Le composizioni nel primo album della Scat Gatt Orchestra, dal titolo “Rari Nantes”, invogliano gli ascoltatori a riflettere sul tema cogente come le migrazioni di popoli, gli approdi e i naufragi; e rappresenta un viaggio sonoro fatto di paesaggi immaginari, un diario di bordo di naviganti, naufraghi alla deriva che, come in una maledizione – quella di Ulisse – non giungeranno mai realmente ad approdare in un luogo “ospitale”.
I naviganti portano con se i canti, le credenze, le tradizioni, i miti e le leggende dei paesi del bacino del Mediterraneo nel quale si è evoluto, nei secoli, un concetto molto semplice: rispettare le antiche leggi dell’ospitalità.
Dopo due mesi dalla release la Scat Gatt Orchestra, come progetto “porto”, continua ad essere un collettivo aperto e mutabile e così dopo aver accolto gli Swunk (band avant jazz napoletana) accoglie in sé il violinista Lino Cannavacciuolo, storico musicista della neapolitan power già al fianco di Peppe Barra e Pino Daniele (solo per citarne alcuni) e Giustina Gambardella, vitale interprete della tradizione napoletana.
Dopo l’approdo c’è l’accoglienza e l’ospitalità che la ripartenza così l’orda di musicisti ha intrapreso un nuovo viaggio sonoro che si è concretizzato in una suite di circa nove minuti dal titolo “Napoli sotterranea“; un brano edito nel 2014 (su etichetta Apogeo records) che – idealmente – viene riproposto come reazione viscerale del popolo naoletano.
Perché Napoli Sotterranea?
Il brano, nato dal sax di Saverio Giugliano degli Swunk, si sposa concettualmente con l’attuale periodo difficile che il mondo sta attraversando, dove il dovere è stare nelle proprie case e adottare misure precauzionali evitando la socializzazione.
Un paradosso lampante si è materializzato tra tutti i musicisti dell’Orchestra che, memori delle sagge lezioni di vita delle proprie Nonne, hanno paragonato l’attualità con la vita in tempo di guerra.
Allora si è partiti proprio da questo cioè dallo stare chiusi e dalle frasi tipiche – quasi un mantra – della Nonna: “statte accorto” oppure “nun Ascì” ma soprattutto “chest è peggio d’a guerra”! Frasi quasi onomatopeiche per il popolo partenopeo che sono pregne di significato, con mille sfumature e metafore.
I racconti di coloro che hanno vissuto la guerra (o la pandemia da colera) sono ancora vivi e così nella recente generazione di napoletani torna alla mente il sacrificio consumato dai propri nonni, che in pericolo, erano costretti a rifugiarsi per mettersi al riparo dai bombardamenti vivendo settimane intere nel ventre di tufo della città millenaria. Con poca luce e ossigeno viziato convivevano con la paura che aumentava risalendo verso la luce e nel caos della polvere scorgevano la devastazione e così la parola “rifugiarsi” assumeva il vero senso di sopravvivenza.
La pandemia globale ha reso la nostra casa un moderno rifugio ma con tutte le comodità di un modo globalizzato e ricco, pieno di distrazioni e con tanto ossigeno anche se la “quarantena” non è paritaria perché c’è chi vive in spazi grandi o accoglienti e c’è chi vive in luoghi angusti e piccoli.
Allora si ritorna a riflettere sul ruolo del “rifugio” dove nonostante tutto si crea una socialità nell’impossibilità di poter proseguire una vita in superficie.
Il brano Napoli Sotterranea quindi traccia un ponte immaginario, o meglio sonoro, tra passato e presente, tra similitudini antiche e moderne ma sempre piene di pathos e sacrificio di una Napoli piena di contraddizioni, non solo tetra, non solo festosa, ma una città che vive della combinazione di questi ed altri infiniti concetti, in cui nessuno sintetizza l’altro, ma lo rafforza, in un caos di poesia e volgarità che fa sì che Napoli sia, nella sua unicità, semplicemente Napoli.