Oggi vogliamo ricordare Pierangelo Bertoli. Negli anni Settanta, militò nel PMLI a fianco di Dario Fo e altri artisti facendo soffiare il vento della rivoluzione sociale. Canzoni piene di ideologia, di contenuti civili, laddove la cultura collettiva non avrebbe mai dovuta essere “arte per l’arte” ma la voce del popolo e della visione collettiva di una generazione “guerriera”.
Senza patria, senza spada, senza macchia e senza paura, Pierangelo Bertoli (nato il 5 novembre 1942 a Sassuolo) sfidò gli anni della guerra mondiale, vincendola con la sua sopravvivenza, e una grave forma di poliomielite che, a undici mesi, lo colpì rendendolo paraplegico per la vita.
Crebbe in povertà, ma con dignità, a un punto tale da diventare (negli anni Sessanta e Settanta) simbolo della rivolta all’ingiustizia e all’indifferenza dello Stato che, in balia di governi spesso controversi, preferì vedere in lui un nemico ideologico poiché aggregatore di masse e portatore di valori sani.
Bertoli, nel 1976, esordì – dopo alcuni dischi sponsorizzati da amici e persone vicine – con la Compagnia Generale del Disco, allora diretta artisticamente da Caterina Caselli, amica di vecchia data di Pierangelo.
Il successo lo assale, come una bufera, travolgendolo in un percorso che lo vede tra i cantautori “di protesta” più accreditati del momento.
Nel frattempo, si fa una famiglia. Prima Bruna e Lorna, poi Emiliano e Alberto, infine Petra diventeranno la grande canzone della sua vita e, dal sociale al personale, il suo manifesto d’amore.
Brani come “Eppure soffia”, “Il centro del fiume”, “A muso duro” rappresentano il vessillo identitario della sua guerra pragmatica e collettiva, mentre “Pescatore”, “Chiama piano” “i miei pensieri sono tutti lì” diventano icone della popular music d’autore, che appassionano gli ascoltatori della radio libere.
Poi il 1991. Il primo Festival di Sanremo, al quale partecipa con i Tazenda, lo rende definitivamente popolare nel senso televisivo. Il brano non vince ma vende tantissimo. È infatti Bertoli a vincere contro le barriere mediatiche e culturali del sistema pregiudiziale verso i disabili.
Bertoli, vent’anni di carriera, poi oltre. Il 7 ottobre 2002 Pierangelo muore a causa di un cancro a poco meno di sessant’anni.
Ma non finisce così: il figlio Alberto, affiancato da una famiglia compatta e forte, continua la guerra iniziata dal padre. Nel 2012 nasce il Premio Pierangelo Bertoli (oggi paragonabile per credibilità alle grandi manifestazioni italiane e internazionali sui cantautori) e lui, direttore artistico dell’evento, è diventato un rocker che, senza luoghi comuni doverosi, soffia a muso duro.
Il suo nuovo album, un omaggio a papà, s’intitola “Due voci intorno al fuoco” e, recuperando tracce della voce del grande Pierangelo, Alberto canta con lui.
Un doppio vinile, da aggiungere alla discografia dei 33 giri del cantautore sassolese e, naturalmente, a quella del figlio. Insomma, Bertoli (padre e figlio) è ancora “al centro del disco”.