È un tiepido e assolato pomeriggio di settembre quando ho l’occasione di conoscere Gian Paolo Serino nel suo appartamento di Milano. Catapultata in un mare di libri e di cultura da cui non vorrei più uscire, dopo cinque minuti che parliamo mi regala il suo primo romanzo, “Quando cadono le stelle” edito nel 2016 da Baldini & Castoldi, che dopo tre anni è diventato un longseller, con la promessa che mi farà la dedica solo dopo averlo letto.
Mi sembra di conoscerlo da sempre, del resto non ha bisogno di grandi presentazioni essendo, tra le altre cose, un noto critico letterario, ideatore e fondatore della rivista letteraria «Satisfiction», scrive di libri su «il Giornale». Ha collaborato con «la Repubblica», «Libero», «Avvenire», «Il Riformista», «Il Venerdì di Repubblica», «D-la Repubblica», «L’Espresso», «Rolling Stone», «GQ», «Vogue», «Mucchio Selvaggio», «Pulp Libri», «L’Indice dei libri», «Vanity Fair». Ha lavorato con Radio Capital e R101 con la Gialappa’s Band. Ha curato l’edizione italiana de Il compromesso di Elia Kazan, la biografia Dylan Thomas. Essere un poeta e vivere di astuzia e birra di Paul Ferris e Così tante vite. Il Novecento di Giancarlo Vigorelli, con prefazione di Claudio Magris. Nel 2015 ha pubblicato, con ampio successo di lettori e di critica, il saggio Luciano Bianciardi. Il precario esistenziale. Da poco in libreria la nuova edizione de “La mia autobiografia” di Charlie Chaplin che ha curato per la raffinatissima casa editrice Mattioli1885. Da 8 anni è ideatore di «Parole di Cuore», iniziativa non profit che ogni settimana porta gli scrittori nei reparti pediatrici di molte città e per 20 anni è stato tra i più stretti collaboratori di Vasco Rossi.
Certa che quando uno scrittore ti regala un suo libro affida alle tue mani la sua creatura, mi accingo a leggerlo e, pagina dopo pagina, cresce la voglia irrefrenabile di fargli domande.
Gian Paolo, chi meglio di te, profondo conoscitore della letteratura americana, poteva dar vita a un’opera corale che ci svela gli aspetti sconosciuti, l’infelicità e il disagio provati da grandi nomi del “sogno americano” e dello star system. Da dove è partita l’idea e come è avvenuta la fase di profonda documentazione che ha poi partorito il tuo romanzo d’esordio?
La ricerca è durata più di 20 anni: leggevo su libri e giornali e riviste statunitensi di strani casi successi a grandissimi artisti che sino alla pubblicazione di “Quando cadono le stelle” sono rimasti inediti. Poi la scrittura del romanzo mi ha impegnato per due anni.
Non intendo svelare quali siano i personaggi, dico solo che ritrai otto icone e man mano ne delinei l’identità attraverso storie singole ma solo apparentemente separate tra loro. Quella che può sembrare inizialmente una raccolta frammentata di vite in realtà trova un collegamento comune nella solitudine dei personaggi. Stilisticamente parlando come hai fatto ad amalgamarne in maniera così fluida i capitoli?
Volevo che ogni protagonista fosse rappresentato con lo stesso stile che aveva in vita. Quindi Cary Grant descritto con una scrittura più ingessata o Stephen King più thriller, Picasso più fluido, Kafka in perenne “metamorfosi”, Edgar Allan Poe che traspirasse quell’America puritana solo nel nome. La difficoltà era nel renderlo un romanzo corale e, a quanto hanno scritto critico, scrittori e lettori, ci sono riuscito.
Concordi con me nel dire che la fragilità di questi personaggi spesso scaturisce anche in una sorta di inaspettata innocenza che provoca quasi tenerezza nel lettore?
Senza dubbio. D’altro canto oggi siamo tutti colpevoli ma in realtà chi vuole essere (umano) credo che non debba temere la fragilità perché è attraverso la sensibilità che riusciamo a non essere dei semplici turisti della vita.
Una delle frasi che mi ha maggiormente fatto riflettere è «La felicità è la cosa più spaventosa che possa capitare. Tutti dovrebbero temerla». Ritrovi qualcosa di Gian Paolo Serino nel loro male di vivere e nelle loro ferite?
Molto, sino a qualche anno fa avevo paura di essere felice perché se sei felice sei meno pronto ai colpi bassi della vita. Poi una volta mi hanno fatto un’intervista chiedendomi cosa volessi diventare da grande: risposi “felice”. Mi dissero che non avevo capito la domanda. Io ho risposto che loro non avevano capito la vita.
Lo scrittore vincitore del Premio Strega Giovani Giuseppe Catozzella scrive: «Qui c’è lo studioso, c’è il critico e c’è lo scrittore. Serino non racconta le vite di alcuni dei maggiori personaggi del Novecento: se ne appropria. E così, ci riconsegna il senso di un’éra che fonda la nostra». Ritieni che la società odierna ne conservi ancora profonde analogie?
Non credo che oggi esista una società. Esistono individui ognuno murato dentro se stesso senza neanche le prese d’aria. Le uniche sono i social. Quindi dal sociale il mondo è diventato social. Non esisti per ciò che fai, esisti per ciò che appari.
Un’ultima curiosità: che sentimento provi nei confronti di questi personaggi celebri di cui hai sondato l’animo umano?
Credo che come ogni lettore di “Quando cadono le stelle” libro si crei una grande empatia proprio grazie alla scrittura. Non ho creato dei personaggi ma ho ridato vita alla loro voce più nascosta. Perché è anche il lavoro che faccio tutti i giorni con me stesso.