Un poliziesco che scandaglia l’animo umano dalla penna di Ennio Masneri: cosa siamo disposti a sacrificare per salvarci o per difendere il nostro ideale di giustizia?
A chiederselo, attraverso le pagine de La misura dell’orizzonte (Golem Edizioni, Collana Le Vespe n. 58), è Ennio Masneri, che intervistiamo per la nostra rubrica Libri e Scrittori.
Ennio Masneri, ben ritrovato su La Gazzetta dello Spettacolo. Come nasce la tua passione per il genere poliziesco?
Grazie del benvenuto. Fin dall’infanzia, anche in considerazione del fatto che sono sordo oralista, ho sempre avuto una predisposizione alla curiosità, a ogni mistero, anche piccolo, che incontravo nella vita. A quei tempi non c’erano librerie al mio paese giù, in Calabria. Si può dire con coraggio che non circolava poi tanta cultura. I libri si potevano soltanto comprare nelle edicole e la maggior parte di questi erano soprattutto romanzi rosa e gialli. Mi sono avvicinato a questi ultimi anche grazie alla passione per la letteratura del genere che mia madre (grande lettrice soprattutto di Simenon) mi ha trasmesso con la sua ironia e la sua forza vitale. Come lei divoravo i libri di Agatha Christie, Conan Doyle, Rex Stout e di altri autori meno noti che venivano pubblicati nei Gialli Mondadori.
Quale investigatore o commissario ami di più della letteratura gialla e perché?
Ce ne sono tanti! Ho iniziato con Sherlock Holmes, poi con Hercule Poirot, Mrs Marple, Nero Wolfe, Perry Mason fino a Pepe Carvalho e l’ispettore Maigret. Ora, oltre ad aver apprezzato l’intramontabile maestro Sciascia, sto apprezzando i romanzi di Scerbanenco appena usciti e i primi libri di Maurizio de Giovanni. A differenza di certi titoli attuali, questi personaggi riescono – pure stando fermi! – a farti emozionare, a renderti partecipe, a darti degli indizi, a psicanalizzare anche il colpevole o il sospettato di turno, a ballare, insomma, insieme a te sui propri versi, fino alla soluzione del caso. E anche lì ti sorprendono ancora fino all’ultima riga e, alla fine, un po’ dispiace che sia finita. E la sorpresa, se non tutti lo sanno, è sempre l’altra faccia della curiosità. Un libro che non sappia emozionarti e ti dia solo situazioni e dialoghi freddi – ne ho trovati parecchi sul mercato – perde la sua missione e diventa inutile.
E il tuo Perri, invece, com’è?
È un calabrese che, pur mantenendo un’aria distaccata un po’ sognatrice dietro a certi tratti normanni e con indosso gli occhiali, non si tira mai indietro di fronte all’osservazione di ciò che lo circonda, anche sforzandosi di mettersi nei panni di chiunque abbia davanti. È un commissario che “legge” e “riflette” come uno specchio ciò che io scrivo. Ha lasciato la sicurezza di una città del Nord per ritornare nel proprio piccolo mondo meridionale dove la regola primaria è ancora quella dell’apparenza e della difesa dell’onore a tutti i costi. Quando ritorna trova ancora quella pressione, quel timore su ciò che potrebbe pensare la gente, e ne percepisce il vecchio, l’odore stantio. Vuole avere l’occasione – e la cerca ogni giorno! – per ribaltare certe situazioni. Alle volte si lascia travolgere dalla corrente del pensiero imperante ma, avendone consapevolezza, riesce a fermare la propria corsa e ad aggrapparsi all’unico salvagente che ha (e mica solo lui): l’ironia.
La Calabria è al centro di quest’opera. Tornerà ad esserlo anche nelle prossime uscite?
La Calabria è un personaggio a sé che lascia sempre qualcosa che non si può definire in poche parole. È una bella signora dura e arcigna – una sorta di Anna Magnani – davanti alla quale bisogna sempre levarsi il cappello. E lei ti ricambia in qualche modo. In silenzio. Con modi spicci ma carichi d’amore perché, laggiù, l’amore va nascosto altrimenti viene spettegolato. Per questo, proprio perché il mio commissario Perri si sente in debito con lei per essere stato forgiato nella durezza ma anche in una sorta di silenzioso abbraccio materno, vuole (e di rimando lo voglio anch’io) restituirle quella gloria tradizionale, quell’importanza anche strategicamente economica di un tempo. Lo sa pure Perri: la Calabria ha sempre fame di lavoro e di dignità per i suoi figli. E per farlo bisogna svuotare certi calderoni, scardinare anche con piccoli gesti quotidiani quelle mentalità stagnanti e ormai obsolete che ne rallentano il futuro.
In chiusura Ennio Masneri: tre titoli che uno scrittore di polizieschi deve necessariamente aver letto?
Nel suo studio non dovrebbero mai mancare i gialli classici perché gli stili di quegli anni danno il modo di farsi le ossa e ingegnarsi a creare situazioni intriganti, complesse: ti insegnano ad accompagnare il lettore stringendogli la mano e non stando in cattedra, fino alla soluzione. Se vogliamo invece parlare di titoli attuali consiglio il bel Tatuaggio di Montalbán, i due grandi romanzi di Sciascia sulla mafia siciliana: A ciascuno il suo e Il giorno della civetta. Infine, anche se non è prettamente un poliziesco mi è stato di grande utilità e d’ispirazione per la mia scrittura di genere, il Diario di un killer sentimentale del compianto Sepùlveda.