Sceneggiatore, regista, da oltre venticinque anni nel mondo della comunicazione come progettista di eventi, Stefano Albè si affaccia sul panorama editoriale con il suo primo romanzo dal titolo “Terra”, pubblicato con Arkadia, collana Eclypse.
Un noir psicologico ambientato nell’Iglesiente in cui la ricerca della verità diventa lo strumento di espiazione in un palcoscenico naturale selvaggio e aspro dove i protagonisti si trovano e si perdono tra miniere abbandonate e dune disegnate dal vento. Ne parliamo con lui per la nostra rubrica “Libri e Scrittori“.
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Bentrovato, Stefano Albè, su La Gazzetta dello Spettacolo. Come il tuo background nel mondo della comunicazione, nel ruolo di regista e progettista di eventi, ha influito sulla tua scrittura creativa? Ci sono elementi che hai portato dalla tua esperienza professionale alla creazione di “Terra”?
Certamente la forma mentis sviluppata professionalmente nel corso degli anni mi ha aiutato molto nell’affrontare un lavoro complesso e articolato come la scrittura di un romanzo. I problemi da risolvere, le trame di incastrare e gli sviluppi narrativi da rendere coerenti ed appassionanti ricordano molto il “dietro le quinte” di un evento. Ho cercato di applicare il più possibile un approccio tanto creativo quanto produttivo, mantenendo uno sguardo analitico e razionale anche nelle fasi più generative e di ispirazione. E poi, sopra a tutto, da appassionato di Lego, incastrare i mattoncini nel giusto posto, del colore e della forma più coerenti con l’ampiezza del progetto, mi ha semplificato non poco il lavoro.
Essendo anche appassionato di fotografia, in che modo le immagini influenzano il tuo stile di scrittura?
Più che influenzarlo direi proprio che sono la genesi della mia scrittura. Io penso, parlo e scrivo per immagini. Tutto è fotografia, tutto è fotogramma e quindi anche l’azione è un susseguirsi di immagini. Sono consapevole di avere una scrittura molto visiva, molto cinematografica, se mai un giorno qualcuno volesse trarre un film dal romanzo Terra, il suo lavoro sarebbe molto semplificato perché è già pensato come una sceneggiatura.
Nelle tue pagine troviamo Niccolò, Antonio, Gaia, Emma, Agnese ed Enea. Un articolato intreccio di relazioni ruvide, irrisolte e conflittuali, storie di persone che sembrano non incrociarsi mai, anche quando vivono nella stessa casa o masticano la stessa polvere. A unire e dividere, la terra, materna e violenta, rifugio e tomba, amata e stuprata. La terra come cuore sacro ancestrale al centro della vita e della morte. Cosa ti ha spinto a scegliere il genere noir psicologico per raccontare questa storia?
I personaggi che avevo in mente e le vicende che volevo raccontare avevano un’esigenza imprescindibile di approfondimento psicologico importante. La scelta del noir è stata una conseguenza quasi naturale, dettata anche dal fascino misterioso e ancestrale del luogo in cui il romanzo è ambientato e che chiama questo tipo di genere e linguaggio. E poi, devo dire, il noir offre uno strumento molto potente in termini di transizione da capitolo a capitolo, consentendo di tenere agganciato il lettore e di fargli venire “l’acquolina” e la voglia di proseguire fino alla fine.
Hai contribuito alla realizzazione di Morto e mangiato e di 365 storie cattive, raccolte di racconti. Dover condensare una storia in poche pagine o doverne diluire la trama in un romanzo quali sfide presenta?
Sono approcci molto differenti anche se, ovviamente, alla base c’è sempre il comune denominatore della passione per il raccontare una storia o un intreccio di storie. Nella scrittura breve, come dicevi, è tutto condensato, bisogna aprire e chiudere la storia in poche pagine. Qui, più di tutto, conta l’dea che deve essere chiara e diretta. Ho seguito per anni il corso di scrittura creativa di Raul Montanari e ho avuto l’occasione di esercitarmi in oltre una trentina di racconti, con stili e linguaggi assai differenti ma sempre con il vincolo delle cinque cartelle di lunghezza. Questa costrizione è stata una palestra indispensabile perché ti aiuta a sottrarre, a eliminare il superfluo, a concentrarti su un obiettivo preciso. Poi, quando fai il salto nel romanzo, nel racconto lungo, tutto cambia. Mantenere l’equilibrio è molto più complesso, le leve da gestire sono molte di più e articolate, occorre mantenere viva l’attenzione del lettore, approfondire i personaggi, descrivere i luoghi. Il processo creativo è meno istintivo e più razionale, organizzato, perché sennò si corre il rischio di perdersi tra le righe.
Stefano Albè sei autore televisivo e appassionato di cinema: quale dei due mezzi vedresti più adatto per una trasposizione filmica di “Terra”?
Senza ombra di dubbio il cinema, da lì vengo e lì vorrei tornare, con questa o con un’altra storia. Come detto prima, il romanzo Terra è nato cinematograficamente, è pensato e strutturato come una sceneggiatura, i capitoli sono scene e c’è dovizia di elementi descrittivi e di una ambientazione molto chiara e reale. Anzi, faccio proprio un appello a registi e produttori di leggere il libro e di lasciarsi ispirare perché Terra è nato per andare sul grande schermo.
In chiusura Stefano Albè, come definiresti la televisione e la comunicazione in generale oggi e in quale nuovo progetto vorresti cimentarti?
Ho abbandonato la TV generalista da alcuni anni, quindi sono poco aggiornato. Ma ho divorato e continuo a divorare decine di serie TV che ormai sono il nuovo linguaggio del piccolo schermo. A volte anche abusato perché racconti che starebbero nei tempi di un film di media durata diventano serie di dozzine di puntate, inutilmente dilatate. Per il resto, il mondo della comunicazione mi sembra pieno di stimoli da una parte ma molto confusionario dall’altra. Si è un po’ persa la poeticità nella comunicazione e contano solo i numeri, le apparenze. Forse è solo una questione anagrafica ma l’emozione di una sala buia con il fascio di luce del proiettore, nel mio immaginario, vincerà sempre su qualsiasi social o TV. Nuovi progetti? Voglio continuare con la scrittura, sto lavorando a un paio di idee di romanzo, sono nella fase di analisi, ogni giorno ciascuna delle due storie si arricchisce di un personaggio, un’azione, un ambiente poi tirerò una riga e vedrò chi l’avrà spuntata, quale soggetto mi sembrerà più maturo per diventare romanzo.