Sergio Calcagnile - Uru

Uru, il nuovo libro di Sergio Calcagnile

Un artista a tutto tondo, un padre di famiglia, una persona che trasmette positività anche solo intervistandola. Lui è Sergio Calcagnile, in arte SiR j, torinese di nascita ma milanese d’adozione, appassionato di lettura e di musica (è uno dei componenti del duo acustico Megapixel e suona anche come solista) e scrittore di racconti e strofe per bambini, al momento inediti. Nel 2018 entra a pieno titolo nel panorama editoriale italiano con “Nonno Egeo”, il suo primo libro di genere narrativa storica, e “Lumina Tenebrarum”, genere horror. Il 19 settembre è uscito “Uru” il suo terzo romanzo, edito dalla casa editrice Caosfera Edizioni.

Sergio Calcagnile - Uru

In questo libro Filippo, il protagonista, su consiglio di un amico della palestra si reca presso un monastero benedettino piemontese. Il monastero contrariamente alla sacralità di facciata, nasconde un segreto macchinario capace di incamerare e trasferire energia da un essere ad un altro. Grazie al macchinario infernale viene generato un mostro sanguinario dalle fattezze del tipico folletto salentino, denominato Uru, capace di portare intorno a sé distruzione e morte.

Sergio Calcagnile, come sei approdato al genere horror?

Il genere horror rappresenta il mio primo amore quanto a lettura, nel senso che fin da piccolo ne sono stato molto attratto. In realtà il mio padre spirituale, come credo per milioni di persone, è stato Stephen King. Molte volte mi perdevo a pensare “se avesse scritto così…” e ho provato anche a leggere altri autori tra cui Lovecraft, Stoker, Straub, Shelley rendendomi conto di quanto sia stato geniale King primo genere.

È capitato poi che, alla “tenera” età di 48 anni circa, su richiesta di una cara amica che allora traduceva testi per una nota casa editrice italiana inviai tre racconti lunghi dal titolo “Lumina tenebrarum”, “Uru” e “Inkubus” (divenuto poi “Arbitium mortis”). Vennero assolutamente cestinati e rispediti al mittente in quanto ritenuti non idonei allea casa editrice. Da lì, il mio orgoglio artistico mi spinse a provare a proporli ad altre case editrici e, devo dire, riscuotendo successo dal momento che sono stati pubblicati sia il primo che il secondo da due editori diversi, mentre il terzo è ancora orfano… Ma non c’è fretta.

Ho provato a scrivere anche altri generi letterari, ma l’horror è quello che sostanzialmente più mi affascina e mi rappresenta. Ho, inoltre, una naturale passione anche per la narrativa, tant’è che il primo mio libro dal titolo “Nonno egeo” è stato il precursore degli altri, tuttavia il turbinio di emozioni scatenate all’interno di me stesso mentre scrivo horror è qualcosa di impressionante: la scena mi appare di fronte, l’odore della situazione appare concreta, il male si manifesta attraverso la penna. Sembra impossibile, ma è proprio così. Quando ho scritto “Uru”, nel momento stesso in cui lo stavo trasmettendo in lettere, avevo paura, la notte non dormivo e ancora oggi, a volte, quando mi sveglio mi succede di provare timore… però attenzione: l’horror, per come lo intendo io, non è solo il “farsela sotto dalla paura”, l’horror è l’insieme di emozioni, vibrazioni che ti lascia qualcosa, che ti appassiona ma, contemporaneamente, ti comunica un messaggio che, anche se nascosto, alla fine arriva!

Come è nata l’idea di scrivere “Uru”?

“Uru” nasce durante un weekend trascorso all’interno di un monastero benedettino in un piovoso e freddo giorno di dicembre; mi trovavo a camminare tra i boschi adiacenti al monastero stesso, era pomeriggio tardi e, come ben sapete, in montagna alle 17 è già buio. In quel preciso momento che corrisponde al calar del sole e al sopraggiungere delle tenebre, cominciai a pensare a qualcosa, qualcuno, che potesse sopraggiungere all’improvviso e fare una strage. Sì, avete ragione a pensare che io sia una mente malata! Insomma, in quell’ambiente profondamente sacro e silenzioso mi apparve limpida un’immagine lugubre e sanguinosa, tale da farmi rabbrividire. Mi ispirò immediatamente una canzone che corrisponde alla colonna sonora del libro e poi, dopo mesi e mesi, arrivò il romanzo.  L’ispirazione, quindi, è racchiusa in quel monastero, ma non chiedetemi nulla, perché è davvero un ambiente molto riservato e poco incline alla pubblicità, tanto che mi hanno chiesto espressamente di non rivelare alcunché delle loro abitudini o quant’altro.

Racconti la storia di Filippo, un uomo alla costante ricerca di sé stesso. Troviamo qualcosa di autobiografico in lui?

