I Linkin Park chiudono il Rock in Roma 2015

Linkinpark_logoLa folla si sta lentamente riprendendo dall’adrenalina provata durante l’esibizione dei Simple Plan. C’è chi si mette a chiacchierare per commentarla, chi sorride, scatta foto, chi finalmente riesce a fare una telefonata per recuperare gli amici smarriti.
C’è un’apparente calma quando tre forti colpi di batteria preannunciano quel che sarà un concerto più che energico.

I Linkin Park sono saliti sul palco del Rock in Roma alle 22 passate della scorsa domenica, facendo capire da subito quale sarebbe stato il mood dell’intera serata.
Tre forti colpi di batteria e il concerto si apre con Papercut, dall’album che nel 2000 ha proclamato il loro successo mondiale (è proprio con Hybrid Theory, infatti, che li conoscerò e inizierò ad amarli anche io).
La band ha tutta l’intenzione di ripercorrere la propria carriera nella sua interezza, spaziando, durante la scaletta scelta, tra brani dei primi anni a quelli più recenti dell’ultimo lavoro (The Hunting Party) e la risposta del pubblico è immediata.

Chester Bennington, alla faccia di chi diceva che non avesse più voce (perché non si può cantare a quel modo per sempre), non starà fermo un attimo e tirerà fuori tutta la potenza vocale che l’ha sempre contraddistinto.
E’ in forma, e felice di essere di fronte al miglior pubblico della storia del rock, come scriverà successivamente su twitter.
Mike Shinoda è al suo fianco, complice come seconda voce, complice nel creare riff di chitarra e sintetizzazioni che sono poi il marchio di fabbrica di questa band.
A noi sembra quasi impossibile da capire come faccia una sola persona a passare dal cantare hard metal all’essere un quasi piccolo pulcino nell’arco della stessa canzone (e perdonate le similitudini azzardate, ma penso siano comunque azzeccate).

Molto toccante il momento della dedica all’amico Alessandro che non c’è più e al tentativo di dire qualche parola in italiano.
Gli verrà dedicata, su richiesta del pubblico, A Place for my head, la sua canzone preferita, precisando che non avevano mai fatto una cosa del genere, commuovendo tutti i 33.000 presenti.

Sono ormai quasi due ore e il concerto sta per finire, gli applausi trattengono la band sul palco a lungo prima di lasciarlo agli addetti ai lavori e la folla man mano si dirada e si dirige verso le uscite.

Ho aspettato questa serata per anni, quindici per l’esattezza, ma ne è valsa davvero la pena.
Uno di quei concerti che, almeno una volta nella vita, andrebbero visti, e no, non sono di parte.

Su Barbara Aragona

Barbara Aragona, italiana residente a Londra con fierezza da ormai sei anni, scrive di ciò che più le interessa e piace, sfogando nella scrittura la sua indole da fangirl seriale.