Talent Show

Alla scoperta dei talenti con i Talent Show

Talent Show

Dopo aver parlato la volta scorsa quanto sia in declino la  musica italiana, parliamo oggi di un altro grave malanno che ha fortemente fatto precipitare la situazione generale negli ultimi anni.

TALENT SHOW: un fenomeno che indubbiamente appassiona molti. Molti altri, invece, ne studiano il risvolto socio-psicologico. Altri ancora ne prediligono le perfomance interrotte o seguite da storie di vita strazianti, accompagnate dall’immancabile musichetta strappalacrime. Per alcuni, farne parte diventa addirittura una ragione di vita, di morte e di pianto, l’unico motivo di esistenza dei loro progetti. Poco gl’importa se chi li giudica si occupa un giorno di musica ed il giorno dopo, con la stessa disinvoltura  da dietro un fornello televisivo, di melanzane alla parmigiana. Non si corre certo il rischio di mancare di coerenza con la nostra epoca caratterizzata dai tuttologi, e sappiamo che il mondo è bello perché vario. Senza definire adesso cosa sia il successo, l’interrogazione è, se tali manifestazioni, nella stragrande maggioranza dei casi, sono un passo per quel successo (breve) o una strada per la frustrazione infinita. Prima che il fenomeno dei talent-show esplodesse in televisione non credo che la parola talento, godesse di una tale popolarità.

La causa della diffusione di massa dei TALENT SHOW è nobile: tutto è fatto in nome del talento.

Quanti abusi per un parola così piena di significato. E’ una parola che dovrebbe essere usata con cautela. L’abbiamo invece ridotta ad una sottospecie di colluttorio per sciacquarci la bocca, facendola diventare un termine di moda. Oggi il talento pare essere dietro l’angolo di ogni strada. Dall’anno zero del nuovo millennio ad oggi abbiamo assistito ad una vera e propria proliferazione di figure talentuose, un concetto ai limiti dell’odioso. Siamo diventati tutti chef, siamo diventati tutti pasticceri,  siamo diventati tutti cantanti. Ma per essere cantanti basta cantare bene? La musica è stata imbevuta ed ubriacata nella giostra dell’etere, con le stesse identiche modalità della non aderenza di ognuno alla propria posizione, complice un pubblico non più educato e quindi con sempre meno esigenze. Non lamentiamoci, allora. Chiediamoci  – vi prego – se abbiamo talento, se non siamo la copia di una copia.

Ma cosa è realmente il talento? Come lo si riconosce? Basta, per esempio, avere un’estensione vocale di quattro ottave o eseguire alla perfezione un fouetté en tournant per assicurarsi un futuro di successo e popolarità? E i famigerati talent show, luoghi deputati per eccellenza all’esibizione e alla ricerca del talento, possono essere davvero utili per gli aspiranti artisti e per le case discografiche che, in questa partita, giocano un ruolo di primissimo piano?

Fino a pochi anni fa, l’opportunità di emergere musicalmente ed uscire da uno sconfortante anonimato era riservata a pochi giovani artisti, che, dopo anni di sacrifici, studio e tanta tanta gavetta, riuscivano ad ottenere l’ambitissimo contratto discografico grazie alla partecipazione ad  un concorso canoro più o meno prestigioso. Oggi invece, è proprio il caso di dirlo, è tutta un’altra musica: il fenomeno dei Talent Show come Amici o Xfactor è riuscito a rivoluzionare e risollevare in pochissimo tempo l’intero mercato discografico, facendo leva sull’esposizione e sui meccanismi mediatici tipici degli Show televisivi e confidando nel target più giovane del pubblico.

Ma quanto è realmente destinato a durare il “miracolo” dei Talent?

Al di là dell’aspetto televisivo, però, il trend discografico di moltissimi giovani artisti reduci dai Talent Show sembra registrare una curva sostanzialmente negativa, salvo rare eccezioni. La causa è forse da imputare a diverse scelte discografiche errate, ma anche ad una probabile assenza di novità e qualità tra i lavori discografici, nonché ad una avvilente omologazione della loro musica. Ad oggi, infatti, soltanto un paio di loro può dirsi sicuro di poter continuare nella propria avventura musicale. I Talent hanno dunque alcune caratteristiche che li rendono perfettamente adatti alla situazione della musica attuale. Il vincitore di un talent viene spinto verso la vetta dal pubblico. Quando esce trionfante dalla finale ha già un seguito. Sono già un prodotto vendibile in un mercato ristretto. E’ su questo che le case discografiche puntano. Puntano su un cavallo vincente. Sanno che non dovranno spendere più di tanto in pubblicità perché l’ovazione del pubblico li ha già portati a fare pubblicità (vedi il caso di Chiara e la Tim). Sono già dei fenomeni del marketing in grado di vendere qualsiasi cosa. Poi, esaurita l’ondata di interesse, c’è comunque un talent pronto a sfornare un nuovo fenomeno di massa. E’ forse proprio questa la grande illusione dei Talent Show: in molti casi, non è l’artista a vendere, ma il suo personaggio e il contesto dal quale è emerso; quando il personaggio viene accantonato perchè “oscurato” dalle nuove edizioni, da nuovi giovanissimi fans, il “contesto” cambia inevitabilmente: riuscire a rimanere a galla è sempre più difficile e improbabile per molti di loro. La mia conclusione è una. Le case discografiche favoriscono il proliferare dei talent perché su una struttura relativamente economica possono creare fenomeni musicali da bruciare con estrema velocità. E si badi che il mio non è un giudizio sulla bravura o meno di questo o quel vincitore, è una constatazione molto amichevole del fatto che il filtro, in questo caso, lo fa la gente a casa, a proprie spese

 Se solo una minima parte dei milioni di appassionati dei talent show uscisse di casa una sera qualsiasi e si recasse nel locale più piccolo della propria città si troverebbe decine di artisti dotati di qualità incredibili, che magari si autofinanziano le registrazioni e le tirature dei propri dischi, e che la mattina dopo vanno a lavorare per pagarsi le bollette e l’affitto della sala prove.

Qui non si offende nessuno, si dà un giudizio personalissimo sulla percezione di opere che sono alla portata di tutti e che vengono valutate secondo il proprio gusto. L’Italia è piena di musica indipendente interessante che noi uccidiamo ogni giorno con la nostra indifferenza, spostando l’attenzione a programmi come “Amici di Maria De Filippi” o altri talent di bassa lega che non fanno che sfornare (non sempre, ma spesso e volentieri) più che discutibili personaggi usa e getta. E con questo ho chiuso.

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Redazione Giornalistica

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