Livella, una poesia senza pari intrisa di visioni tra l’onirico e il reale di ciò che sarà di noi, oltrepassato quel cancello di ceri e cipressi, in cui non ci sono artisti, regnanti, gran signori o umile gente, con la livella, tutti siamo resi uguali. Lui steso ne era consapevole, più volte aveva dichiarato di non aver paura della morta, per lui oltre a far parte della vita era una cosa naturale e averne paura era una cosa da fessi. Per lui era così che aveva già la tomba pronta con nome e data di nascita.

La cosa che io rimpiango e non aver avuto l’occasione per incontrare sua figlia, sarebbe stato come stringere la mano a lui. Fortunatamente ho avuto il piacere qualche anno fa di intervistare Elena Anticoli De Curtis, nipote del principe della risata, la stessa che in occasione dei 125 anni dalla nascita del nonno presso il Grand Hotel Parker’s di Napoli, intorno alle ore 18:00 parlerà del grande attore attraverso il libro da lei curato, dal titolo Antonio De Curtis- Il Principe Poeta. Tutte le poesie e le liriche di Totò, un testo che oltre alla nipote vede anche l’apporto di Virginia Falconetti, edito da Colonnese.

Inoltre segnalo che lo stesso Hotel, ha scelto di rendere omaggio a Totò con una mostra fino al 22 del mese a lui dedicata, che sarà aperta agli ospiti dello stesso. Inoltre vi sarà un percorso enogastronomico a cura dello chef  Vincenzo Fioravante del ristorante Muse, che nei locali del Grand Hotel, dedicherà a Totò un piatto al giorno, traendo ispirazione dal libro di ricette “Fegato qua, fegato là, fegato fritto e baccalà” curato dalla figlia dell’attore, Liliana De Curtis e dalla giornalista Matilde Amorosi, edito da Rizzoli.  Il piatto con cui lo chef  celebrerà il principe Totò, sarà  lo “Spaghetto alla puveriello”, celebre piatto della tradizione partenopea.

Su Angela Pensabene

Angela dopo studi di canto e musicali in Conservatorio, si forma come artista di Teatro Lirico esibendosi dapprima come corista in Opere liriche e poi come solista, principalmente nel repertorio Verdiano. Nel contempo inizia l'insegnamento nelle Scuole sia Primarie che Secondarie.

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