La talentuosa band scozzese di prog rock ha pubblicato il suo secondo cd, Once Around the Sun, un lavoro impeccabile e moltio ispirato
Martin Haggarty vanta una grande esperienza come compositore e cantante nella scena del prog mondiale. Sulla breccia dal 1983, il sensibile musicista scozzese presenta con grande orgoglio il nuovo cd Once Around the Sun della sua band, i Long Earth. Ma non basta. Martin, ex membro degli storici Abel Ganz, una delle formazioni pioniere del progressive rock, sta anche lavorando ad un nuovo album dei Field of Vision, l’altra formazione in cui milita e ha in mente più di un progetto solista. A lui abbiamo chiesto di raccontarci in particolare il processo di realizzazione dell’ottimo Once Around the Sun dei Long Earth…
Benvenuto Martin Haggarty. OATS è l’album che tutti i fans dei Long Earth stavano aspettando ma voi invece che aspettative avete al riguardo?
Mi auguro che i fan ancora in circolazione che hanno acquistato il nostro primo album, The Source, si rendano conto del significativo passo in avanti che abbiamo fatto con il tempo…In The Source ci sono alcune canzoni grandiose, ed è un cd di debutto di tutto rispetto che ha avuto ottime recensioni e ha ancora airplay in tutto il mondo. Tuttavia, ora abbiamo una formazione leggermente diversa e la band ha continuato a crescere ed è diventata più forte, e questo riteniamo si rifletta nel nuovo materiale. Tutto, dalle esibizioni, al songwriting e alla produzione, è più forte. Speriamo che OATS ci apra ad un pubblico molto più ampio. Come qualunque altro artista, prima di tutto componiamo per noi stessi, ma ci auguriamo sempre che piaccia anche agli altri e speriamo che i fan del prog rock abbiano la possibilità di ascoltarlo e apprezzarlo. Abbiamo suonato la maggior parte di questo album dal vivo durante lo scorso anno, quindi già sappiamo che i fans della band amano le nuove canzoni. Adesso la nostra grande sfida sarà di conquistare un maggior numero di ascoltatori.
Tu sei il cantante solista della band. Qual è stato il tuo contributo a OATS?
Questo è il mio primo album con la band, anche se avevo militato negli Abel Ganz con Gordon, Ken e il nostro produttore Hew molti anni fa. La maggior parte della musica era già stata scritta quando mi sono unito ai Long Earth, ma i ragazzi mi hanno dato libero sfogo per elaborare i temi delle canzoni, scrivere i testi e poi abbiamo lavorato tutti insieme per decidere dove dovevamo estendere o ridurre le sezioni per adattarle alla struttura vocale e lirica. Abbiamo quindi messo insieme gli arrangiamenti e in alcuni casi sono state scritte nuove sezioni per fare ulteriori miglioramenti. Poi ho trovato delle soluzioni per le melodie vocali e anche le armonie, il 95% delle quali ho cantato da solo, con Hew che ha aggiunto alcune armonie addizionali su un paio di canzoni per aggiungere un po’ più di colore.
Perchè avete deciso di intitolare l’album Once Around the Sun?
Una cosa che mi ha colpito della musica è che mi sono sembrate quattro canzoni che avevano un’atmosfera molto legata alle stagioni. In effetti, durante una prova, Renaldo aveva aggiunto una battuta sulla neve nella canzone che poi è diventata Winter. Ho quindi pensato al concetto della suite di “Four Seasons”. A tutti piaceva l’idea, quindi ho sviluppato e combinato ciò con l’esempio di una relazione che dura un anno: fiorisce in primavera, brucia più calda in estate, si evolve durante l’autunno e in inverno si raffredda e poi finisce. La nostra coppia romantica ha vissuto solo una volta sotto al sole. Questa suite è il fulcro dell’intero album, che rappresenta circa la metà della durata dell’intero disco quindi alla fine ci è sembrato appropriato usare questo come nome sia per la cycle song che per l’intero l’album.
Da dove avete preso l’ispirazione per i testi delle canzoni?
Io penso continuamente a mettere insieme nuove idee, a volte tratte da esperienze di vita reale, altre da ispirazioni letterarie. In questo album trattiamo della crescente crisi ambientale (We Own Tomorrow), del disagio di essere vivi (My Suit of Armour), del lato oscuro che alberga in ognuno di noi (The Man in the Mirror), degli apparenti serial killers (A Guy From Down the Road) e naturalmente della cosa che desideriamo di più, l’amore. (What About Love, Once Around the Sun).
Qual è il tuo pezzo preferito dell’intero cd e perchè?
E’ come se mi chiedessi di scegliere il mio figlio preferito! E’ così difficile perchè ogni singolo componente della band ha messo tutto se stesso in questo album. Credo che ci siano delle canzoni davvero ben fatte all’interno e molto diversificate l’una dall’altra. Con riffs rock martellanti, ambient textures e delicate strutture melodiche che invocano tutta una serie di emozioni all’interno dei vari pezzi. A parer mio la canzone che probabilmente cattura meglio l’essenza dell’intero disco e chi sono davvero i Long Earth è Autumn, ma se me lo chiedi di nuovo la prossima settimana probabilmente ti darò una risposta diversa.
Martin Haggarty hai sempre fatto parte del prog world. Oggi come oggi ci sono delle nuove bands in circolazione che ti piacciono?
Oh, ce ne sono molte. Il fatto di essere sempre troppo concentrato a comporre musica non ti lascia abbastanza tempo per acquisire familiarità con il repertorio degli altri musicisti. Comunque in questo periodo i Long Earth nel corso degli anni hanno suonato con un sacco di band contemporanee che sono davvero grandiose. Qualche nome? Gente come Crystal Palace, Stuckfish, Jennifer Clark Band. Scarlet Inside and This Winter Machine.
Parliamo un po’ dell’artwork della copertina del cd. Di chi è stata l’idea di base?
L’immagine principale è stata una scelta di Renaldo se mi ricordo bene, d’altro canto tutti noi avevamo avuto più o meno un’idea simile circa quello che volevamo ovvero mettere insieme, sia il titolo del disco che il nome della band. Comunque al resto dell’artwork del cd ci ha pensato Connie, la sorella di Ken. Lei è una fotografa favolosa ed è suo anche il lavoro sul nostro primo disco. Ha realizzato anche delle immagini favolose che si adattano perfettamente con le canzoni e ha scattato alcune immagini anche specificatamente per alcuni dei pezzi.
Qual è il complimento più bello che avete ricevuto da un fan alla fine di uno dei vostri shows?
Ci è stato detto che di gig in gig stiamo andando sempre meglio ma la cosa più bella ci è stata detta ad un nostro concerto prima dello scorso Natale da alcune spettatrici che ascoltando My Suit of Armour, hanno detto di averla trovata davvero bella, toccante, emozionante. Questa è stata una cosa davvero speciale da sentirsi dire. Anche se sei in una sala piena zeppa di fans del rock, il fatto di poter raggiungere la gente emotivamente e sapere che stai davvero suonando per loro è un feeling che non ha prezzo. E questo alla fine è tutto ciò che noi siamo. Raccontiamo delle storie nelle quali la gente si possa identificare e tiriamo fuori dei sentimenti e delle sensazioni che portano gli ascoltatori in partenza per un viaggio. E’ un vero privilegio per noi essere capaci di fare tutto ciò.