Quattro chiacchiere con il compositore internazionale Francesco Taskayali, che sta vivendo un forte periodo creativo e che in questa intervista ci racconta del suo “Dreamscape Unveiled”.
Benvenuto Francesco Taskayali su La Gazzetta dello Spettacolo. E’ di recente uscita Dreamscape Unveiled, primo estratto dal suo prossimo nuovo album. Cosa ci può anticipare?
Dreambox è il mio viaggio strumentale attraverso un mondo dove le parole non possono condizionare la ragione. Comporre per me è il riflesso più vicino a un processo onirico. Nei sogni, sono lo spettatore del mio inconscio, costretto ad accettare la realtà che si presenta, sia essa affascinante o terrorizzante.
Quando mi immergo nella melodia al pianoforte, spesso mi estranio, osservo le mani che prendono vita propria, seguendo un percorso indipendente. Rimane solo l’ascolto, un’esperienza intima e personale. È accaduto più volte che suoni durante i sogni, svegliandomi con l’ispirazione che mi spinge immediatamente a scrivere.
È proprio questa connessione tra la realtà onirica e la musica che mi ha spinto a dedicare un intero album ai sogni. ‘Dreambox’ è il risultato di questo percorso, un invito ad esplorare il mio mondo interiore attraverso note senza limiti di parole. Lasciatevi trasportare e sperimentate la bellezza di un viaggio musicale ispirato dai meandri della mia immaginazione.
Ha scelto Napoli per la presentazione: come mai?
Napoli è per me una fucina creativa, un luogo che posso chiamare casa. La sua atmosfera vibrante mi ricorda Istanbul, con la loro bellezza e anarchia creativa che si fondono in un connubio affascinante.
Un viaggio in musica: la gente sa ancora sognare?
La gente ha la capacità di sognare, ma oggi sembra esserci una certa timidezza nel raccontare e perseguire i propri sogni. Questo paradosso emerge in una società che dovrebbe incarnare la massima libertà e opportunità mai vista sulla faccia della terra. Tuttavia, è una società che il sociologo Galimberti definisce come ‘della tecnica’, in cui c’è spazio per ciò che funziona, ma meno per gli ideali.
Cosa pensa un compositore quando conclude un’opera?
Quando concludo un’opera, la sensazione è a tratti contrastante. Da un lato, provo soddisfazione nel vedere prendere forma ciò che è stato solo un concetto astratto nella mia mente. Dall’altro lato, c’è una sorta di malinconia nel mettere fine a un processo creativo che ha implicato un’esplorazione profonda di parti di me stesso: i ricordi d’infanzia, gli amori vissuti e quelli mai realizzati.
Lei è italo-turco: quali sono le influenze musicali che maggiormente l’hanno segnata?
Le mie influenze musicali sono davvero un incrocio di culture affascinanti. Dall’Italia, le colonne sonore, con maestri come Ennio Morricone, hanno plasmato la mia percezione della musica cinematografica. Inoltre, artisti contemporanei come Ludovico Einaudi e Giovanni Allevi hanno contribuito a definire il mio approccio alla musica contemporanea italiana.
Dalla Turchia, Fazil Say è stata una figura di riferimento importante, portando la sua virtuosità e la sua innovazione nella musica classica. La musica popolare turca e il genere Turku dell’800 hanno anch’essi lasciato un’impronta significativa, insieme ai brani tradizionali suonati da mio padre con lo saz e l’ud.
Amo profondamente la musica popolare, sia turca che italiana, credendo che in questi brani tramandati ci sia una ricchezza di verità e umanità.