Federico Vacalebre parla di Passione

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In occasione della replica dello spettacolo Passione Live del 30 dicembre, abbiamo intervistato il direttore artistico Federico Vacalebre, consulente musicale per il film di John Turturro.

Credi che l’ennesimo tributo alla musicalità di Napoli ne rafforzi l’oleografia nella quale ci vede ancor oggi l’America?
Questo non è né un tributo né un omaggio, assolutamente non è oleografico a partire dal film di John Turturro da cui deriva lo spettacolo. E’ un pezzo di pancia, di genitali, anche di dubbia sensualità della canzone napoletana, questo è un quarto di filetto, un quarto di trippa ossia cantare la canzone napoletana dalle sue carni. Ci sono le ferite aperte della città porosa, non c’è nulla che non sia vivo, che non urli, l’amore è prima sesso e poi batticuore, quel batticuore che viene dopo il sesso. Il romanticismo non è elegia del passato, ma è il fato confuso di chi si trova di fronte il mare e lo sa ‘..chi tene’ o mare nun tene niente’. Il più napoletano, il più puro dei protagonisti del nostro spettacolo è James Senese, non può essere una oleografia.

Turturro pronuncia una frase ‘La musica a Napoli ha un potere terapeutico’. Una terapia che è anche una identità culturale, però una cultura che nella storia di Napoli ha lenito ma non ha istigato alla reattività, da sprono alla rivoluzione. Secondo te perché?
Non tocca alle canzoni, citando Pino Daniele, anche se è una canzone che non c’è nello spettacolo: ‘e provac c’o cazune rutto a parlà e rivoluzione’, non sono le canzoni che devono fare le rivoluzioni, le canzoni sono, diceva un napoletano ad honorem come Lucio Dalla : ‘l’orologio dei tempi’, la canzone napoletana è grande quanto l’orologio del suo tempo, lo è stato all’epoca delle villanelle, all’epoca di Di Giacomo, lo è all’epoca dei 99Posse o di Enzo Gragnaniello è per quello che si tengono nel nostro spettacolo l’orio ed il reggae, le tammurriate ed il dub.

Le spiegazioni di accompagnamento di Turturro in fondo portano a comprendere che Napoli è una esperienza del tutto soggettiva. Secondo te le suggestioni indicate possono far amare di più o di meno Napoli?
Non so perché qualcuno potrebbe amarla di meno nel vederla raccontata in quella maniera, credo che il problema sia un altro, Viviani diceva che ‘ Napoli se fa un’esportazione si tratta di roba ‘e cantà’ e questo è una storia, questo è quello che è il film, quello che lo spettacolo prova a fare, sono cinque anni che attraversa l’Italia ed il 16 gennaio andremo ad un megafestival in Puglia per 50Mila persone alla ‘Focara’ di Novoli (LE). Quello che provo a fare è dimostrare che c’è un filo rosso violento, sgarbato, assolutamente irredimibile, lontano da qualsiasi retorica tra quello che abbiamo cantato e ballato con i nostri stramuorti e quello che canteranno e balleranno i nostri strafigli . Questo è il senso, è nella miscela che cambia ogni volta, perché cambiano gli ospiti, cambiano le scalette, perché al Palapartenope per esempio ricanteremo la canzone napoletana con un fado grazie a Misia, invece la vivremo da posteggiatori abusivi con Enzo Gragnaniello, quindi come gusci di tufo e nello stesso tempo sarà trasgender nella versione di Gennaro Cosmo Parlato e sarà ancora una volta inevitabilmente natuzza con la tunisina M’Barka Ben Taleb, perché quella che dall’inizio noi chiamiamo canzone napoletana, sotto quell’aspetto è una faccia di una città che per fortuna non è mai stata pura ma ha giaciuto con tutti. La canzone napoletana è frutto di mille amplessi e di mille culture, quando Pino Daniele dice ‘mille culure’ dice anche questo, perché ci sono gli americani, i marocchini, i saracini, gli angioini, i borbonici, i Savoia, nessuno era particolarmente simpatico ma tutti hanno lasciato insieme al loro seme una traccia che si è fatta canzone.

Il filo conduttore della canzone classica napoletana, pur con arrangiamenti nuovi, si conclude con Pino Daniele. Un omaggio oppure un passaggio di testimone?
Era una cosa strana, il film si apriva con Mina che cantava ‘Carmela’ (di Sergio Bruni, n.d.r.) e non si vede Mina perché lei non si fa vedere mai, a quel punto si chiudeva con ‘Napul’è’ scritta nello stesso anno di Carmela, con Pino Daniele che scegliemmo di non mostrare per mostrare invece la città e per usarla sui titoli di coda. E’ un passaggio di testimone, ma non è neanche più un passaggio di testimone, in realtà è un racconto di qualcosa che continua perché il film va molto oltre Pino Daniele, arriva negli anni novanta e probabilmente semmai se ne farà un volume secondo fino ai giorni nostri, è il filo rosso quello di cui parlavamo prima. Come a New Orleans, come in Giamaica, come in Irlanda, come in Brasile, c’è un mistero per cui la città è fondata nei suoi canti e con i suoi canti, perché d’altronde la leggenda della fondazione di Napoli risale al canto delle sirene, esseri di dubbia sessualità ma di magnifico canto.

