“Ero davanti alla TV, era novembre dell’anno scorso, e guardavo su Raitre la finale del programma “Il borgo più bello d’Italia” dove 20 piccoli centri della nostra Penisola si contendevano il primato. A un certo punto, la conduttrice Camilla Raznovich spiega le modalità del giudizio finale, espresso per il 50% da una giuria presente in studio, per il restante 50% dal voto popolare attraverso telefonate e sms. E dice: “Un algoritmo provvederà poi a fare la somma e a decretare il vincitore…”.
Solo alcuni giorni prima, avevo letto sui quotidiani che una banda di rapinatori napoletani in trasferta a Venezia era stata catturata grazie a un algoritmo creato dalla Questura di Napoli che aveva permesso ai poliziotti di giocare d’anticipo.
Penso sia stato in quel momento che si è accesa la classica lampadina: ma la gente che guardava la tv o ha letto il giornale, a sentir pronunciare quel termine, algoritmo, cosa avrà capito? Forse bisognerebbe spiegarglielo…».
Chi parla è Antonio Murzio, giornalista, che è in libreria con “La dittatura degli algoritmi”, sottotitolo “il dominio della matematica nella vita quotidiana, «un libro», dice, scritto proprio con l’intenzione di spiegare in maniera più semplice possibile, accessibile a tutti, cosa sono gli algoritmi e perché il termine “algoritmo”, un tempo relegato nei soli manuali di matematica prima e di informatica dopo, è entrato prepotentemente nel lessico quotidiano».
Murzio, prima di procedere alla stesura, ha fatto un’altra riflessione: «Per quanto io abbia seguito l’evoluzione tecnologica, imparando e utilizzando i vari strumenti che man mano comparivano sul mercato, dal computer allo smartphone, ho dovuto fare i conti con l’età: sono tra i cosiddetti baby boomers, i nati negli anni Sessanta, avrei potuto trovare qualche difficoltà». Lo scoglio è stato subito aggirato: la soluzione, Murzio, l’aveva seduta accanto: nel giornale dove lavora c’era una stagista, laureanda in Filosofia, classe 1995, una cosiddetta “nativa digitale”, appartenente, cioè, alla generazione che con computer, tablet, internet, i social ci è nata. Chiara Spallino è diventata così la coautrice del libro.
«Nel libro», spiega l’autore, «parto da un aneddoto, che ho intitolato “Il Papero e il professore”, nel quale racconto di come può essere facile scambiare fischi per fiaschi in una semplice conversazione in chat col correttore automatico che ti cambia le parole in base al “suo” dizionario. Per spiegare poi cos’è un algoritmo, utilizzo il foglio di montaggio di un mobile Ikea, che rende perfettamente quali sono gli elementi che definiscono un algoritmo: una serie di passaggi consequenziali che devono fornire un risultato. Come vedete, apparentemente, nulla di spaventoso».
Perché parlare di “dittatura” allora? «Per un semplice motivo: perché, molti non lo sanno, ma le nostre vite sono ormai regolate da un algoritmo e noi rischiamo di perdere sempre più il controllo delle nostre azioni. E la cosa più grave è che lo ignoriamo. Gli algoritmi, ad esempio, determinano quali devono essere le notizie e le informazioni che devono raggiungerci sullo schermo del nostro smartphone, pc o tablet. Così come “intervengono” quando prenotiamo un aereo o cerchiamo un ristorante tramite un’applicazione sul nostro smartphone. Quello che inquieta è che sappiamo ancora molto poco su come funzionano e molti utenti neppure pensano al ruolo che essi svolgono quando leggono una notizia, che invece gli appare come oggettivamente rilevante e visualizzata sulla base di meccanismi assolutamente neutrali. Cosa che non è.
Gli algoritmi usati da motori di ricerca e social network, oltre a selezionare l’informazione da proporre a ciascuno di noi, producono un altro effetto: rischiamo di rimanere imprigionati dentro una “bolla” costruita sui nostri gusti, sulle nostre preferenze, e soprattutto sui nostrui pregiudizi. Facciamo degli esempi pratici: io adoro i cani e spesso posto foto del mio su Facebook o condivido appelli per l’adozione dei canili di tutta Italia. Come mai nella mia bacheca, tra quasi duemila amicizie che ho, mi compaiono sempre prima notizie, video, eccetera, dove c’entrano i cani? Perché a stabilire la priorità e a propormelo è l’algoritmo di Facebook. Accade lo stesso con Amazon, con Google, eccetera. Ed è quello che fa comparire le pubblicità di un articolo che abbiamo appena cercato suscitando moti di meraviglia: “guarda, che strano, cercavo una pianta da giardino e non sapevo dove trovarla, adesso mi compaiono dappertutto pubblicità di vivai».
«Il problema», conclude Murzio, «è che siamo radiografati e a “fornire” il nostro corpo per le lastre siamo noi stesso quando autorizziamo una app, pensando magari che si tratti di un semplice, innocente (a prima vista) giochino che troviamo su Facebook. Nel momento in cui acconsentiamo perché la app possa rilevare la nostra posizione, i nostri dati, quelli sui nostri amici, c’è un algoritmo che ringrazia».