One Direction

E’ ripartito l’On The Road Again Tour 2015 degli One Direction

E’ partita lo scorso 5CHKx0YeWkAAmKtH giugno da Cardiff la seconda parte dell’On The Road Again tour 2015, il quarto tour degli One Direction.
Penso che le presentazioni, per questa band, siano inutili, volendo o nolendo tutti sanno chi siano, anche e soprattutto chi li odia, quindi passerei oltre, ovvero al racconto del concerto di mercoledì 10 a Vienna, una serata proclamata all’unanimità come la migliore del tour.
Ma andiamo con ordine.

Lo scorso 25 marzo si è aperto un nuovo capitolo per la band più famosa del momento, con l’abbandono da parte di Zayn Malik quando ormai il tour era già iniziato da quasi due mesi.
Harry Styles, Louis Tomlinson, Liam Payne e Niall Horan hanno deciso di rincuorare i loro milioni di fans sparsi per il mondo andando avanti quasi come se nulla fosse e ringraziandoli per il loro sostegno, specialmente su twitter, dove l’interazione tra la band e chi li segue è più forte.
Quindi, dopo qualche concerto con la nuova formazione e una pausa di quasi due mesi, gli One Direction sono tornati on the road (appunto) e noi siamo stati all’Ernst Happel Stadion di Vienna, in Austria.

Il tour è una presentazione del quarto lavoro della band, Four, reduce da numerosi riconoscimenti esattamente come i tre album precedenti, nonché un’integrazione, in quanto i ragazzi hanno deciso di esibirsi in posti in cui non erano ancora mai stati.
Vienna è uno di questi.

Le previsioni avevano dato pioggia fino a qualche giorno prima, ma arrivato il momento non c’è stata nemmeno una nuvola a coprire il sole cocente che ha letteralmente arrostito le decine di migliaia di persone in attesa da ore (alcune anche dalla sera prima) per accapararsi i posti più vicini al palco, che non si sono scoraggiate nemmeno di fronte alla pessima organizzazione austriaca. Vai a capire se la causa di tanto astio sia stato dovuto alla presenza quasi totale di italiane in loco o ad altro, fatto sta che il nostro paese non era previsto in questo tour, quindi se gli One Direction non vanno in Italia, l’Italia va dagli One Direction, cosa che è stata molto apprezzata anche dalla band quando, al momento dei ringraziamenti per il continuo sostegno, hanno fatto menzione delle bandiere tricolore presenti in ogni angolo dello stadio.
Se questo non è amore!

La serata si è aperta con i McBusted, una band anch’essa di origini inglesi, nata dalla fusione tra i McFly e i Busted. Era la prima volta che li sentivo, quindi forse per questo, ma forse anche per il fatto che, come sempre, i gruppi di supporto sono un bel po’ bistrattati, non li ho apprezzati quanto avrebbero meritato. Suonano un punk-rock divertente e sono dei bravi cantanti ma, a parte chi li conosceva, il resto dello stadio non vedeva l’ora finissero.

Gli One Direction, previsti per le 19:30, si presentano sul palco col loro consueto ritardo di oltre mezz’ora e ormai mi chiedo se sia per questo motivo se poi iniziano a raffica senza una pausa.
Non c’è concerto di questa band senza che prima si balli la macarena e, una volta finita la performance, che interessa quasi tutto lo stadio tranne i poveri schiacciati nel prato, parte il video di introduzione sulle note di No Control, fuochi d’artificio e l’ingresso della band sul palco che attacca subito Clouds. Un inizio molto d’impatto, con una canzone che dà carica e fa aumentare l’adrenalina nel pubblico.
Da subito i ragazzi si trovano alle prese con le difficoltà che la perdita di uno dei membri ha causato, cantando uno dei suoi assoli, ma facendolo, come nel resto del concerto, alla perfezione.

Non dando il tempo alle fans di realizzare, si continua senza sosta con Steal My Girl, primo singolo estratto dall’album Four, il cui video è stato diretto nientepopodimeno che da Danny De Vito.
I ragazzi cantano spostandosi da ogni parte dell’enorme palco dotato di passerella e palchetto b, quasi come a voler vedere in faccia più persone possibili, per poi ritrovarsi già al terzo pezzo, Little Black Dress (dove le chitarre si sprecano) e il quarto, Where Do Broken Hearts Go (indimenticabile la performance a XFactor UK con Ronnie Wood) con Niall ancora con la chitarra in mano e gli altri attorno a lui a scatenarsi per la gioia di chi è più indietro, sul palchetto b.

Dopo questo, un piccolo passo indietro con Midnight Memories, title track del terzo album della band, una canzone dalla melodia molto rock, uno degli esempi da fornire a chi pensa che questi ragazzi cantino solo roba pop per ragazzine, per poi proseguire con Kiss You, un pezzo più leggero, e l’introduzione quasi inaspettata di una delle canzoni forse più apprezzate dell’ultimo lavoro.
Stockholm Syndrome è un pezzo interamente scritto da Harry Styles, il più giovane della band e, forse, anche il più chiacchierato, ed è stato aggiunto in un secondo momento, a discapito di Happily, altra piccola perla di Styles. Alcuni fans non hanno apprezzato questa scelta (avrebbero potuto eliminare altre canzoni), ma ormai si sono abituati anche loro.

