Luca Nostro - NAM

Luca Nostro: Are you OK?

Luca Nostro - NAM

Luca Nostro è un musicista romano che lavora tra Roma e New York con alcuni tra i più noti musicisti americani,  in formazioni considerate dal pubblico e dalla critica tra le più innovative nel panorama jazzistico statunitense e mondiale, per il suo ultimo lavoro discografico ‘Are you OK?‘ ha scelto nomi come Donny McCaslin (sax), John Escreet (piano Fender Rhodes), Joe Sanders (basso), Tyshawn Sorey (batteria).

Il suo ultimo album  è ispirato anche da alcune opere di Steve Reich, Frank Zappa, John Adams, Michele Tadini e Jacob TV che Luca ha suonato insieme al Parco della Musica Contemporanea Ensemble (PMCE) di cui fa parte da tre anni.

Nostro in occasione del suo passaggio a Napoli per la presentazione del suo ultimo lavoro discografico ha spiegato nascita ed intenzione sonora sull’album.

Luca Nostro DISCO

Come mai la scelta di registrare questo nuovo lavoro discografico negli States?
Questo progetto è stato registrato a New York dove ho inciso tutti i miei dischi perché ho il visto artistico, faccio sia musica contemporanea classica, suonando al teatro dell’Opera, all’Auditorium a Roma, poi suono jazz. Tutti i miei dischi di jazz sono registrati a New York, anche con Antonio Sanchez il batterista di Pat Metheny, in particolare questo ultimo disco è stato concepito lì, con musica mia, orgogliosamente italiana, molto contaminata con il rock, quindi non è un jazz puro, con tutti brani originali. Il disco si intitola ‘Are you OK?’ ed è uscito a novembre con Jandomusic – Via Veneto Jazz, ed ha avuto subito successo, infatti i primi giorni era già secondo su Itune.

Siete attualmente in tour di promozione?
Si , un tour che ha visto la tappa il 21 novembre alla casa del Jazz a Roma, con il mio trio italiano, bravissimi musicisti come Stefano Battaglia (contrabbasso) e Davide Pentassuglia (batteria) , con due grandissimi solisti americani Logan Richardson al sax, che ha appena fatto un disco per la Blue Note con Pat Metheny,  e Aruan Ortiz un pianista cubano che conosco da anni con il quale ho suonato sia a New York che in Italia.

Da dove nasce il titolo ‘Are you OK?
Il titolo è rimasto ‘Are you OK?’ , senza il NO, perché in realtà il titolo del brano più rappresentativo del disco, che è più contaminato con il rock, il titolo per intero è ‘Are you Ok? come domanda seguito da un NO come risposta, perchè usualmente tutti chiedono ‘Come stai?’ e tutti rispondono di prammatica ‘Bene’ oppure ‘Tutto Ok’ o ‘Sto Bene ’ invece io ho aggiunto NO che è anche il titolo del secondo brano dell’album.

Come viene fuori questa risposta negativa?
E’ un messaggio per cercare di essere se stessi, a tutti i costi in qualche modo, andando contro le abitudini che abbiamo, anche linguistiche, una ricerca della verità.

Questa veracità di intenti si sposa anche con il tuo sound verace?
Spero di sì, questa è la prima cosa che cerco, infatti per i dischi che registro, di solito faccio il contrario di come di dovrebbe fare, cioè li compongo e li registro subito prima di suonarli dal vivo, perché mi piace molto questa dimensione della freschezza della composizione, chiaramente questo comporta anche dei rischi, perché solo dopo un po’ di tempo puoi vedere come rende.

I brani registrati in studio sono più precisini.
Sì è proprio per quello che voglio violare la precisione dello studio, per cui tutto deve essere preciso, quindi mi piace sentire anche qualche imperfezione nel disco purchè ci sia quella freschezza dell’approccio nel suonare i pezzi appena usciti dalla mia testa. Quella posizione di rischio, quasi di stare in bilico sul burrone mi piace quando registro perché ti dà un’energia e sicuramente New York è il luogo ideale per fare tutto questo. Perché lì è tutto subito, i musicisti sono pronti subito per suonare, ed anche nello studio di registrazione c’è un clima molto caldo, come se si suonasse dal vivo.

Quindi un disco LIVE è più in là nei pensieri?
Di questo sono molto contento, dopo aver concepito e registrato gli ultimi due, questo tour è il momento in cui i pezzi si sciolgono. La registrazione live non la escludo, perché sicuramente nel live succedono altre cose, perché i pezzi maturano dentro la testa sia mia che dei musicisti, quindi il rischio diventa minore, però a quel punto puoi andare ancora più avanti su altre cose. Il momento della fotografia che ti dà il disco, è proprio quello che voglio io che è il momento della fotografia della composizione, siccome tengo molto alle composizioni, penso che il jazz si debba un po’ risollevare supportando la musica originale, ovviamente la tradizione è fondamentale però importante è la composizione. L’Italia accoglie un po’ meno la musica originale, ama più gli standard, contro i quali non ho nulla anzi veniamo tutti da lì, però penso che ognuno debba cercare la propria strada.

Tu trovi quindi differenza di ricezione da parte del pubblico tra l’Italia e l’America?
Sì, diciamo che sia in America che in nord Europa, dove vado spesso a suonare è più facile trovare pubblico che chiede musica originale, musica nuova.

Pensi che questo derivi dalla preparazione culturale musicale del pubblico? Cioè al nord Europa forse il pubblico ha un orecchio più educato al jazz ed a recepire la musica originale rispetto all’Italia?
In parte è vero, anche se l ‘Italia è la patria della musica, è vero che manca a livello educativo, come scuole. In questi altri paesi ci sono musiche diverse dalla musica pop commerciale, che vengono insegnate a scuola e quindi c’è un’alfabetizzazione musicale maggiore. Un conto è il jazz come linguaggio, per cui quando suoni il linguaggio, gli standard, il linguaggio bop, stai suonando cercando di imitare i grandi che puoi fare anche in un modo personale, un conto è il jazz come forma stilistica che però comprenda delle composizioni nuove. Quello manca ancora, secondo me, in Italia.

C’è un messaggio particolare nella tua musica che vuoi far arrivare al pubblico?
Oltre alla ricerca della verità e del contatto con gli altri più vero possibile, alla ricerca dell’autenticità, è di non aver paura di esprimere ciò che non va, di tirare fuori anche cose negative, perché il jazz insegna molto da questo punto di vista, che l’errore per esempio può diventare una cosa bellissima, se condivisa, tutto ciò che viene condiviso da altri capaci di ascoltare, può trasformarsi in qualcosa di ancora più bello, perché imprevedibile. L’invito è quello di cercare di tirare fuori anche ciò che c’è di negativo dentro di noi senza averne paura.

Su Laura Scoteroni

Partenopea di nascita, viterbese di adozione. Giornalista con la passione per la cultura, la musica di qualità, la poesia. Attraverso le parole fermo il tempo di avvenimenti, note e immagini. Scrivere per me è come respirare, se possibile senza asma.