Luca Bonaffini. Foto di Joe Oppedisano
Luca Bonaffini. Foto di Joe Oppedisano

Luca Bonaffini: il ritorno al Pop

Torniamo a parlare di Luca Bonaffini, che ci racconta di quando una sera del febbraio 1991, il Festival di Sanremo ospitò e diede spazio a una canzone destinata a restare nella Storia della Musica Italiana: Spunta la luna dal monte.

Luca Bonaffini. Foto di Joe Oppedisano
Luca Bonaffini. Foto di Joe Oppedisano

Il brano ce lo ricordiamo tutti e i suoi autori e interpreti non possono essere dimenticati. Stiamo parlando del grande Pierangelo Bertoli e del trio sardo Tazenda che, messi in gara insieme, forse per scelta magari per contratto, sicuramente “non per caso”, offrirono all’appuntamento più importante della musica nazionale e internazionale del nostro Paese un momento straordinario dedicato alla canzone popolare d’autore e alla ballata civile. Temi come la povertà, l’isolamento, l’abbandono dello Stato, la speranza e la lotta per la vita s’incrociarono nel testo (metà in sardo metà in lingua italiana) composto da Bertoli e dai Tazenda per l’occasione sanremese.

Quello che accade su quel palco (un applauso infinito, un riconoscimento senza precedenti a un artista portatore di handicap fisico) ce lo ricordiamo in tanti. 

Quello che accadde dopo, forse solo alcuni. Giunta al quinto posto, “Spunta la luna dal monte” scalò le classifiche, superando il milione di copie, spopolando per radio e tv, occupando le copertine delle maggiori riviste musicali e di gossip.

Non solo. Ci fu anche una tournée, come spesso accade per i grandi successi, che nel giro di un’estate collezionò circa 130 concerti dal vivo in tutt’Italia. Era quella di Bertoli che, per qualche motivo a noi sconosciuto, era stata privata della partecipazione dei co-interpreti sardi. 

Quindi, niente trio, niente Andrea Parodi con la sua voce unica e inimitabile. Il pubblico sarebbe rimasto deluso? Forse. A Pierangelo Bertoli venne un’idea.

C’era un chitarrista, nella sua band, che – avendo già scritto alcuni successi per lui (ad esempio “Chiama piano”) ed essendo presente nei tour anche come corista – cantava note molto alte, essendo dotato di una buona estensione.  Quel giovanissimo emergente si chiamava Luca Bonaffini. 

Timido, riservato, inizialmente restio alle scommesse e alle sfide dell’intrepido Pierangelo Bertoli, fu gettato sul palco dalla prima data (a Lugano nel marzo 1991) post Festival, fino all’ultima del tour (31 ottobre 1991). Lo stupore fu superiore alla paura, quando il buon Bonaffini (certo di schiantarsi sul pubblico) sentì esplodere un applauso mai sentito sulle note di “In sos muntanarzos” (la parte cantata in originale da Parodi).

Bonaffini, considerato dalle case discografiche un valido autore di canzoni ma un cantante poco efficace e carismatico, riscattò – in quel contesto così inatteso – il suo ruolo di interprete, grazie a Pierangelo.

Poi accadde qualcosa, forse di professionale, forse di personale. Bonaffini sparì per un anno circa.  Tornò nel 1993 sempre a fianco di Bertoli, ma qualcosa era cambiato. 

Pierangelo – racconta Luca – desiderava che io camminassi con le mie gambe. Ovvero voleva che io crescessi, artisticamente e professionalmente. Diceva che non avrei potuto rifugiarmi in eterno dietro di lui se volevo raggiungere il successo. Io ero rigido, molto emotivo e ancora immaturo per poter affrontate seriamente quel mondo musicale che fin da ragazzino aveva abitato nelle stanze del mio cervello. Quindi scappai, da lui e da quel mondo, cercando di costruire una strada diversa. Da allora, però, ho sempre preferito agire un po’ dietro le quinte o pubblicare canzoni che mi tenessero lontano dalle masse. Non perché le snobbassi, ma perché non ero in grado di reggerle.!”

Da quel 1991 sono passati altri 14 album, tante avventure come autore e come produttore, qualche esperimento come scrittore di libri e di testi teatrali. Mai più, da allora, però Luca si era sentito di “cantare” veramente, di far suonare la voce, come quando la luna (ogni sera) era solita spuntare da quel magico palco. Belle produzioni, ricche di spunti cantautorali e letterari, certamente. Eppure il pop, nell’accezione storica e migliore (che proviene da musica “popular”) non aveva più osato cercarlo.

Questo, fino all’incontro con Roberto Padovan, produttore e arrangiatore, quando – nel 2015 – ha deciso di appoggiare Luca nella ricerca di un nuovo progetto discografico. 

Dopo sei anni, eccolo qua: “Il paracadute di Taccola”. Quattordici brani, uno più fresco dell’altro, dove Bonaffini finalmente “canta”. Canta libero, con la voglia di raccontare al suo pubblico che non l’ha mai abbandonato le storie dei più fragili, in un momento storico in cui tutto è messo in discussione e le persone si sentono capitombolare sul suolo col rischio di frantumarsi.  Il Covid, il lockdown, la globalizzazione, l’incomunicabilità, il distanziamento. 

Luca Bonaffini, 58 anni fatti lo scorso ottobre, in questo contesto di paura ed emergenze, è tornato: ma tornato davvero. 

“Cantando queste canzoni, ho sentito in bocca il gusto delle note singole, delle parole che ci stavano sopra e degli strumenti che sostenevano il tutto. Roberto Padovan è un genio, sensibile e originale, e ha saputo scrivere partiture di arrangiamenti esattamente come avrei voluto io. Essendo anche compositore, potrei dire che, grazie a lui, le canzoni sono state riscritte e hanno avuto nuova vita”. Nell’album, uscito in versione digitale il 26 gennaio scorso e che verrà pubblicato fisicamente in CD il prossimo 19 marzo, ci sono anche le speciali partecipazioni di Francesca De Mori (vocalist), Stefano Morselli (sassofono e fisarmonica) e Davide Vevey (chitarre acustiche ed elettriche).

“Il paracadute di Taccola” (ispirato allo schizzo di Mariano di Jacopo, il genio di Siena che tracciò una prima idea del paracadute di Leonardo Da Vinci) è un album energico ma gentile, dedicato ai “fratelli minori e maggiori” che si sentono sconfitti ma possono riscattarsi, imparando – dopo un volo coraggioso e azzardato – ad atterrare senza farsi male. Luca Bonaffini, con serenità, colto sul fatto mentre sta lavorando al videoclip del singolo del CD “Il futuro ero”, conclude così: “Bertoli mi ha insegnato a camminare: io ho imparato a cadere”.

Su Daniela Iavolato

Appassionata di comunicazione e digital, mi occupo di ambiente e green.

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