Praticamente tutto! Dal protagonista, alla moglie, alla figlia. Tutti i personaggi sono figli della realtà, ovviamente occultati alla vista dei più, ma sono veri. In particolare il protagonista era in viaggio esattamente come lo ero io, che in quel frangente mi trovavo in un momento alla ricerca di energia, di personale crisi mistica, esattamente come la stessa personalità di Filippo, coi costanti inevitabili contrasti uomo/donna tra marito e moglie, con le proprie emozioni e i pensieri reconditi. Come successo al protagonista anche al sottoscritto è capitato di incontrare in quel monastero persone di enorme spiritualità, capaci di sconvolgere totalmente il mondo sommerso in noi stessi.

Come si riesce a toccare con mano il confine tra il sacro e il profano, la bellezza e la bruttezza, il bene e il male?

Semplicemente seguendo il proprio istinto e la propria personalità, conditi da una sana dose di equilibrio. Credo che tutto il mondo sia racchiuso al nostro interno, ma questo non lo scopro di certo io in quanto rivelato da tutti i più grandi autori del mondo. Personalmente, non faccio altro che trasportare in lettere il refuso delle menti che hanno segnato il mondo.

Questo libro, seppure sia il terzo, rappresenta per te il vero e proprio riscatto come autore, perché?

Corretto! Rappresenta il mio riscatto o, volgarmente, la mia vendetta verso tutti coloro che non hanno creduto in me sin da quando ho cominciato a muovere i primi passi come autore. Questo a partire dalla mia insegnante di grammatica e latino del ginnasio (in Sardegna) che mi assegnava sempre voti orripilanti per il fatto che secondo lei non ero capace di scrivere con fantasia. Forse aveva ragione, chissà, magari davvero ero una capra. Poi i miei parenti, c’è chi tra loro pensava fosse tempo perso e ancora oggi lo sostiene, chiedendomi a quanto ammontano i miei guadagni coi libri. C’è chi dice che non avendo pubblicato con Mondadori non sei nessuno, c’è chi dice “Perché non sei più musicista?”. Quante cattiverie, quanta invidia nelle persone… aveva ragione chi sosteneva che “non puoi essere certo profeta in casa tua”.  Tutte queste critiche mi hanno comunque fortificato sempre più, facendomi capire che la strada è giusta e che non bisogna mai mollare nulla, provando a percorrere tutte le vie contemporaneamente. Prima o poi la direzione corretta la imbocchi o, per dirla in altro modo, arriva il treno giusto per te e, come dicono in tanti, bisogna farsi trovare pronti a saltarci su all’istante.

Hai cercato di creare suspense come il genere richiede, ma non trascurando di regalare suggestioni, dimostrando anche un forte attaccamento alle tradizioni. Come pensi di esserci riuscito?

La tradizione popolare. Questa è la matrice tipicamente italiana o italica, come suole dirsi. Non esiste in altri paesi così radicata come nel nostro amato stivale. Fondamentalmente la tradizione popolare salentina rappresenta la mia infanzia, la mia adolescenza, parte della mia vita. Credo che ognuno di noi abbia un qualcosa da tramandare di padre in figlio, da nonno a nipote, da zio a nipote. La famiglia ci lega indissolubilmente, sia quella di origine che quella recente. Dalla famiglia, dalle abitudini, dagli insegnamenti, dall’educazione ricevuta bisogna trarre profitto e comunicare a tutti gli insegnamenti a nostra volta ricevuti. È davvero sbagliato fermare il ciclo, bisognerebbe continuare a trasmettere gli stessi valori, perché alla fine emergono e si tramandano le nostre sane origini. Come fare? Ad esempio parlando e comunicando ai propri figli, ai nipoti per chi non avesse figli, ai propri amici, ai ragazzi o a chiunque, anche estranei, tutte quelle esperienze vissute sulla propria pelle e quelle parole sagge che possono sconvolgere la nostra attuale realtà, trasformandola in un giorno nuovo, migliore, da vivere. La vita! Questo è il segreto della tradizione: la vita.

Pensi di rimanere federe al genere horror per sempre o prevedi un cambio di rotta per il futuro?

Bella domanda, non so risponderti. Credo che la cosa migliore per un artista sia evolversi continuamente, cambiare sempre, dimostrandosi al passo coi tempi. Succede con la musica, mia grande maestra di vita, figurati se non succede con la scrittura. Pertanto la mia risposta è sì, potrebbe essere possibile. Già scrivo di narrativa contemporaneamente all’horror, chissà che non passi al thriller (magari c’è già qualcosa che bolle in pentola…), o al genere romantic. Chissà, non lo so, tutto può essere.

Sicuramente, quel che spero davvero è di poter essere letto da molteplici lettori e di poter far pervenire i miei messaggi, qualunque essi siano.

Vorrei riempire di emozioni e di vibrazioni come i veri autori che hanno fatto scuola, vorrei essere ricordato soprattutto dai miei figli e, infine, vorrei essere protagonista di una nuova e entusiasmante intervista come questa, anche nel futuro.

Su Francesca Ghezzani

Giornalista, addetto stampa, autrice e conduttrice di programmi televisivi e radiofonici. In passato ha collaborato con istituti in qualità di docente di comunicazione ed eventi.

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