L’incanto di una voce napoletana a tutto tondo
Venerdì 17 ottobre Peppe Cirillo ha saputo sfatare un caposaldo della cultura partenopea esibendosi al teatro Cimarosa di Aversa, in uno spettacolo che non poteva avere altra cornice che quella teatrale. Non un concerto, infatti, ma un vero e proprio spettacolo in cui il cantautore si rivolge continuamente al pubblico con dialoghi leggeri e bella presenza scenica, lo coinvolge nei suoi discorsi, lo introduce nelle sue canzoni e si presta, con grande autoironia, anche alla boutade messa in piedi con Massimo Burgada.
Compagine di tutto rispetto (sette elementi più il front man), quella che si presenta al pubblico degli aficionados di Peppe Cirillo che hanno lasciato ben pochi palchi vuoti in teatro; impeccabile sempre Pino Tafuto al piano, a lui si devono anche gli arrangiamenti di tutti i brani presentati in questa occasione. Si comincia con “A Matalena”, fotografia di un mondo -e di un mercato parallelo-, con Roberto Giangrande al contrabbasso che ha un che di granitico, è una certezza inconfutabile mentre suona accompagnando le immagini in bianco e nero che scorrono alle sue spalle, memoria di una Napoli che ci appartiene, perché fu dei nostri padri e forse dei nostri nonni, per raccontare la guerra e il boom economico tra i vicoli di Partenope.
Peppe Cirillo passa da “Canzona d’ajere” a “Dociammore”, dove la fisarmonica di Sasà Piedepalumbo la fa da padrone in questa milonga appassionata in cui la voce graffia e trascina, come i piedi dei tangueri in un paso doble; il suo corpo imbraccia e abbraccia lo strumento con tocco soave, fino a diventare parte integrante delle sue braccia, delle sue mani.
Cirillo il cantattore ha il pregio di non cercare mai la rima facile nei testi che scrive, come si evince in “Luna lù”, brano che precede l’ingresso di una delle guests della serata, quel Mario Maglione che strappa applausi a scena aperta appena il maestro Tafuto accenna l’ intro de “Era de maggio”. Il tempo passa, il look cambia ma la voce di questo Signore del palcoscenico, questo cantore della tradizione non muta, non tradisce, anzi; il tempo l’ha resa più calda e adatta per una versione di “Indifferentemente” che -partendo dalle falde del Vesuvio- ha lo sguardo sempre più volto verso Buenos Aires. “L’ammore è accussì” è una splendida ballata dal testo intenso dove la scena bisogna lasciarla alla dolcezza della fisarmonica ma soprattutto alla profonda sensualità del sax di Pino Ciccarelli; persino nelle covers di De Crescenzo il mandolino del maestro Vittorio Orabona, la chitarra di Franco Ponzo e la batteria di Gianluca Mirra si rendono presenti e incisive.
Infine, uno dei momenti più emozionanti dello spettacolo è stato il brano “Damme”, in cui, senza preavviso, sono apparsi sul palco i quattro componenti del Giardino Dei Semplici, i quali hanno dapprima presentato “Abbracciami” dal loro ultimo lavoro discografico “Argento vivo” e poi hanno fatto la felicità di buona parte dei presenti con un medley del repertorio storico dei GDS; emozionante sentire Luciano intonare una versione di “Tu ca nun chiagne” che, all’uscita, fece storcere il naso a molti puristi. La presenza scenica di Tommy non ha bisogno di nessuno strumento, mentre Savio Arato sembra sentire la mancanza della sua chitarra e Andrea continua ad essere -anche sul palco- quel signore garbato, gentile e disponibile che ama la Musica da quasi quarant’anni.
Tra le ovazioni del pubblico, a Peppe Cirillo vengono chiesti ben due bis, uno a scelta del pubblico e uno a sua discrezione. Un bello spettacolo, davvero.