Come è nata la scelta di gli Avion Travel presenti nel film ?
Gli Avion Travel facevano questa magnifica ‘Era di maggio’ con Misia girata nel centro storico ed era stato un brano che Misia e loro avevano registrato in un disco della fadista portoghese.

Due interpreti internazionali come Misia, la cantante portoghese di fado, e M’Barka Ben Taleb la cantante tunisina napoletana d’adozione, hanno dato il tocco dell’apertura della musica classica napoletana verso altri confini, con M’Barka che canta in arabo, egregiamente inserita , grazie all’ottimo arrangiamento. A cosa è dovuta questa scelta internazionale?
C’è una magnifica canzone che si chiama ‘Tammurriata internazionale’ registra nel suo testo l’arrivo delle trombette e del banjo. La canzone napoletana stata grande in quanto figlia del suo tempo, ha fatto suonare i mandolini quando dovevano suonare i mandolini, poi ha fatto suonare il boogie-woogie con Carosone, non si vive di passato nella canzone soprattuttocome nella vita delle persone, è sempre nel suo presente, per cui non c’è da sorprendersi. M’Barka arriva come sono arrivati gli americani che sono ritornati in America, come ‘Luna Rossa’ cantata da Frank Sinatra in America, è come la ‘Luna Rossa’ cantata da M’Barka. I genitori di Sinatra sono andati ad Hoboken (New Jersey, n.d.r.) ed è venuto fuori il centenario di The voice che ha misurato quella canzone, la pantera nera del Maghreb è arrivata qui ed ha fatto del canto il suo mestiere e si è impossessata alla sua maniera di ‘Luna Rossa’. Misia è ancora una cosa diversa, da fadista veniva a Napoli per amore, impazziva per la carrozzelle, sono culture che si chiamano, ci sono oscurità, ci sono ferite, provocazioni e trasgressioni che si chiamano.

In questa scelta di interpreti si inserisce anche Max Casella che è americano e qui in Italia non è conosciuto.
Max è un attore di John Turturro che ha lavorato spesso con lui, ci ha dato una serie di interazioni importanti, penso a ‘Tammurriata nera’, quando possiamo replicare in maniera strana il gioco dei soldati ed il gioco degli yankee che arrivano a Napoli, con Max che impersona gli americani a cui risponde M’Barka che impersona i soldati marocchini.

C’è qualche brano in particolare che avresti preferito inserire nel film rispetto ad altri, o che ti è dispiaciuto non vedere tra quelli scelti?
Ci sono delle canzoni che non siamo riusciti ad inserire come ‘ ‘A cartulina ‘e Napule’, io volevo sicuramente ‘Ciucculatina d’a ferrovia’ di Nino D’Angelo perché credo fosse giusto, se ci fosse stato spazio e tempo, arrivare a quella stagione della canzone napoletana , dare un’altra botta ai siloni della noia che sono convinti di dover dare la patente di cantanti seriali di serie B, poi sono convinto che Nino D’Angelo sia l’ultimo grande cantautore napoletano, insieme ad Enzo Avitabile ed Enzo Gragnaniello.

Com’è stato trasportare il lavoro cinematografico a quello teatrale, c’è qualche aggiunta o rifinitura rispetto al film?
Lo spettacolo cambia ogni anno, c’è moltissimo di nuovo, innanzitutto c’è un corpo centrale che è dedicato a Pino Daniele che naturalmente non avremmo avuto nessun motivo a fare prima della sua scomparsa, non possiamo girare con uno spettacolo che non si renda conto di quanto è successo e di quanto ci manca, questo è il primo discorso. Il secondo discorso è che ci sono molti pezzi che non c’erano nello spettacolo come una deliziosissima ‘Fenesta vascia’ affrontata da Gennaro Cosmo Parlato, che duetta in ‘ ‘O sole mio’ con M’Barka Ben Taleb, una delle cose diventate caratteristiche di questo tour , che portiamo in giro dalla prima edizione, ed un duetto di Pietra Montecorvino e Raiz che fondono ‘Sud’ un’altra vecchia canzone degli Almamegretta con ‘Brigante sonore’ di Eugenio Bennato e Musicanova. La presenza di Gragnaniello permette di restituire all’autore la canzone che avevamo scelto come altra sigla finale nel film che era ‘Cu mme’, il jazz di James Senese ci ricorda i Napoli Centrale di ‘Campagna’, Pietra Montecorvino si riprende anche una sua vecchia canzone che è la sua ‘Sud’ , c’è molta altra canzone napoletana classica e molta altra canzone napoletana moderna. Inizia come inizia il film : ‘ci sono posti dove vai una volta, poi c’è Napoli’ dove Raiz è la voce recitante poi continua dove ci sono canzoni che canti una volta sola e poi c’è Pino Daniele e a quel punto se ne cade il Teatro.