Vi abbiamo anticipato nei giorni scorsi, della compagnia del NEST e della messa in scena di Il Berretto a Sonagli ‘a nomme e Ddio alla Sala Assoli.
E’ qui che la compagnia si misura per la prima volta con un testo di Luigi Pirandello, adattando – grazie al lavoro di Francesco Niccolini e con la regia mirabile di Giuseppe Miale di Mauro – l’opera A birritta ccu ‘i ciancianeddi (Il berretto a sonagli), portando al centro della storia non soltanto il perbenismo ottuso e fasullo della società, ma anche la figura di Beatrice Fiorica (Valentina Acca), mostrandone la rabbia femminile, il desiderio di vendetta e la spasmodica lotta per riconquistare la propria libertà. Se il testo pirandelliano, infatti, non nascondeva maschilismo e condizionamenti bigotti, nella riscrittura di Miale di Mauro tutto il potenziale del personaggio di Beatrice viene esaltato, rendendo di fatto la donna protagonista della vicenda.
A birritta ccu ‘i ciancianeddi fu scritta nel 1916 da Pirandello per il suo capocomico Angelo Musco, che lo portò in scena adattandolo e rimaneggiandolo. Negli anni ’20, il testo che era in dialetto siciliano venne poi italianizzato, ma nel nuovo adattamento di Miale di Mauro e Niccolini ritrova la sua forza espressiva proprio grazie al ritorno alla lingua dialettale, nella quale si mescolano incursioni dal napoletano. La storia è quella di Beatrice Fiorica, una donna propensa agli sbalzi d’umore – come la definisce Pirandello nel suo testo – la quale, dopo aver scoperto del tradimento del marito, il Cavaliere Fiorica, con la moglie dello scrivano Ciampa, decide di vendicarsi, facendo cogliere in flagranza di reato il suo sposo, contro il volere della famiglia, che teme uno scandalo.
Se nelle precedenti versioni a fare da protagonista era proprio Ciampa, che pur di mantenere le apparenze era deciso a ignorare i pettegolezzi sulla moglie Nina e sul Cavaliere, nella versione portata in scena dalla compagnia NEST a rubare la scena è la Beatrice di Valentina Acca: rabbiosa, vendicativa, un’Erinni siciliana, pronta a sbranare suo marito, la donna-angelo che si ribella, che non custodirà il focolare domestico, ma appiccherà lei stessa il fuoco. Per sottolineare l’importanza del personaggio e della riscrittura in chiave femminista, Miale di Mauro lascia che l’unica presenza femminile sulla scena sia proprio l’attrice, mentre intorno a lei i suoi comprimari – gli eccezionali Adriano Pantaleo, Giuseppe Gaudino e Mario Cangiano – si alternano sulla scena, interpretando perfettamente di volta in volta Ciampa, Saracena – una donna del popolo da cui è meglio tenersi alla larga – Assunta, la madre di Beatrice, suo fratello Fifì e Spanò. Un gioco delle parti, un continuo cambio di maschere -“Pupo io, pupo tu, pupi tutti” – così care alla poetica pirandelliana e ben evidenziato anche dalla scenografia di Luigi Ferrigno, che cala i personaggio in una struttura che richiama il teatro di marionette, dei pupi siciliani.
Perché è questo che sono i personaggi, nient’altro che pupi nei quali Dio ha infuso lo spirito vitale e, come pupi, ognuno di loro ha un ruolo da interpretare e dal quale non si può discostare. Così, il desiderio di Beatrice diviene ancora più rivoluzionario: una donna che non soltanto vuole infrangere il muro di perbenismo e omertà della società in cui vive, ma desidera rovesciare un sistema patriarcale che ha radici profonde, cementato e di cui tutti sono complici. Beatrice è rivoluzionaria perché vuole spezzare i fili dei pupi, vuole che le marionette dicano la verità, si liberino dal giogo. Ma chi dice la verità a tutti e non viene creduto non è altro che un pazzo ed è la pazzia (imposta) l’unico destino di Beatrice. Partendo dal particolare, da una storia come tante, Il berretto a sonagli diviene storia universale, storia di lotta e di rivoluzione, soffocate, ma non del tutto spente. Un adattamento di eccezionale bellezza, in grado di catturare il pubblico e di restarvi impresso nella mente, anche a distanza di ore dalla sua fine.