Prodotto dal CTB Teatro Stabile di Brescia e dal Teatro de gli Incamminati, Servo di scena è uno dei più celebri testi teatrali di Ronald Harwood, che curò anche l’adattamento cinematografico dell’omonimo film di culto di Peter Yates, del 1983, interpretato da Albert Finney (premiato al Festival di Berlino) e da Tom Courtenay (cinque candidature agli Oscar). Ed ènaturalmente un testo ritagliato ad hoc sulla figura di un attore di grande carisma.
Si tratta di un appassionato omaggio al teatro ed alla sua gente, nonché perfetta ricostruzione d’epoca che fa da cornice agli ultimi successi di un grande attore, ormai al tramonto, il quale deve la sua sopravvivenza alle cure e alle attenzioni costanti del suo umile servo di scena.
Scritta in un linguaggio affascinante, tipico dello stile della commedia inglese, affronta con tono ironico le rocambolesche vicende di una precaria compagnia di provincia, che si dipanano tra camerini e palcoscenico, quale sublime metafora della vita del teatro di ogni tempo.
Regista ed interprete nel ruolo di Sir, Franco Branciaroli, nuovo consulente artistico dello stesso CTB.
Così la storia: è il 1940, pur devastata dai bombardamenti nazisti, Londra riesce a conservare l’aplomb che l’ha sempre contraddistinta. Come racconta Evelyn Waugh, il grande testimone di quegli anni, la vita procede meglio che può: pub e ristoranti restano aperti finché una bomba non li distrugge, i circoli e i club non variano nemmeno gli orari di apertura e di chiusura. Anche il teatro continua a vivere a dispetto della stupidità che sembra sul punto di conquistare il mondo. E Shakespeare diviene non solo poeta di un intero popolo, ma anche il suo profeta, e il teatro il suo tempio.
Il servo di scena racconta la storia di una di queste compagnie eroiche e spericolate e del suo vecchio capocomico, un non meglio identificato “Sir”, attore shakespeariano un tempo osannato dalle folle e dalla critica. Colpito da malore proprio alla vigilia della Prima del Re Lear, Sir sembra sul punto di dare forfait: sarebbe la prima volta nella sua onorata, lunghissima carriera. Ma Norman, il suo fedele servo di scena, da perfetto inglese non concepisce che non si possa andare in scena. Magari morti, ma gli spettatori hanno pagato il biglietto e hanno perciò diritto allo spettacolo.
Sir è messo male: non solo ha dimenticato quasi tutte le battute del testo, ma ha dimenticato perfino quale testo dev’essere rappresentato. Comincia a vestirsi da Otello, poi si mette a recitare il Macbeth. Infine sembra rimettersi in carreggiata, ma sono troppe le cose che non vanno. Se la prende con la moglie, Milady, una Cordelia decisamente troppo grassa. Se la prende perfino con l’ennesimo bombardamento nazista, che scambia per l’effetto-temporale giunto però troppo presto.
Dopo numerosi esilaranti contrattempi, Sir si sente di nuovo male e, al termine dello spettacolo, mentre gli altri attori (compresa sua moglie, Milady) se ne vanno a casa, solo il buon Norman lo assiste. Sir, sentendo di essere in punto di morte, gli consegna la propria autobiografia, una specie di testamento spirituale in cui ringrazia tutti i membri della sua compagnia, lodandoli uno per uno, dal primo all’ultimo, tranne – guarda caso – proprio il suo servo di scena. Chissà perché, si è dimenticato proprio di lui.
Omaggio all’Inghilterra e a Shakespeare, Il servo di scena è soprattutto un inno al teatro, alla sua capacità di resistere in tempi difficili, alla sua insostituibilità. Nella figura del servo Norman trapela la ragione profonda della sua forza: il teatro è invincibile perché non ha padroni, non cerca ricompense, è invincibile perché la ragione profonda della sua esistenza sta nella sua gratuità.