Si prosegue ancora, tornando sul palco principale, mentre i saluti e i baci volanti al pubblico si sprecano, con un altra nuova canzone, Ready to Run, dove, ancora una volta, i ragazzi riescono a soppesare alla mancanza di Zayn Malik sostituendolo egregiamente nei suoi assoli e acuti. Styles non avrà la stessa fortuna successivamente sbagliando la nota alta in Strong, ma verrà giustificato, perché lui è Harry Styles e quella nota non era stata pensata per lui che, comunque, in altre occasioni, aveva fatto bene il suo lavoro.

Better Than Words è una canzone che dà ai ragazzi, oltre che al pubblico, un’adrenalina particolare. Dalla melodia rock e il testo un po’ ambiguo, i ragazzi partono con accenni particolari nell’intonazione della voce e gesti eloquenti che fanno letteralmente impazzire le fans. Niall Horan è ufficialmente la persona per la quale impazziscono maggiormente appena apre bocca per cantare ed è una cosa bellissima poter vedere quel ragazzo sorridere di fierezza per questo.
Arriviamo, infatti, alla canzone scritta da lui insieme ai McFly, Don’t Forget Where You Belong, che parla proprio della loro vita on the road, del non dimenticare le proprie radici e di essere fieri di ciò che sono e hanno ottenuto. Una canzone toccante e a cui io sono particolarmente legata. Toccante come le immagini sugli schermi che mostrano i ragazzi agli inizi, e con famiglia e amici.
Little Things è la piccola perla cedutagli da Ed Sheeran, il cui testo ha espliciti riferimenti ai problemi di autostima delle persone. E’ dedicata alle ragazze che si sentono imperfette, sempre grasse e mai abbastanza, ed è una piccola perla che fa sentire le fans ancora più legate a questa band che sembra parlargli direttamente, ad una ad una.
Si continua l’atmosfera soft, con tanto di lucette ad illuminare l’intero stadio, con Night Changes, secondo singolo dall’album Four, per poi cambiare improvvisamente atmosfera e andare avanti, partendo dal palco principale, con Alive (una canzone con palesi riferimenti a come la vita notturna sia molto, molto interessante), Diana e i classici One Thing e What Makes You Beautiful, dal primo album della band. Il palchetto b diventerà una pedana che si solleverà verso l’alto, per poi riportare i ragazzi verso la posizione principale, rimandarli sul palco e concludere il tutto tra i ringraziamenti generali, piccoli discorsi e interazioni col pubblico (memorabile la lettura dei cartelli) e palloncini scoppiati.

Si procede con Throu The Dark, una canzone dalla melodia molto allegra, un testo dolce e speranzoso e che ti verrebbe voglia di ascoltare quando sei in strada e il vento ti accarezza il viso. I quattro ragazzi si guardano, ridono, cantano fissandosi in viso, scherzano continuamente tra di loro, ed ecco che parte Girl Almighty, un’altra canzone dall’album Four, dove l’unica cosa che ti viene in mente di fare è scatenarti, magari non buttandoti a terra come fa Harry, ma con qualcosa di simile sicuramente.

Story of my Life è la canzone prima della pausa, un singolo accompagnato da un video fatto interamente tramite fotografie dei ragazzi con le persone più importanti della loro vita quando erano bambini, comparate a foto dei giorni nostri. Un testo molto dolce, probabilmente autobiografico, per una canzone cantata a squarciagola (e forse anche con le lacrime agli occhi) da tutto lo stadio.

Breve pausa ed ecco che si torna sul palco per la parte finale: You & I meriterebbe un commento a parte, per la sofferenza del testo, per la melodia, per le note alte fatte alla perfezione, e per l’intesità con cui viene eseguita. Quando sai di amare il tuo lavoro non puoi che essere commosso di assistere ad una performance del genere, soprattutto se Harry si presenta sul palco con gli ormai lunghissimi capelli raccolti in un tuppino che lo rende ancora più elegante di quanto non sia già.
Little White Lies stravolge di nuovo l’atmosfera, ma è su Best Song Ever e la nuova scarica di fuochi d’artificio che tutto si surriscalda, poco importa se sia l’ultima canzone, forse è proprio per questo che lo stadio riprende ad urlare più forte.

Il concerto si conclude tra fuochi d’artificio e ringraziamenti sentitissimi da parte della band che, ancora una volta, ci ha illusi di aver cambiato scaletta mentre invece ha continuato con la solita e lo stadio si è lentamente svuotato.
A nulla è servito inneggiare in ogni momento di vuoto a No Control come regalo, la canzone è stata solo accennata, creando solo più malcontento.
Io ho pensato che un fandom che è riuscito a mandare prima in classifica su Billboard e in rotazione in tutte le radio una canzone che non è nemmeno un singolo, meriti di sentirla live, quindi speriamo sia vero venga aggiunta per la tranche americana e di vederne solo cose belle.

Usciamo dallo stadio piene di dolori, ma con la gioia nel cuore e la voglia di rivederli il più presto possibile. Questa sera saranno a Bruxelles, poi si sposteranno tra Danimarca e il resto della penisola scandinava, prima di una nuova breve pausa e l’America.
Decidiamo di non tornare mai più a Vienna per la pessima organizzazione fuori lo stadio soprattutto, ma lasceremo lì un pezzo di cuore, perché è impossibile non voler bene a questi ragazzi, chi li odia lo fa quasi sicuramente a prescindere e se solo provasse a vedere quanto ci mettono nel loro lavoro, quanto devoti siano a chi li sostiene, lo capirebbero.

Altamente consigliato: Four.

Su Barbara Aragona

Barbara Aragona, italiana residente a Londra con fierezza da ormai sei anni, scrive di ciò che più le interessa e piace, sfogando nella scrittura la sua indole da fangirl seriale.

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