In teatro con “La strana cotta”, al fianco della collega Francesca Nunzi, incontriamo l’attore Danilo De Santis pronto a parlarci della realizzazione di questo spettacolo, del teatro che tanto ama, del suo futuro artistico.
Benvenuto su La Gazzetta dello Spettacolo, Danilo De Santis. Parlaci dello spettacolo in scena dal prossimo 11 aprile al Teatro Golden, “La strana cotta”. Cosa puoi dirci a riguardo?
Lo spettacolo ha preso vita nel 2012, grazie al supporto di Francesca Milani, che ci ha purtroppo lasciati quattro anni fa. Una partner scenica con cui ho realizzato tanti lavori, ed abbiamo avuto, all’epoca, anche il supporto di Virginia Raffaele, con cui formavamo un trio. Questo spettacolo era talmente tanto cucito sulla Milani da pensare di non poter sostituire in nessun modo la sua figura. Alcune circostanze, invece, hanno fatto sì che “La strana cotta” tornasse in scena. Questa, in breve, la genesi e, andando nel particolare, lo spettacolo potrebbe definirsi uno spettacolo nello spettacolo. Si aprivano, con la Milani, lunghe parentesi legate alle nostre relazioni, problemi di cuore e quanto altro, e da lì ne è nata una storia, sottoforma di commedia. La particolarità della commedia e che io sono sempre me stesso, Danilo, mentre intorno a me girano dei personaggi interpretati, oggi, dalla Nunzi.
Dopo il Golden, che vi ospiterà fino al 21 di aprile, possiamo aspettarci altri appuntamenti?
Aspettiamoci sempre che possa succedere qualcosa e che lo spettacolo, quindi, possa prendere il via anche altrove. Parliamo di una commedia impegnativa, che richiede un notevole sforzo fisico e mentale.. è giusto che abbia degli spazi adeguati.
Quali consensi state riscontrando da parte del pubblico per questo spettacolo, Danilo?
Non riscontro un ricambio generazionale, bensì ritroviamo spesso un pubblico adulto, maturo.. va bene ma manca qualcosa di trasversale. Se i giovani entrassero in teatro potrebbero avere una maggiore visione, idea, di ciò che accade. Bisogna fare qualcosa per creare nuova linfa al teatro, avvicinando tutti, indistintamente e, tutto ciò, tocca a noi artisti.
Se di teatro si parla, Danilo De Santis, quali sensazioni sono legate alle tavole del palcoscenico, alla possibilità di avere un pubblico presente dinanzi a sé, pronto anche a giudicare, se vogliamo?
È ovvietà dire che siamo pronti al giudizio del pubblico, proprio nel momento in cui saliamo su quelle tavole. Il Golden, nel nostro caso, è un teatro molto amato dal pubblico, in cui si è circondati, come se fosse una sorta di arena. Ciò diventa, per certi aspetti, ancora più pressante perché hai le persone molto vicine a te. Al contempo, però, questo aspetto fortifica l’artista, perchè sei dentro lo sguardo delle persone. Bisogna essere consapevoli che non bisogna essere schiavi del giudizio, bensì generosi nel proporre un prodotto che può piacere o meno, perché essere universali è impossibile, conta essere onesti.
Cosa manca ancora a questo tuo percorso attoriale?
Sono sempre più orientato alla scrittura e meno alla scena, dal momento in cui realizzo di persona molte opere. Non c’è qualcosa che mi manca. Ho provato la leggerezza e il divertirmi in scena, cosa che per anni non riuscivo a trovare, interiormente.
Guardiamo al tuo futuro artistico, cosa puoi anticiparci?
Vorrei scrivere una nuova commedia, visti i tempi ormai maturi, dopo aver realizzato, ultimamente “Da quali stelle siamo caduti?”. In futuro vorrei poter scrivere una commedia che ho in mente e portare in scena, nuovamente, “Il padel nostro”, ambientato, appunto, in un campo di padel ed in uno spogliatoio maschile e femminile.
Un invito a vivere il teatro, la magia che lo caratterizza, Danilo De Santis?
Mi auguro che le persone sentano forte l’impulso di vivere il teatro, impossibile da sostituire con qualsiasi altro mezzo di intrattenimento. È diverso, il teatro, e va a toccare delle corde talmente profonde che rende impossibile sostituirlo con altri mezzi. Il cinema sta inglobando il tutto con altre piattaforme televisive, il teatro no. L’evento dal vivo accende qualcosa di forte nello spettatore che nessun mezzo tecnologico può regalare, specie se il prodotto è davvero valido.