A Milano, la prima di Caino Royale

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Presentato in anteprima nel giugno scorso al Festival “I Teatri del Sacro” di Lucca, arriva al Teatro della Cooperativa di Milano uno degli spettacoli vincitori: CAINO ROYALE, con la regia di Rita Pelusio. In scena Andrea Bochicchio e Giovanni Longhin.

Proviamo a immaginarci l’inizio. L’inizio di tutto. Ecco non proprio il Big Bang o i dinosauri, ma un po’ dopo. Diciamo l’inizio dell’umanità, almeno così come ce la racconta il nostro testo sacro, la Bibbia. Cosa vedremmo? Due ragazzi, uno aitante e l’altro un po’ più bruttino, uno scaltro e  l’altro vagamente tonto, uno buono e l’altro dal fare sinistro. Due fratelli, e uno sta per uccidere l’altro. Ora fermiamo la storia e invertiamo le carte. Non è Caino il cattivo, bensì è lui il buono, l’ingenuo, il bello della coppia. L’altro invece, Abele, minore di anagrafe e di fatto, ha un solo scopo: farsi uccidere dal fratello. Lo vuole perché altrimenti la storia, almeno così come noi la conosciamo, non potrà avere inizio e lui, Abele, secondogenito dimenticato, non avrebbe più alcun ruolo, nulla per cui essere ricordato. Lui è il primo capro espiatorio e il suo, il loro, deve essere un sacrificio memorabile. Così, del resto, è scritto!

Ma qui viene il bello, cioè Caino. Perché Caino, bello e buono ma non così ingenuo come pensiamo, non ha nessuna intenzione di uccidere suo fratello. Egli afferma il suo no, si ribella al destino e al padre (Dio) e immagina un’umanità diversa, non segnata fin dal suo sorgere dal segno del sangue, non basata sull’invidia, sulla sopraffazione, la violenza.

Quella che mettiamo in scena non è un’altra storia possibile, ma la possibilità di un altro inizio. I nostri Caino e Abele sono due clown che si travestono da archetipi e cercano di smascherare i meccanismi di violenza e sopruso che da sempre regolano i rapporti tra gli uomini. Con una giostra di invenzioni surreali e personaggi, battute e canzoni ribaltano il mito e smascherano quelle che con Renè Girard possiamo definire “le cose nascoste fin dalla fondazione del mondo”.

Può esistere un’umanità priva di violenza? O forse la violenza è materia costitutiva di ogni società umana, la minaccia suprema che ci accompagna da sempre? Che cosa siamo stati capaci di inventare per eliminarla se non forme di violenza “minore” e istituzionalizzata (carcere, guerra, polizia, ecc.) o di sfogarla sui capri espiatori di turno (gli immigrati, i deboli, i “diversi”)? Siamo in grado di sfuggire a questo giogo? In sintesi: possiamo non essere figli di Caino?

Forse no. Se contro la legge della violenza l’unico atto realmente rivoluzionario è il perdono, la reciproca “comprensione”, forse noi, in quanto razza umana, rimarremo sempre degli irriducibili conservatori. In “Caino Royale” vengono proposte al pubblico queste domande con il linguaggio irriverente del comico. Perché solo una risata può sabotare la realtà.

Questa è la storia stralunata di due fratelli uguali e diversi, di cui uno vuole affermare la regola del conflitto e l’altro sfuggire all’assurdità di questo destino. Entrambi hanno ragione ed entrambi torto; entrambi vincono ed entrambi perdono. Il loro è un litigio continuo, un fuggire e inseguirsi tra giochi e dispetti, pensieri e risate, alla ricerca di una paternità migliore, di un’umanità più giusta.
È un gioco a odiarsi e amarsi che non ha fine.

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Redazione Giornalistica