Pulce non c’è, la recensione

Un film di denuncia sociale che punta l’indice contro l’incapacità, l’indifferenza e l’inadeguatezza delle istituzioni di fronte ad una situazione di disagio, una disabilità più diffusa di quanto si pensi e che il più delle volte pesa interamente ed esclusivamente sulle famiglie. Pulce non c’è – tratto dall’omonimo romanzo dell’esordiente Gaia Rayneri (che ha collaborato alla stesura della sceneggiatura) – si è aggiudicato il premio come Miglior film nella sezione ‘Alice nella città’ al Festival Internazionale del Film di Roma 2012.

Margherita Camurati (Ludovica Falda) ha nove anni ma non è una bambina come le altre. Pulce, come la chiamano tutti, è autistica, beve solo tamarindo e ascolta musica classica. Entrare nel suo mondo non è facile ma la famiglia ha fatto di tutto per farla sentire normale e garantirle un’esistenza tranquilla, costruendo un universo in cui comunicare per immagini è più facile che farlo con le parole. A lei si dedicano mamma Anita (Marina Massironi), papà Gualtiero (Pippo Delbono), nonna Carmen (Piera Degli Esposti) e, soprattutto, la sorella Giovanna (Francesca Di Benedetto), di qualche anno più grande. Finché un giorno la serenità della casa è sconvolta dal non ritorno di Pulce, prelevata a scuola dalle autorità e condotta in una comunità.

Sulla famiglia si abbatte la scure della più pesante delle accuse: Gualtiero è sospettato di aver abusato di Pulce e la giustizia deve a tutti i costi fare il suo percorso, con il rischio di aver preso un abbaglio che difficilmente potrà ridonare ai Camurati il clima di serenità che si respirava prima. Al cinema è Pulce non c’è.

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Redazione Giornalistica

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