L Intrepido

Antonio Albanese e il rischio de “L’Intrepido”

L’Intrepido: il titolo dell’ultima pellicola di Gianni Amelio è il primo dato fuorviante per lo spettatore, che immagina di trovarsi di fronte ad una storia di coraggio dichiarato,  disseminato di beau gestes  ai limiti dell’eroismo. Il secondo momento in cui si inciampa nell’equivoco è quando si entra in sala pensando che Antonio Albanese farà ridere il suo pubblico con il solito pilu di Cetto Laqualunque.

Antonio Albanese in una scena de L'Intrepido
Antonio Albanese in una scena de L’Intrepido.

Il rischio che ha voluto correre Amelio, autore del soggetto e della sceneggiatura insieme a Davide Lentieri, non è stato tanto quello di scegliere Albanese per un ruolo bello e difficile, sempre giocato sulle corde di un equilibrio decisamente precario, quanto quello di trattare una storia difficile e di farlo attraverso uno slow mood che ha diviso il pubblico. La Milano che si vede è una commistione tra vecchio e nuovo, in bilico tra il tram e il Pirellone, ben rappresentata da un direttore della fotografia (Luca Bigazzi) presente ,in certe inquadrature splendide, ma silenzioso, messo volutamente in ombra dai colori dimessi che devono accompagnare la vicenda.

In fin dei conti, Albanese-Pane ha scelto di combattere la crisi di questi nostri anni  con la poesia, uscendo ogni mattina di casa in cerca di lavoro per evitare di cadere preda delle crisi di panico che, invece, colpiscono il figlio artista, personaggio che permette alla Musica del sassofono di entrare in punta di piedi nel film ma che pure delizia gli spettatori, spesso delusi dai dialoghi; effettivamente questi sono scarni eppure significativi in alcuni passaggi della storia.

Dunque, seppure la sceneggiatura denuncia qualche limite, va assolutamente salvata la prova di Albanese, attore ormai maturo e  capace di sostenere, con un sorriso bello e illuminante,  un passaggio storico (quello dei nostri anni di recessione economica e crisi valoriale)  in cui un italiano finisce per diventare un immigrato in Albania. Applauso, perciò, al coraggio di chi lo ha scritto e lo ha prodotto; al di là delle contestazioni avvenute al Festival di Venezia lo scorso settembre, il pubblico, almeno al cinema, è ancora sovrano e potrebbe decretare il successo di un film che offre un’angolazione diversa su una situazione che pesa un pò sull’animo di tutti.

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Redazione Giornalistica

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